Antonio Capizzi: differenze tra le versioni

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* La novità è dunque questa, che ad Atene è sorto un nuovo tipo di sofista pagato per migliorare la perizia verbale dei suoi discepoli, e non l'abilità manuale: essenziale è la lingua, non i contenuti del discorso; e se per caso tra questi contenuti compaiono nozioni scientifiche, ciò non avviene per «filosofia», amore del sapere, ma per «filologia», amore del discorso, inteso come grammatica, retorica e argomentazione. (pp. 94-95)
*[...] [[Aristotele]] aveva ben compreso che i sofisti, diversamente dai retori del suo tempo, non miravano al miglioramento della tecnica, ma ai risultati di essa. Si trattava non di «parlare di», ma di «parlare a»; di vincere le resistenze dell'ascoltatore trasformando la persuasione in costrizione, in violenza; di ottenere la ''credibilità'' e, attraverso essa, il successo. In regime democratico il successo era sulle folle per ottenere voti e sui giudici per vincere i processi: successo giudiziario e soprattutto politico, al punto che ormai il politico era detto «retore»; e gradualmente l'uso poetico del linguaggio cede il posto a quello politico, e i sofisti (pur non impegnati personalmente in una fazione piuttosto che in un'altra) forniscono agli uomini di tutte le fazioni una terminologia politica che, collocandosi alla base dei frequenti dibattiti sullo Stato e sulle sue possibili costituzioni, incrementa la lotta tra le classi. In questo senso, formalmente e non contenutisticamente politico, nel senso cioè di una puntuale educazione dei giovani a un inserimento politico, ''non importa di quale fazione'', vanno lette le pagine del ''Protagora'' in cui il protosofista si proclama educatore politico. (pp. 101-102)
* Lo stretto rapporto dei primi sofisti con Pericle non poteva non produrre un interscambio tra il loro legame con la prassi democratica [...]; ma di nuovo va dissipato l'equivoco che vuole un'adesione dei sofisti alla ''fazione'' periclea. Zenone e Protagora non erano uomini di parte democratica, il loro nesso con la democrazia (che non può certo essere negato) era puramente metodologico: essi educavano a quella libera discussione (''isegoría'') che della democrazia era parte integrante, all'efficace uso del ''lógos'' che (sempre in armonia coi canoni della democrazia) è la forza del debole; cosicché si potrebbe dire al massimo che essi apportassero, non solo al partito di Pericle ma ad ogni tendenza politica, quella che oggi chiamiamo «educazione civica». (pp- 117-118)
* [...] Il lettore mi consenta, eccezionalmente, una notazione personale. Qualche caporale dell'esercito «conservatore» (quello, per intenderci, che vede sfavillare di metafisica aristotelico-hegeliana ogni pagina dei presocratici) muove dall'«antologia» di [[Ippia]] e dai papiri di Derveni per dedurre che «dei presocratici (o almeno dei filosofi della Ionia») scrissero per primi non Aristotele nella ''Metafisica'' e Platone qua e là nei suoi dialoghi, bensì, con qualche decennio di ulteriore anticipo, Ippia e l'autore di Derveni» (il che, se prescindiamo dalla parola «filosofi», è inoppugnabile, una volta che Ippia menziona Talete e l'anonimo fa il nome di Eraclito); ma poi, intonando la marcia trionfale dell'''Aida'', proclama che «questa conclusione, apparentemente obbligata, è tale da rimettere in discussione il Leit-motiv di un recente libro di A. Capizzi, ''La repubblica cosmica'', [...] in cui si sostiene che Platone ed Aristotele attribuirono per primi e del tutto a torto lo status di filosofi a personaggi (quali appunto Talete ed Eraclito) che tali non si considerarono e non furono».<ref>{{cfr}} Livio Rossetti, ''La Filosofia Greca da Omero a Teofrasto negli studi recenti'', estratto da AA.VV., ''Grande antologia filosofica. Aggiornamento bibliografico, vol. XXXII'', Milano s.d. 1987, p. 81.</ref> A me veramente risulta: a) che il sunnominato Capizzi nel libro citato attribuisce al solo Aristotele la mistificazione in oggetto, mettendo invece in evidenza [...] come Platone non chiami mai «filosofo» nessun sapiente presocratico e legga correttamente l'intera scienza pre-periclea come una serie di miti a sfondo politico; b) che né Ippia né il papiro definiscono mai «filosofo» l'autore citato; c) che, se davvero Talete è nominato nel contesto dell'antologia, e se l'antologia è una raccolta di miti, la citazione dà ragione a Platone e torto ad Aristotele, mostrandoci come prima della metà del quarto secolo la sapienza ionica venisse considerata mitica e non filosofica. E allora? E allora, «lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti». (pp. 167-168)
* In Eschilo le due voci in conflitto sono esterne, e l'eroe sceglie, oltre che tra due azioni, tra due persone [...]. La regola comincia a incrinarsi nel teatro di Sofocle, dove la voce esterna è una sola, e la scelta consiste nel darle ragione o torto; l'altra voce viene evidentemente dall'interno del personaggio cui tocca scegliere, cosicché l'alternativa è tra mondo interiore e mondo esterno [...]. Tocca ad Euripide scoprire il conflitto, destinato a prevalere nel teatro senecano e moderno, tra due voci entrambe interiori [...]. Ma, a prescindere dalla «modernità» di Euripide, la scelta difficile, lacerante, personale, fonte comunque di mali e rimorsi, resta il cuore della tragedia, conseguenza diretta dello scontro tra morali opposte da cui essa nasce. Il tragico è il mondo in cui due morali si dilaniano; ma non il mondo in cui l'eroe fa apparire l'una migliore dell'altra, bensì il mondo in cui l'eroe stesso, senza minimamente dissimulare la pari validità di entrambe, deve scegliere un comportamento che è comunque bene per l'una e male per l'altra, e sceglierlo con immensa sofferenza e con totale sincerità. (pp. 141-143)
* [...] Il lettore mi consenta, eccezionalmente, una notazione personale. Qualche caporale dell'esercito «conservatore» (quello, per intenderci, che vede sfavillare di metafisica aristotelico-hegeliana ogni pagina dei presocratici) muove dall'«antologia» di [[Ippia]] e dai papiri di Derveni per dedurre che «dei presocratici (o almeno dei filosofi della Ionia») scrissero per primi non Aristotele nella ''Metafisica'' e Platone qua e là nei suoi dialoghi, bensì, con qualche decennio di ulteriore anticipo, Ippia e l'autore di Derveni» (il che, se prescindiamo dalla parola «filosofi», è inoppugnabile, una volta che Ippia menziona Talete e l'anonimo fa il nome di Eraclito); ma poi, intonando la marcia trionfale dell'''Aida'', proclama che «questa conclusione, apparentemente obbligata, è tale da rimettere in discussione il Leit-motiv di un recente libro di A. Capizzi, ''La repubblica cosmica'', [...] in cui si sostiene che Platone ed Aristotele attribuirono per primi e del tutto a torto lo status di filosofi a personaggi (quali appunto Talete ed Eraclito) che tali non si considerarono e non furono».<ref>{{cfr}} Livio Rossetti, ''La Filosofia Greca da Omero a Teofrasto negli studi recenti'', estratto da AA.VV., ''Grande antologia filosofica. Aggiornamento bibliografico, vol. XXXII'', Milano s.d. 1987, p. 81.</ref> A me veramente risulta: a) che il sunnominato Capizzi nel libro citato attribuisce al solo Aristotele la mistificazione in oggetto, mettendo invece in evidenza [...] come Platone non chiami mai «filosofo» nessun sapiente presocratico e legga correttamente l'intera scienza pre-periclea come una serie di miti a sfondo politico; b) che né Ippia né il papiro definiscono mai «filosofo» l'autore citato; c) che, se davvero Talete è nominato nel contesto dell'antologia, e se l'antologia è una raccolta di miti, la citazione dà ragione a Platone e torto ad Aristotele, mostrandoci come prima della metà del quarto secolo la sapienza ionica venisse considerata mitica e non filosofica. E allora? E allora, «lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti». (pp. 167-168)
 
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