Adolfo Faggi

filosofo e psicologo italiano (1868 - 1953)

Adolfo Faggi (1868 – 1953), filosofo e psicologo italiano.

Manzoni e la filosofia

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  • [...] la conversione del Manzoni non mosse da uno stato anteriore di assoluta incredulità o di ateismo. Egli era stato educato e nutrito nella filosofia del secolo XVIII, e seguiva perciò quelle dottrine del Sensismo, che rappresentano la forma mentis del secolo: tutti, dal più al meno, con maggiore o minore intensità di colorito, chierici e laici, uomini così di scienza come di letteratura o di religione, furono allora sensisti: sensista era anche il padre Soave, il buon Barnabita, che fu maestro del Manzoni giovinetto. Tutti erano concordi nel rifiutare quella dottrina delle idee innate, che si faceva risalire al Cartesio: tutti volevano riconoscere nell'esperienza la fonte unica e primigenia delle nostre cognizioni. Ma il Sensismo, nei molteplici suoi svolgimenti e adattamenti, che costituiscono il fondo di tutta la vita filosofica del sec. XVIII, permise una grande varietà nel campo religioso. (p. 3)
  • [...] il Sensismo, nei molteplici suoi svolgimenti e adattamenti, che costituiscono il fondo di tutta la vita filosofica del sec. XVIII, permise una grande varietà nel campo religioso. Credente era quegli stesso, che fu considerato il suo iniziatore e banditore, Giovanni Locke, né incredulo fu l'abate Condillac, il filosofo della sensazione trasformata: dal Locke insomma al Condillac, al Voltaire, al Bonnet, al Cabanis, al Diderot, all'Helvetius, tutte o quasi tutte le gradazioni della fede furono ammesse. (p. 3)
  • Se si leggono [...] con attenzione i Promessi Sposi, si vede chiaramente che il Manzoni, quando scriveva il suo grande romanzo, rispecchiava ancora, per ciò che concerne le idee filosofiche, lo spirito del sec. XVIII, che dal Sensismo era condotto all'Ideologia, all'analisi cioè delle idee, per ritrovarne gli originari elementi sensitivi. (p. 5)
  • Sulle questioni propriamente filosofiche o metafisiche il Sensismo non si pronunciava; e benché si adattasse alle più diverse credenze, riuscendo, a seconda dei casi, o al Materialismo o al Panteismo e persino all'Idealismo o allo Spiritualismo, la sua logica e diretta conseguenza era l'Agnosticismo. (p. 5)

Sul materialismo storico

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  • La dialettica della storia non sta, per così dire, nella testa, ma nello stomaco dell'umanità. Non sono adunque le idee che guidano le società, ma i bisogni economici. Tale è il concetto fondamentale del materialismo storico. (p. 10)
  • [...] la scienza della storia tanto più progredirà, quanto maggiore sarà il numero dei fatti, che si potranno spiegare colle leggi economiche. Finché i fatti storici si spiegano colle idee, non si può essere sicuri di aver dato una spiegazione definitiva: voi mettete in rilievo certe idee, altri ne mettono in rilievo altre; voi guardate le cose da un lato, altri le guarda da un altro. La storia esaminata al solo lume dei principii ideali può ben rassomigliarsi a una scacchiera, in cui le pedine appaiono in serie diverse secondo il punto da cui si fa l'osservazione. (p. 15)
  • Il Materialismo sostituito all'Idealismo storico non è altro [...] che il mondo delle cose sostituito al mondo dei valori, e, tutte le volte che questa sostituzione avviene, la scienza progredisce. (p. 15)

Sulla natura delle proposizioni logiche

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  • [...] il Lange vuol fare per la Logica ciò che il Kant fece per la Matematica, vuol mostrare cioè che anche le proposizioni della logica sono di natura sintetica. La natura di tutti i giudizi necessari cioè a priori dev'essere la stessa, egli dice: o sono tutti analitici o sono tutti sintetici. (p. 6)
  • Il Lange [...], in conformità coi suoi principî, ritiene, sul fondamento del Baumann, che l'idea di numero derivi molto meglio dall'idea di spazio che da quella di tempo. L'idea di numero come quella di tempo sono per lui rappresentazioni posteriori rispetto all'idea di spazio. (p. 22)
  • [...] data la possibilità di una forma matematica della logica, resta a sapere se per questa via la logica romperà definitivamente col suo passato, mettendosi, come le discipline matematiche, in una via di sempre nuovi aumenti e di continui progressi. Io qui non sono dell'opinione del Lange, del Boole, del Ievons, dello Schröder e degli altri. L'applicazione della matematica, se allargherà in un punto o in un altro i confini della logica formale, non varrà a fare di questa una scienza al tutto nuova, come pretendono alcuni dei contemporanei. La logica è evidentemente una scienza più generale della matematica; l'algebra dei concetti, diceva il Riehl, è più universale che l'algebra dei numeri; la matematica suppone idealmente la logica. Il ragionamento matematico è sempre un ragionamento, che suppone le leggi formali del pensiero. Benché le matematiche si fondino sull'intuizione, il principio d'identità e contradizione di cui si fa in esse continuo uso non scaturisce dall' intuizione. (p. 26)

Un'antinomia dello spirito umano

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  • È più il male o il bene nel mondo? I pessimisti dicono che è più il male, gli ottimisti che è più il bene. Il Leibniz si trova in faccia lo Schopenhauer: e già prima dello Schopenhauer il Bayle aveva detto: L'uomo è cattivo e infelice: vi sono dappertutto prigioni e ospedali: l'istoria non è che la raccolta dei delitti e degl'infortuni del genere umano. A cui il Leibniz rispose che vi ha incomparabilmente più bene che male nella vita degli uomini, come v'hanno incomparabilmente più case che prigioni e ospedali. La quistione non è risolvibile a posteriori, non potendosi istituire seriamente la somma dei beni e dei mali nel mondo [...]. (p. 3)
  • [...] se debbo dire la mia opinione [sulla prevalenza tra il bene e il male], io credo che abbia più ragione lo Schopenhauer che il Leibniz. La vita ha, secondo me, più dolori e mali che beni e piaceri: i pessimisti hanno il merito di aver fatto osservazioni morali sulla vita più profonde e più giuste che gli ottimisti, i quali si sono generalmente contentati della superficie delle cose. Quando anche la vita scorresse come un placido fiume non increspato mai dall'acre vento del dolore, basterebbe la morte a provare che essa non è un bene. (p. 4)
  • Il Pessimismo ha facilmente ragione dell'Ottimismo, finché si guarda la realtà, ma non è più così, se dal reale si passa all'ideale. Il Pessimismo può distruggere la concezione ottimistica della Natura e dell'Universo, la pretensione dell'Ottimismo a diventar dogmatico, dandosi per il vero interprete della realtà; ma non la tendenza dello spirito a un ideale di pace e di serenità, di perfezione e d'armonia. Come ben dice il Lange, la distruzione tocca il dogma, non l'ideale. (p. 19)

Bibliografia

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