Yehiel De-Nur

scrittore polacco
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Yehiel De-Nur o Yehiel Feiner (1909 – 2001), deportato nazista e scrittore polacco di origine ebrea. Ha usato come pseudonimo Ka-Tzetnik 135633, il suo numero di matricola nel campo di concentramento.

Yehiel De-Nur

La casa delle bambole

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«Daniella» chiamò l'uomo sommessamente «perché non sei venuta a prendere qualcosa di caldo, la notte scorsa? Ti abbiamo attesa.»
La voce aveva parlato proprio alle sue spalle. Ella seppe immediatamente che si trattava di Vevke. Nessun altro pronunciava tanto marcatamente la "l" del suo nome, mettendovi tuttavia tanta paterna tenerezza.

Citazioni

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  • I desideri ardenti che si annidano nel cuore umano, sono come semi gettati nell'invisibile grembo del cosmo. Essi fioriscono, per lo più, ma quasi sempre in forma tale che il cuore che li ha concepiti non riesce a riconoscerli. (p. 34)
  • Quando il cuore è troppo gonfio bisogna piangere. Che altra consolazione ci resta, di questi tempi? (p. 65)
  • Il ghetto è come un sacco di semi. I tedeschi, di tanto in tanto, mettono la mano nel sacco e ne traggono un pugno. I semi che sfuggono di tra le dita, hanno un po' di respiro. (p. 94)
  • L'uomo aveva capito che la sua ora era vicina. Sapeva che la sua casta sposa stava per partire per sempre. Lo abbandonava. Ma prima che ella partisse, aveva raccolto le sue ultime forze per recarsi all'infermeria, per chiedere che lo si aiutasse a versare una lagrima. Voleva offrire quella lagrima solitaria alla vita che lo stava lasciando, come si offre un mazzi di rose bianche a chi parte. (1959, p. 127)
  • Ma giunge il momento in cui ci si accorge che anche il cuore ha degli occhi ed era con quegli occhi che ora piangevano tutte le loro lagrime. (1959, p. 144)
  • Le prigioniere avevano dimenticato da dove venivano. Avevano dimenticato che, una volta, erano vissute. (1959, p. 164)
  • La morte è dovunque la stessa. Ma varia la vita, fino al momento della morte. Sulla maschera di un volto spento, cerchiamo le tracce della vita vissuta; non è la morte, che ci fa paura nel volto di un trapassato, ma la vita che lo aveva animato. È quella vita che noi cerchiamo, che tentiamo di visualizzare, quella vita la cui assenza ci riempie di paura. (1959, p. 275)

Sopra le cime degli alberi, oltre il ponte, il nuovo giorno stava già facendosi avanti. Tra poco, il nero furgone si sarebbe fermato dinanzi alla baracca del KB. Daniella giaceva, faccia a terra, con una mano protesa in avanti, sulla strada. "Portali a mio fratello, a Niederwalden." Improvvisamente un raggio di luce forò le tenebre che oscuravano la mente di Fella. Per la prima volta comprese di avere uno scopo per cui valeva la pena di giocare la vita. Si abbandonò completamente a quel nuovo pensiero, come un cieco che veda improvvisamente la luce. Strinse al cuore il diario, nascosto sotto l'uniforme da campo. Tornò a nascondersi nell'oscurità della latrina in modo che nessuno potesse scorgerla lì, a quell'ora, e rimase in attesa del primo rintocco del gong. Il giorno, intanto, si stava avvicinando al campo. Nel passare lungo la strada, sfiorò lieve un corpo schiantato. Parve sostare per un attimo: poi, proseguì il suo cammino.

Bibliografia

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  • Ka-Tzetnik 135633, La casa delle bambole (House of Dolls), traduzione di Alessandro Gallone, Oscar Mondadori, 1959.
  • Ka-Tzetnik 135633, La casa delle bambole (House of Dolls), traduzione di Alessandro Gallone, Oscar Mondadori, 1970.

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