David Batchelor: differenze tra le versioni

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*[[Bianco]] puro: questo è certamente un problema occidentale, e non c'è modo di liberarsene. (cap. 1 ''Scenari del bianco'', p. 6)
 
*L'immaginario di ''[[Cuore di tenebra]]'' è colorato quasi esclusivamente di neri e bianchi. Una contrapposizione, questa, che non coincide con l'altra grande contrapposizione su cui è costruito il racconto, quella fra tenebra e luce, anche se a volte si avvicinano. L'obiettivo di Conrad è la generalizzazione della bianchezza e degli attributi e pregiudizi che si fondono con il termine e sembrano da esso inseparabili. Questa bianchezza generalizzata costituisce il fondale su cui si snoda il racconto, uno schermo imbiancato che viene penetrato e lacerato, ripetutamente, da particolari esempi di cose bianche. Queste cose - denti bianchi, capelli bianchi, ossa bianche, colletti bianchi, marmo bianco, avorio bianco, nebbia bianca – portano sempre con sé un misterioso senso di freddezza, di inerzia e di morte. Bianco, al pari di nero, di luce e di tenebra, diventa un termine estremamente complesso. Per Conrad, chi parla di bianco con sicurezza è, che lo sappia o no, un ipocrita o un folle. (cap. 1 ''Scenari del bianco'', pp. 6-7)
 
*Per [[Melville]], come per [[Conrad]], c'è un'instabilità nell'apparente uniformità del bianco. Dietro alla virtù cova il terrore; al di sotto della purità, annientamento o morte. Non morte nel senso di una vita finita, ma uno sguardo di morte nella vita: l'annientamento di ogni cara credenza e sistema, di ogni speranza e desiderio, di ogni punto di orientamento noto, di ogni illusione... Per entrambi gli scrittori, uno degli esempi più terribili della bianchezza è una immobile, silenziosa «nebbia lattiginosa», che è «più accecante della notte». E ad entrambi, di fronte a simile bianchezza, il colore appare insopportabilmente, quasi ingiuriosamente superficiale. (cap. 1 ''Scenari del bianco'', p. 11)
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*La cromofobia si manifesta nei tanti e vari tentativi di purgare il colore dalla cultura, di svalutare il colore, di diminuirne la rilevanza, di negarne la complessità. Più specificamente: questa espunzione del colore è di solito realizzata in una o due maniere. Nella prima, il colore viene considerato come proprietà di un qualche corpo "estraneo": di solito il femminile, l'orientale, il primitivo, l'infantile, il volgare, il bizzarro o il patologico. Nella seconda, il colore viene relegato al regno del superficiale, del supplementare, dell'inessenziale o del cosmetico. Nell'una, il colore è guardato come alieno e perciò pericoloso; nell'altra, è percepito soltanto come una qualità secondaria dell'esperienza, e quindi non meritevole di seria considerazione. Il colore è pericoloso, è banale, o l'una e l'altra cosa insieme. (È tipico dei pregiudizi fondere in uno il sinistro e il superficiale.) In entrambi i casi, comunque, il colore è di solito escluso dalle più elevate occupazioni della Mente. È altro rispetto ai più alti valori della cultura occidentale. O forse è la cultura che è altro rispetto ai più alti valori del colore. O il colore è la corruzione della cultura. (cap. 2 ''Cromofobia'', p. 19)
 
*Dove troviamo l'idea della Caduta nella cultura contemporanea? Una risposta potremmo trovarla nell'immagine delle droghe - o cultura della [[droga]] - e nel panico morale che la circonda. La "caduta dalla grazia che sono le droghe" è spesso rappresentata in modo non dissimile dalla discesa nel colore descritta da Blanc. Sensuale, inebriante, instabile, non permanente; perdita del controllo, perdita del centro di unità personale, perdita di sé... Ora scopriamo che esiste una relazione abbastanza interessante fra le droghe e il colore, e non è un'invenzione recente. Anch'essa, piuttosto, risale all'antichità, ad Aristotele, che chiamava il colore una droga — pharmakon — e, prima ancora, all'iconoclasta Platone, per il quale un pittore era semplicemente colui che utilizzava «molti [colori] mescolati insieme». A distanza di due millenni e mezzo, non sembra che le cose siano cambiate molto. Negli anni sessanta, per esempio, le droghe erano associate comunemente, e a volte comicamente, non già alla distorsione delle forme quanto all'intensificazione del colore. (cap. 2 ''Cromofobia'', p. 31)
*{{NDR|Su ''[[Il cielo sopra Berlino]]''}} Le prime domande che l'angelo pone riguardano i nomi dei colori che egli vede. La sua caduta dalla grazia è una caduta nel colore, con un rumore sordo. È una caduta dal mondo degli spiriti disincarnati che tutto osservano nel mondo del particolare e del contingente, il mondo dell'esistenza sensibile, del caldo e del freddo, del gusto e del tatto, ma soprattutto è la caduta in un mondo di desiderio. È la caduta in un mondo di coscienza e di Io, o piuttosto la caduta da una supercoscienza nella coscienza individuale, ma è una caduta nell'Io realizzata con lo scopo esplicito di perdere l'Io nel desiderio. (cap. 2 ''Cromofobia'', pp. 38-39)
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*Il [[bianco]] deve essere più bianco del bianco e, per ottenere questo, gli si deve aggiungere colore. (cap. 2 ''Cromofobia'', p. 56)
 
*Il [[colore]] è pericoloso. È una droga, una perdita di coscienza, una specie di cecità, almeno momentanea. Il colore richiede, sfocia in - o forse è proprio - una perdita di centro della persona, una perdita di identità, di Io. Una perdita della mente, una specie di delirio, una specie di follia forse. (cap. 3 ''Apocalypstick'', p. 57)
 
*{{NDR|Il colore cosmetico}} comporta spesso l'imposizione di uno strato artificiale o illusorio di colore sopra un mondo monocromatico. Come dire, nel primo gruppo {{NDR|il colore della caduta}} il colore sta sotto al superficie; nel secondo gruppo, è posto sopra la superficie. Nel primo, il colore è nascosto dentro; nel secondo, il colore è applicato all'esterno. (cap. 3 ''Apocalypstick'', p. 57)
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*Se i [[cosmetici]] possono sia valorizzare la bellezza sia nascondere la bruttezza, essi possono anche soffocare la vita. Sono realmente contro natura; possono essere usati per decorare un cadavere, ma possono anche fare un cadavere di quello che decorano. (cap. 3 ''Apocalypstick'', p. 66)
 
*[...] nell'opera di [[Andy Warhol|Warhol]] c'è sempre una distinzione tra la forma e la sua colorazione, una registrazione sfalsata fra linea e colore. La tipica incapacità di Warhol a mantenere il colore dentro la linea - la sua incapacità a contenere e recintare i suoi vividi rosa, arancioni, rossi, gialli e turchesi entro la disciplina di un contorno - è uno dei motivi del suo grande successo. In tutte le sue opere, il ''disegno'' e il ''colore'' sono in costante stato di reciproca agitazione. (cap. 3 ''Apocalypstick'', p. 70)
 
*Il colore non è mai ridotto a semplice «chiaroscuro tinto»; non è mai subordinato a volume e spazio. La chimica del colore di Warhol ha l'effetto opposto: distrugge il volume, lo spazio e il modellato; il cosmetico è dappertutto e dappertutto applicato allo stesso modo: alle labbra, alla faccia, alla figura, allo sfondo. (cap. 3 ''Apocalypstick'', p. 71)
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*In ''Pleasantville'' ritroviamo un'altra bellissima scena che rappresenta anch'essa un rovesciamento molto originale dell'immagine convenzionale del colore e del trucco. E il cuore del film, e ancora una volta centrale è la figura della madre. [...] Ancora una volta il colore è presentato come permanente e irresistibile; non può essere cancellato, può solo essere nascosto dietro una maschera monocroma, e solo per una situazione provvisoria. (cap. 3 ''Apocalypstick'', p. 83)
 
*Il [[colore]] è sia una caduta nella natura, che può essere a sua volta una caduta dalla grazia o una caduta nella grazia, sia contro la natura, e può dar luogo a una corruzione della natura o alla libertà dalle sue forze di corruzione. Il colore è una caduta nella decadenza e un recupero di innocenza, un'aggiunta falsa a una superficie e la verità sotto quella superficie. Il colore è disordine e libertà; è una droga, ma una droga che può intossicare, avvelenare o curare. Il colore è tutte queste cose, e più ancora, ma molto raramente è solo colore ''neutrale''. In questo senso, la cromofobia e la cromofilia sono sia diametralmente opposte sia abbastanza simili. In particolare, sono spesso notevolmente simili nella forma. Nelle occasioni in cui al colore è riconosciuto un valore positivo, quello che colpisce di più è come il suo versante cromofobico - che è il femminile, l'orientale, il cosmetico, l'infantile, il volgare, il narcotico e così via - per lo più non sia bloccato, fermato e dirottato. Al contrario: nei racconti cromofili, questo processo è di solito insieme proseguito e ''accelerato''. Il colore rimane altro; in realtà, spesso diventa più altro che prima. Più pericoloso, più disgregante, più eccessivo. E forse questo è il punto. La cromofobia non ha effettivamente il suo opposto nella cromofilia; la cromofobia potrebbe essere vista semplicemente come una versione debole della cromofilia. Il che vuol dire: la cromofobia riconosce l'alterità del colore ma cerca di dargli poca importanza, mentre la cromofilia riconosce l'alterità del colore e gli dà importanza. La cromofobia è forse solo la cromofilia senza il colore. (cap. 3 Apocalypstick, pp. 84-85)
 
*Qui il colore è attivo; è vivo. Il colore proietta; non è rivestimento passivo di un oggetto inerte; la luce la si vede splendere al suo interno; il colore sembra avere la sua propria fonte di potere. Forse questo è il motivo per cui le [[Gemma (mineralogia)|gemme]] stanno spesso per il colore in generale. (cap. 4 ''Hanunoo'', p. 88)
 
*Il [[corpo]] è uno dei mezzi con cui noi ci esprimiamo quando esauriamo le parole. Il colore è così connesso con il corpo in almeno due modi: è applicato al corpo come trucco, ed è alleato con il corpo nella sua resistenza alla verbalizzazione. Inoltre, con il trucco non solo rendiamo i nostri corpi più visibili e vividi, ma li rendiamo anche più espressivi e articolati. Spesso noi affrontiamo il mondo con un [[gesto]] piuttosto che con una parola, mostrando piuttosto che dicendo. Indicando. Portando campioni. Tirando fuori cose e mettendole giù. Anche le parole tradiscono la nostra dipendenza da qualche muto gesto: quando spieghiamo qualcosa, noi "la mostriamo"; quando qualcosa è spiegata, noi l'"afferriamo". Quante volte, quando si tratta di colore - quando, cioè, abbiamo bisogno per qualche ragione di essere precisi a proposito del colore - siamo costretti a ritornare a un gesto? Quante volte ci troviamo a dover indicare un esempio di colore? (cap. 4 ''Hanunoo'', p. 102)
 
*Il [[colore]] è indivisibilmente fluido. Non ha divisioni interne, e non ha forma esterna. Ma come possiamo descrivere quello che non ha divisioni interne né forma esterna, come una nebbia vista dall'interno? Il colore è magari un continuum, ma il continuum viene continuamente spezzato, l'indivisibile incessantemente diviso. Il colore è senza forma ma è sempre configurato in modelli e forme. (cap. 4 ''Hanunoo'', p. 105)