Storia dell'Africa (saggio)
saggio di Francesca Giusti e Vincenzo Sommella, Donzelli, 2007
Storia dell'Africa, di Francesca Giusti e Vincenzo Sommella, Donzelli, 2007.
- La schiavitù europea fu un nuovo tipo di schiavitù che produsse la crisi delle forme del potere tradizionale basato sulla discendenza e sulla coesione comunitaria. Gli europei, infatti, non catturavano le proprie vittime: erano i capi locali che procuravano i prigionieri da vendere come schiavi. Questa particolare articolazione dei legami sociali africani (che smentisce ogni tesi sulla presunta uniformità del primitivismo) spiega la lunga durata del fenomeno schiavile.
Dopo l'abolizione della tratta, infatti, la schiavitù in Africa rimane una realtà. Gli schiavi «da tratta» diventano gli schiavi «da capanna», onloso, nel linguaggio locale: onloso significa «nascere nella capanna» e sono di proprietà del capo locale che E alloggia, li nutre e concede loro una moglie. Lo schiavo si riproduce ed è costretto a prestazioni di lavoro. Questi schiavi che non possono più essere venduti vanno a costituire una riserva di forza lavoro per il nuovo sfruttamento del suolo africano all'interno di quello che con un'espressione fin troppo gentile è stato definito il «commercio lecito». Tuttavia, la tratta lascia il suo segno: questa nuova forma di schiavitù all'interno delle società africane non garantisce quei seppur minimi diritti che erano consuetudinari prima dell'arrivo degli europei, come l'accesso alla terra e alle risorse in genere. (cap. VI, 5: p. 127) - L'identità etnica di un popolo non costituisce un patrimonio originario e archetipico, ma è piuttosto una costruzione moderna che si è venuta creando nel corso di lotte interne e di sopraffazioni esterne. (cap. VII, 3: p. 140)
- La corsa alle colonie è soprattutto la distruzione di società, stati, imperi che stavano attraversando un periodo di profondi rivolgimenti, tanto che si è parlato di «transizione interrotta». (cap. VIII, 2: p. 155)
- L'invenzione della tradizione è l'aspetto culturale della colonizzazione: dopo la conquista della terra avviene la conquista delle anime. Se gli stati sono «artificiali» bisogna pure creare un passato che possa giustificarli: l'assoluta mancanza di un'idea di stato paragonabile a quella occidentale rende necessario la «riduzione a uno» delle forme di sovranità diffusa africana. I re diventano «il» re; le consuetudini divengono «la» legge prescrittivi e immodificabile. Il «tribalismo» diventa la tradizione peculiare dell'Africa e segna la sua «inferiorità». L'Africa non ha storia perché non ha scrittura e l'Europa colonialista la scrive attraverso gli accademici, gli amministratori locali, i missionari e gli antropologi che definiscono ogni tribù e ogni etnia, assegnando a ciascuna un territorio e separando le une dalle altre, in una visione lontana da ogni processo evolutivo. Le pratiche basate sulla consuetudine e pertanto flessibili e modificabili vengono sostituite dalle leggi della madrepatria e le popolazioni sono rieducate in modo da agevolare e consentire tale innesto europeo. [...] Il tribalismo è una conseguenza dell'impatto del colonialismo su forme di consapevolezza etnica che vengono trasformate da mezzo per rapportarsi agli altri secondo uno schema identitario in chiusura verso gli altri in funzione di un potere concesso. (cap. VIII, 6: p. 167)
- Il peso dei vincoli tradizionali, unitamente al modello di importazione dello «stato-nazione» che in Africa non funziona e non è applicabile, impedisce al fenomeno delle indipendenza e della decolonizzazione di essere una vera trasformazione radicale: da un lato è una vera e propria mobilitazione popolare dal basso per l'emancipazione e la liberazione dei popoli, ma, dall'altro, si tratta in larga parte di una transizione manovrata dall'alto (e talvolta con l'appoggio discreto dei vecchi dominatori) per perpetuare una medesima logica di dominio che non tiene in nessun conto sfere di appartenenza e di giurisdizione che non rientrano nell'alveo di ciò che è considerato «nazionale». (cap. IX, 2: p. 179)
- Di fronte alla realtà contemporanea dell'Africa, quindi, la riflessione sul significato stesso del termine progresso assume un'importanza che va ben al di là dell'Africa ll'Africa stessa L'Africa, infatti, può insegnare che la storia è contem poraneità di luoghi nella diversità dei tempi, che non esiste una progressione unilineare degli avvenimenti e che i fatti non possono essere mai separati dalle intenzioni. L'«afropessimismo» è giustificato, come pure il suo opposto, soltanto se si contempla la realtà in maniera unilaterale, assumendo la parte per il tutto e pensando che la parte prescelta sia l'unica giusta. In realtà, il tempo storico non esiste al di fuori del suo contenuto, di tutti i suoi contenuti: è il modo di essere di movimenti complessi e articolati che non conoscono uniformità e sincronia. («Socialismo africano?» Lo sguardo dell'Occidente: l'Africa e la sfinge del progresso: p. 233)