Khaled Fouad Allam: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
 
Riga 4:
*Il processo a [[Saddam Hussein]] e la sua condanna a morte non sortiscono lo stesso effetto di quello a [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], non solo perché i contesti storico-politici sono differenti, ma perché nel caso iracheno manca un attore fondamentale in ogni evoluzione storica: la società civile, che nei paesi dell'est è riuscita in molti casi a riappropriarsi del proprio destino. Nel mondo arabo la società civile esiste ma è debole, perché legata a strutture che ne impediscono una reale autonomia. è difficile parlare di opinioni pubbliche arabe come si intendono in Occidente, in quanto la società civile non è aperta; essa reagisce sempre in funzione dei suoi legami - la famiglia, il luogo d'origine, l'appartenenza politica - ma soprattutto in funzione del peso della realtà comunitaria, che le impedisce di autonomizzarsi. La reazione al processo e alla condanna a morte di Saddam Hussein è subordinata a un certo immaginario collettivo del mondo arabo, che reagisce a seconda della sensazione di considerarsi i vincitori o i perdenti della storia. Ma esiste un altro elemento che nel caso specifico del processo a Saddam tende a diminuire il possibile effetto di quella decisione: opinione molto diffusa nel mondo arabo, collegata a un anti-americanismo diffuso, è che il rovesciamento del regime di Saddam sia il risultato di una "rivoluzione per delega": tutt'altro scenario della rivoluzione contro Ceausescu.<ref>Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/11/06/il-rischio-di-farne-un-martire-eroe.html?ref=search ''Il rischio di farne un martire eroe dell'islamo-nazionalismo''], ''la Repubblica'', 6 novembre 2006.</ref>
*I cannoni entrati a Bagdad non hanno solo spezzato e cancellato un regime, un potere, un'ideologia, ma hanno rovesciato l'equilibrio tradizionale di una società; certo, sono stati mandati via un dittatore e la sua équipe, si è senza dubbio liberata una società: ma tutt'a un tratto le tradizionali élite sunnite, quelle che per secoli avevano definito culturalmente questo angolo del mondo, si trovano ai margini della storia, e vi rimarranno. La prima conseguenza della guerra sarà infatti l'introduzione del voto maggioritario, poiché è in nome della democrazia che questa guerra si è fatta: essendo gli [[Sciismo|sciiti]] maggioranza nel paese, per la prima volta nella storia saranno soprattutto loro ad accedere al potere. Il risultato è che la strategia terroristica in atto, che vede l'alleanza fra radicalismo islamico e nazionalisti arabi, tende a impedire, costi quel che costi, l'ascesa al potere degli sciiti, considerata un'offesa della storia.<ref name="lottapotere">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/11/13/la-lotta-per-il-potere-tra-due.html?ref=search ''La lotta per il potere tra due nazionalismi''], ''la Repubblica'', 13 novembre 2003.</ref>
*A noi [[Sunnismo|sunniti]] hanno insegnato che lo [[sciismo]] è il lato irrazionale dell'islam; che loro sono nell'errore, noi nella verità. Da questa divisione l'islam non si è mai liberato.<ref name="boulevardteheran">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/06/17/nei-boulevard-di-teheran-nessuno-pensa-piu.html?ref=search ''Nei boulevard di Teheran nessuno pensa più alla rivoluzione''], ''la Repubblica'', 17 giugno 2005.</ref>
*L'[[Iran]] non è ciò che comunemente si crede in Occidente. E gli iraniani amano il loro Paese. Ho visto molti sorrisi, sono rare le persone dallo sguardo cupo. Si vuole vivere normalmente, semplicemente; anche se la ritualità rivoluzionaria condiziona ancora per alcuni versi i comportamenti, si cerca di inventare una normalità. Ho visto ragazze e ragazzi lanciarsi sguardi dolci, ed è commovente vederli nelle strade o nelle tea-room non abbracciarsi o tenersi per mano come si fa in Occidente - ciò che la morale rivoluzionaria impedisce - ma limitarsi a sfiorare delicatamente le dita della mano dell'innamorato.<ref name="boulevardteheran"/>
*Paradossalmente non è la questione curda che oggi definisce una linea di frattura nello scenario iracheno, bensì la questione sciita, e ciò avviene per diversi motivi: i [[curdi]] sono definiti territorialmente, e hanno già avviato un processo di democratizzazione nella no-fly zone; la decisione turca di non inviare per il momento truppe in Iraq è significativa in proposito. Per gli sciiti la questione è più complessa: non sono definiti territorialmente, la loro identità è confessionale e non etnica come nel caso dei curdi, e inoltre una parte degli sciiti ha un doppio punto di riferimento: Bagdad e Teheran. Non si scordi che l'ayatollah al Hakim, assassinato nel settembre scorso, tornava da un esilio in Iran. Perciò gli sciiti costituiscono la vera incognita: quale tipo di sciismo avremo in Iraq, quello rivoluzionario o quello democratico? Vi saranno tentazioni di egemonia regionale da parte di Teheran? E in questo scenario, quale sarà la futura reazione della Turchia, che pure ha dato finora prova di grande saggezza? Perché in realtà queste geografie nascondono un antico conflitto mai sopito: quello della grande rottura (fitna) fra sciiti e sunniti.<ref name="lottapotere"/>
*Per i [[Talebani|taliban]] il mondo sufi rappresenta l'avversario per eccellenza, da combattere ed eliminare, forse perché l'islam mistico contiene in sé l'alternativa all'islam politico.<ref name="patriaorrore">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/04/11/afghanistan-patria-dell-orrore.html?ref=search ''L'Afghanistan patria dell'orrore''], ''la Repubblica'', 11 aprile 2007.</ref>