Ernesto Masi: differenze tra le versioni

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*[...] l'influenza del Montesquieu sulla Rivoluzione francese è paragonabile solamente a quella del [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], di cui il Giacobinismo ed il Robespierre sono una filiazione diretta, mentre il Voltaire e il Diderot sono particolarmente due grandi demolitori. Ma {{sic|tutti quattro}}, insomma, sono grandi nel senso che per primi professano la grande illusione della filosofia del secolo XVIII e dell'Enciclopedismo (la quale diverrà poi quella della Rivoluzione), e che una storia pare chiudersi ed un'altra cominciare da essi. La [[storia]] invece è lì per dimostrare che nulla ha principio, nulla ha fine, ma tutto invece continua, se pure tutto non ricomincia sempre da capo. (vol. 1, cap. 4, p. 57)
*[...] il [[Voltaire]] mi sembra lo stesso secolo XVIII fatto uomo con tutte le sue virtù, le sue colpe ed i suoi contrasti. (vol. 1, cap. 4, p. 60)
*Lo [[Nicola Spedalieri|Spedalieri]] aveva esordito, come scrittore, confutando l'''Esame critico degli Apologisti del Cristianesimo'' di Nicola Fréret e i due capitoli della ''Storia''<ref>''The History of the Decline and Fall of the Roman Empire'' (''Storia della decadenza e caduta dell'Impero romano'').</ref> del [[Edward Gibbon|Gibbon]], nei quali il grande storico inglese volle dimostrare che lo stabilimento e i progressi del Cristianesimo sono spiegabili con ragioni naturali ed umane, al pari di qualunque altro fatto di storia. Inutile dire che agli argomenti del Fréret e del Gibbon la confutazione dello Spedalieri contrappone la fede, i miracoli, la necessità della rivelazione; un punto di vista convenientissimo a lui, ma non conciliabile in nessun modo cogli assunti della filosofia del secolo XVIII e colle illazioni logiche di essa. Lo Spedalieri è dunque un polemista cattolico e non ha niente a che fare non solo cogli Enciclopedisti francesi, ma neppure coi riformisti italiani di quel tempo. (vol. 1, cap. 5, pp. 101-102)
 
==''Saggi di storia e di critica''==
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*Tutta l'opera del Gabelli pedagogista consistette nel mettere pace fra tante dannose contraddizioni, nello svecchiare cioè il nostro insegnamento con temperanza e nel rinnovarlo con discrezione e saviezza, e ogni qual volta il Gabelli slargò ad ufficio di moralista e sociologo [...], propose sempre, si può dire, gli stessi rimedi, mirò sempre al medesimo fine, rinnovare conservando e conservare rinnovando quello che non solo non conduce più al fine, che si vuol conseguire, ma lo contrasta e lo allontana o conduce inconsapevolmente ad un fine opposto. (p. 455)
*[...] al Gabelli pareva che ''formare le teste'' fosse, dopo rifatta la patria, la grande necessità italiana, a cui urgeva di provvedere. (p. 456)
 
==Note==
<references />
 
==Bibliografia==