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*[[Agostino Depretis|Depretis]] era un uomo austero la cui unica stravaganza consisteva in una vistosa barba bianca. Anche da primo ministro visse sempre in una camera ammobiliata affittata in casa di una ''coiffeuse'' francese, ed era lì che, quando giaceva con uno dei suoi attacchi di gotta, riceveva sia i colleghi del parlamento sia ambasciatori e principi. Personalmente era incorruttibile, ma possedeva un tocco simile a quello di Mida, che corrompeva tutto ciò che si trovava a portata delle sue mani: destra e sinistra, ricchi e poveri. Depretis, diceva il deputato della destra [[Silvio Spaventa]], era come un gabinetto pubblico, che resta pulito anche se vi passa ogni sorta di immondezza. (''Parte seconda'' Umberto e Margherita (1878-1900), p. 91)
*{{NDR|La [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|duchessa Litta]]}} Aveva sette anni più del re {{NDR|[[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} e quattordici più di [[Margherita di Savoia|Margherita]]. «Mi sembra ormai mia nonna»<ref>C. Casalegno, ''La regina Margherita'', Torino, 1965, p. 88. {{NDR|N.d.A., p. 465}}</ref> diceva in quegli anni Margherita ridacchiando. Tuttavia, anche allora, a cinquant'anni, la duchessa era molto bella. Era una bellezza severa e aristocratica e al tempo stesso possedeva delle qualità di ingegno ed una certa aria verginale che ispirò al compositore [[Arrigo Boito|Boito]] una melodia ed al Vela un quadro raffigurante una donna immersa nella preghiera mattutina. (''Parte seconda'' Gli allegri anni '80, p. 142)
*Si diceva che, quando {{NDR|[[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} sedeva sul trono, non riusciva a toccare il pavimento coi piedi, ma questo non era vero: purché restasse sull'orlo del sedile. Era troppo basso per il servizio militare e, affinché potesse occupare il giusto posto di comandante in capo, l'esercito fu costretto ad abbassare il livello di statura prestabilito ad un metro e cinquantuno; questo non fece tuttavia aumentare di molto il numero dei soldati perché bisogna onestamente dire che, salvo alcune eccezioni, il re era l'adulto più basso di tutta l'Italia.<br>Insistere sulla sua statura è importante perché nella misura in cui gli uomini fanno la storia, questa sua piccolezza, che lo obbligava a guardare il mondo come lo guarda un verme, doveva influenzare tutta la storia italiana della prima metà del secolo non meno della guerra, del comunismo e di Mussolini. È una considerazione offensiva, ma, come vedremo, risponde a verità. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), p. 195)
*{{NDR|Vittorio Emanuele III}} Non sarebbe stato l'ultimo sovrano di Casa Savoia perché questo merito spettò al figlio [[Umberto II di Savoia|Umberto]], un giovane scapestrato il cui regno durò soltanto un mese, ma avrebbe bollato col marchio dell'infamia la propria dinastia, ne avrebbe causato l'ignominiosa fine e, dopo l'abdicazione, bandito dal suo beneamato paese, sarebbe morto a migliaia di chilometri dalla patria.<br>[...] fu il simbolo più autentico di Casa Savoia. Impersonò con eccezionale perfezione novecento anni di piccineria, di furbizia, di apatia, di debolezza, di incredibile egoismo e di tutte le altre astute qualità che la natura dona agli esseri di piccole proporzioni. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), p. 196)
* Incolore, amorfo, banale, {{NDR|[[Giovanni Giolitti]]}} era passato attraverso la vita levandosi solo di tanto in tanto verso l'alto come fa il passero. Impiegato civile fino all'età di quarant'anni, poi funzionario amministrativo e quindi parlamentare, non amava né la retorica di [[Francesco Crispi|Crispi]] né la magniloquenza di [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]]; gli piacevano l'aritmetica e la contabilità, il che lo rendeva particolarmente sensibile alle sottili sfumature della cupidigia umana e alle debolezze degli altri nella misura in cui esse gli potevano essere addebitate oppure accreditate. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), p. 215)
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*Caporetto fu anche l'ultima vittoria dell'esercito austro-ungarico e dell'Impero. La minaccia dell'invasione galvanizzò il popolo come non era mai accaduto in passato e perfino alcuni socialisti si dichiararono pronti a combattere all'ultimo sangue. Un piccolo gruppo di essi si recò perfino in Russia, dopo la resa del Palazzo d'inverno a Pietrogrado, per cercare di persuadere [[Lenin]] a non ritirarsi dal conflitto. Ma il leader rivoluzionario li ingiuriò chiamandoli «idioti» e agenti dell'imperialismo e della borghesia. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), p. 262)
*Nel giro di sessant'anni l'Italia unita aveva compiuto un ciclo completo. Mentre a suo tempo la plebe di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] in camicia rossa aveva fatto dono dell'Italia a Vittorio Emanuele II, ora Mussolini, il figlio in camicia nera di un fabbro di paese, ne chiedeva la restituzione a Vittorio Emanuele III. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), p. 281)
*Nel 1939 il re imperatore [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] compì settant'anni. Da duecento anni ormai nessun principe regnante sabaudo era vissuto tanto a lungo da raggiungere quell'età; ed era un risultato genetico notevole per un primogenito del ramo Carignano della dinastia; ramo in cui i primogeniti morivano solitamente giovani. La sua sfida alle leggi della longevità e la povertà del sangue che scorreva nelle sue vene, dovuta ad un amore tra consanguinei<ref>[[Umberto I di Savoia|Umberto I]] e [[Margherita di Savoia]], genitori di Vittorio Emanuele III, erano cugini.</ref>, si rifletteva nel suo aspetto, negli occhi e nella pelle incartapecorita del volto. Rughe profonde percorrevano la sua fronte, i capelli erano caduti e i pochi rimasti dietro le orecchie, così come i baffetti ben arricciolati sulle labbra in perfetto stile fascista, erano diventati candidi. La sua mascella tremava più di prima, due borse violacee pendevano sotto gli occhi e la bocca era serrata in una smorfia grinzosa di fastidio, come se tutto quello che gli si era accumulato dentro fosse aggrovigliato in un nodo di incessante pena. (''Parte quarta'' La caduta di Casa Savoia (1922-1946), p. 368)
*Il principe {{NDR|[[Umberto II di Savoia|Umberto II]], dopo essere stato nominato nel 1944 luogotenente del Regno<ref>{{cfr}} [[w:Luogotenenza del regno|voce su Wikipedia]]</ref> dal padre Vittorio Emanuele III}} rivelò una personalità completamente diversa da quella del padre, molto meno autoritaria e molto più simpatica. Poco per volta la vita del Quirinale, che Umberto aveva trovato in condizioni di assoluta desolazione, prese un ritmo e uno stile mai più conosciuto da quando Umberto I aveva passeggiato su e giù per i saloni. Furono ripristinati i cavalli e le carrozze, i servitori in livrea, e i balli di corte per i nobili e la gente altolocata. (''Parte quarta'' La caduta di Casa Savoia (1922-1946), p. 450)