Aleksandr Ivanovič Gercen: differenze tra le versioni

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*Una città un po' più nuova, ma meno storica e decorativa è [[Torino]].<br>– Sicché vi schizza addosso la sua prosa?<br>Già, ma è più facile viverci, proprio perché è semplicemente una città, una che non è tale nel suo ricordo, ma una città per la vita di ogni giorno, per l'oggi; in essa le vie non rappresentano un museo archeologico, non vi ammoniscono ad ogni passo ''memento mori''; guardate la sua popolazione operaia, la sua fisionomia rude come l'aria alpina, e vi accorgerete che questo è un ceppo più energico dei fiorentini, dei veneziani, e, forse, ancor più risoluto dei genovesi. (1949, p. 408)
*{{NDR|Sui [[Genova|genovesi]]}} È difficile osservarli: vi guizzano di continuo davanti agli occhi, corrono, si {{Sic|affaccendano}}, scorrazzano di qua e di là, si affrettano. I vicoli verso il mare brulicano di gente, ma quelli che stanno fermi non sono genovesi, sono marinai di tutti i mari e di tutti gli oceani, piloti, capitani. Qui una campana, là un'altra campana: Partenza! Partenza! Una parte del formicaio si dà da fare, gli uni caricano, gli altri scaricano. (1949, p. 408)
*Mi trovai a [[Genova]] insieme con certi americani che avevano attraversato l'Oceano da pochissimo tempo. Genova li colpì. Vedevano coi loro occhi tutto quel che avevano letto sul vecchio mondo e non potevano saziarsi di contemplare le vie medievali, ripide, strette, buie, l'insolita altezza delle case, le fortificazioni e i viadotti semidiroccati, ecc.<br>Entrammo nell'atrio di un palazzo. Un grido di ammirazione si sprigionò dal petto di uno di essi: «Come visse questa gente! – ripeteva, – che dimensioni, che bellezza! No, da noi non c'è nulla di simile!» Ed era pronto ad arrossire per la sua America. Gettammo un'occhiata nell'interno d'un vasto salone: ritratti degli antichi padroni, quadri, pareti scolorite, vecchi mobili, vecchi stemmi, aria morta, vuoto... e il vecchio custode con la cuffia di maglia nera, in logora giacchetta nera, col mazzo delle chiavi... tutto diceva che quella non era più una casa, ma una rarità, un sarcofago, il vestigio opulento d'una vita passata.<br>– Sì, – dissi nell'uscire agli americani, – avete completamente ragione, questa gente ''visse'' bene. (''Venezia la bella''; 1949, p. 430)
 
==Bibliografia==