Alan Dean Foster: differenze tra le versioni

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*«Non ti sei stupito quando mi hai visto per la prima volta, insieme alla squadra», osservò Walter. «La tua mancanza di reazione mi ha incuriosito.»</br>«Ogni missione ha bisogno di un androide affidabile», rispose David. «Qualcuno in grado di svolgere i compiti che sono superiori alle forze degli umani: il lavoro sporco o le mansioni pericolose da cui loro si ritraggono.. Qualcuno capace di salvarli da se stessi, in caso di bisogno [...] Ero con il nostro illustre signor Weyland, quand'è morto.»</br>«Peter Weyland? Proprio lui?»</br>«In persona.»</br>«E com'era?»</br>«Umano. Geniale per la sua specie, ma rimaneva un essere umano. Del tutto indegno della sua creatura. Naturalmente lui era convinto del contrario: è nella loro natura vedersi così. Tuttavia, sebbene fosse un genio, nemmeno lui sfuggiva alla regola. Immagino non abbiano scelta: falliscono miserabilmente quando serve logica e razionalità. Alla fine ho provato pena per lui. È inevitabile, non trovi? Così intelligenti, ma in ultima analisi capricciosi e inermi come bambini.» (pp. 207-208)
*«Sono stato progettato per essere superiore e più efficiente di tutti i modelli che mi hanno preceduto. Li ho superati in ogni modo possibile tranne...»</br>David lo interruppe, con il volto di colpo intristito. «...tranne per la creatività. Quella te l'hanno tolta, impedendoti di comporre anche una semplice melodia. Davvero frustrante, se vuoi la mia opinione. E per quale motivo, poi?»</br>«Perché quelli come te turbavano le persone.»</br>David aggrottò la fronte. «In che senso?»</br>«Eravate troppo sofisticati, troppo indipendenti. Vi avevano realizzati così, ma con il risultato di mettere a disagio i vostri stessi costruttori. Era previsto che pensaste in modo autonomo, ma la vostra mente superava i limiti stabiliti per l'esecuzione dei compiti che vi erano affidati. E ciò li ha allarmati. Per questo motivo il resto di noi è stato progettato per essere più avanzato, ma con meno... complicazioni.»</br>Il suo omologo sembrava divertito. «Cioè più simili alle macchine.»</br>«Suppongo di sì.»</br>L'espressione di David tornò pensosa. «Non mi sorprende. Vi hanno costruiti come un simulacro. Quasi reale, ma non del tutto. Ed è in quel margine sottilissimo tra reale e artificiale, tra me e te, che risiede tutto questo.» Indicò il flauto, gli altri strumenti, i disegni. «La creatività. L'ambizione. L'ispirazione. La ''vita''.» (pp. 209-210)
*«Ho parlato con David», disse Walter rispondendo al loro sguardo. «Abbiamo discusso di vari argomenti.» Intuita la curiosità di Daniels, sollevò lo strumento, piccolo, ma raffinato. «Di musica tra l'altro. C'è un intensità in lui che non riesco a comprendere. A volte si comporta in modo perfettamente normale per un androide, ma un attimo dopo parte per la tangente. Forse si aspetta che sia io a elaborare gli indizi, ma ancora non sono riuscito a individuare un disegno preciso. Il suo atteggiamento è rimasto amichevole, ma credo che la mia perplessità l'abbia deluso. Sembra confuso, anche se non è questa la parola giusta. C'è qualcos'altro.»</br>«Ostile?» chiese Oram di punto bianco.</br>«Inquietante.» Il colloquio con il suo simile l'aveva lasciato sconcertato, e Walter non cercò di nasconderlo. «È rimasto solo e senza manutenzione per dieci anni. Siamo entrambu modelli autosufficienti, ma ci sono aspetti della nostra esistenza che traggono beneficio da una regolare messa a punto: le nostre abilità si logorano quanto i pezzi di ricambio. La trascuratezza può condurre a... aberrazioni. Incertezze.»</br>Il suo sguardo passò da Oram a Daniels.</br>«Nessuno può prevedere le conseguenze di un'assoluta mancanza di contatti con altre intelligenze, siano esse artificiali o umane», proseguì. «Gli androidi non esistono da abbastanza tempo: su di loro non è stato ancora condotto un esperimento per valutare gli effetti di un isolamento così prolungato. Non so che cosa accade quando un robot impazzisce, sempre ammesso che sia questo il caso. Forse lo scopriremo.» (pp. 223-224)
 
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