Alan Dean Foster: differenze tra le versioni

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*Gigantesca apparizione nella foschia rosata, la regina aliena sovrastava il suo grappolo di uova come un enorme, scintillante Buddha insettiforme. Il teschio irto di zanne era l’incarnazione dell’orrore. Sei arti – due gambe e quattro braccia armate di artigli – sporgevano grottescamente da un addome dilatato. Gonfio di uova, comprendeva un grosso sacco tubolare sospeso all’intrico di tubi e condutture mediante una membrana, come se un lungo tratto d’intestino fosse stato drappeggiato tra i macchinari.</br>Ripley si rese conto di essere passata sotto il sacco un momento prima. Dentro il recipiente addominale, innumerevoli uova ribollivano verso un ovopositore pulsante, come in una disgustosa catena di montaggio. Qui emergevano luccicanti e viscide per essere raccolte da minuscoli fuchi. Quelle versioni in miniatura dei guerrieri alieni correvano avanti ed indietro per soddisfare i bisogni delle uova e della regina. Ignoravano lo spettatore umano in mezzo a loro, concentrati unicamente nella mansione di trasportare il carico in un posto sicuro. (p. 145)
 
=== [[Explicit]] ===
*Intorno a loro i sistemi della Sulaco ronzavano rassicuranti. Ripley raggiunse il reparto medico e tornò nella stiva trascinandosi dietro una barella. Bishop le assicurò che era in grado di aspettare. Con l’aiuto della barella caricò delicatamente Hicks immerso nel sonno e lo trasportò all’infermeria. L’uomo aveva l’espressione tranquilla, soddisfatta. Aveva dimenticato tutto, godendosi gli effetti dell’iniezione di Bishop.</br>Quanto all’androide, era adagiato sul ponte, con le mani incrociate sul petto e gli occhi chiusi. Ripley non poteva dire se era morto o addormentato. Menti migliori della sua l’avrebbero stabilito una volta tornati sulla Terra.</br>Nel sonno, Hicks aveva perso molto della sua virile rudezza da marine. Ora sembrava un uomo come tutti gli altri. Più bello, però, e certamente più stanco. Tranne che non era un uomo come tutti gli altri. Se non fosse stato per lui sarebbe morta, e anche Newt. Soltanto la Sulaco sarebbe sopravvissuta, un contenitore vuoto in attesa del ritorno di uomini che non sarebbero mai tornati.</br>Pensò di svegliarlo, poi decise di no. In un battibaleno, una volta assicuratasi che i suoi segni vitali erano stabili e che la cicatrizzazione procedeva, lo avrebbe sistemato in una delle capsule da ipersonno.</br>Si voltò ad esaminare la camera del sonno. Tre capsule da attivare. Se era ancora vivo, Bishop non ne avrebbe avuto bisogno. Il sintetico avrebbe probabilmente trovato l’ipersonno frustrante e limitativo.</br>Newt la guardò di sotto in su. Stringeva due dita di Ripley, mentre percorrevano insieme il corridoio. — Stiamo per andare a dormire?</br>— Certo, Newt.</br>— Possiamo sognare?</br>Ripley fissò il faccino e sorrise.— Sì, tesoro, possiamo sognare tutte e due, adesso. (p. 152)