Wendy Doniger

scrittrice e indologa statunitense
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Wendy Doniger O'Flaherty (1940 – vivente), indologa e saggista statunitense.

  • A dispetto di ciò, si dovrebbe evitare di vedere una contraddizione o un paradosso là dove un hindu vede soltanto un'opposizione secondo il senso indiano – opposti correlati che agiscono come identità interscambiabili in relazioni necessarie. Il contrasto fra il carattere ascetico e quello erotico nelle tradizioni e nelle mitologie di Śiva non è della specie "congiunzione degli opposti", concetto col quale spesso si è fatta confusione. Ascetismo (tapas) e desiderio (kāma) non sono diametralmente opposti come possono esserlo bianco e nero, o caldo e freddo, dove la presenza completa di un aspetto esclude automaticamente l'altro. Essi sono, nei fatti, due forme di calore, essendo tapas il fuoco distruttivo o creativo che l'asceta genera dentro di sé, kāma il calore che viene dal desiderio. Sono forme strettamente connesse in termini umani, opposte in quel senso in cui possono esserlo amore e odio, ma non mutuamente escludibili.
Wendy Doniger nel 2012
In spite of this, one must avoid seeing a contradiction or paradox where the Hindu merely sees an opposition in the Indian sense – correlative opposites that act as interchangeable identities in essential relationships. The contrast between the erotic and the ascetic tradition in the character and mythology of Śiva is not the kind of 'conjunction of opposites' with which it has so often been confused. Tapas (asceticism) and kāma (desire) are not diametrically opposed like black and white, or heat and cold, where the complete presence of one automatically implies the absence of the other. They are in fact two forms of heat, tapas being the potentially destructive or creative fire that the ascetic generates within himself, kāma the heat of desire. Thus they are closely related in human terms, opposed in the sense that love and hate are opposed, but not mutually exclusive.[1]
  • Il prologo del Bhāgavata identifica quindi Vyāsa quale narratore, sebbene non come narratore specifico di questo testo.
The Bhāgavata prologue then identifies Vyāsa as a storyteller, though not specifically as a narrator of this text.[2]

La vita degli animali modifica

  • [...] esistono nessi inevitabili tra la comunione con gli animali, la compassione per gli animali, e il rifiuto di far soffrire, se non necessariamente il rifiuto di uccidere e/o mangiare gli animali. (p. 111)
  • Così, sia che si possa o no dimostrare che uccidere animali a scopo di nutrimento o di sperimentazione è un male [...] e sia che si possa o no dimostrare che gli animali soffrono come noi, e sanno di morire, noi potremmo prendere dal contesto sudasiatico l'argomento molto saggio che noi sappiamo che essi moriranno, e per questa ragione è male ucciderli. (p. 117)
  • Per l'induismo gli animali hanno anime che trasmigrano e una coscienza simile alla nostra, e pur non avendo un linguaggio umano possono comunicare con noi in altri modi che rivelano la presenza di una mente e di un'anima. Ciò non significa, beninteso, che essi pensano e/o sentono esattamente come noi; soltanto che anch'essi pensano e sentono. Il presupposto di Cartesio, che è il pensare a renderci ciò che siamo, è del tutto sbagliato [...]. (p. 120)
  • La reductio ad absurdum della tesi cartesiana [Cogito ergo sum] è espressa dalla barzelletta su Cartesio che ordina una tazza di caffè; quando la cameriera gli chiede: «Desidera panna e zucchero nel caffè, Monsieur Descartes?», lui risponde: «Non penso», e svanisce. (p. 120)
  • Si potrebbe anche sostenere [...] che gli animali stessi comprendono i sentimenti di altri animali, che anche gli animali provano compassione. [...] Anche noi possiamo sicuramente provare dolore nelle nostre zampe, nella nostra coda, nei nostri nodelli e pasturali; forse, se abbiamo un talento particolare, perfino nelle nostre pinne e scaglie. (p. 123)
  • [Gli animali] parlano, e noi rifiutiamo di concedere loro la dignità di essere ascoltati.
    I delfini, poiché non sono pesci ma sembrano pesci, e poiché ci parlano come pochi altri animali sono in grado di fare, violano doppiamente il confine tra le nostre categorie di mammiferi e pesci, e così minacciano la nostra definizione di ciò in cui consiste l'essere umani. Questo spiega, in parte, la riluttanza di alcuni a chiamare «linguaggio» quello dei delfini. E in effetti il linguaggio che si usa per comunicare con i delfini non è né il linguaggio con cui i delfini comunicano tra loro né il linguaggio con cui noi comunichiamo tra noi: è un linguaggio da stele di Rosetta, una sorta di esperanto mammifero. Eppure è un linguaggio, e ci mette in comunicazione con i pesci. (pp. 124-125)

[Wendy Doniger, articolo senza titolo in appendice a John Maxwell Coetzee, La vita degli animali, traduzione di Franca Cavagnoli e Giacomo Arduini, Adelphi, Milano, 2000. ISBN 88-459-1556-5]

Note modifica

  1. Da Śiva – The Erotic Ascetic, Oxford University Press, 1981, p. 35.
  2. Da Echoes of "Mahābhārata", in Purana Perennis: Reciprocity and Transformation in Hindu and Jaina Texts, a cura di Wendy Doniger, State University of New York Press, 1993, p. 33.

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