Konrad Lorenz: differenze tra le versioni

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*Presso le [[oca selvatica|oche selvatiche]] il giovane fidanzato suole seguire letteralmente ogni passo della sua promessa. Martina però si muoveva con gran disinvoltura per tutte le stanze della nostra casa, senza preoccuparsi del fidanzato che, cresciuto in libertà, era costretto ad avventurarsi in regioni a lui ignote. Se si pensa alla ripugnanza che hanno le oche selvatiche, uccelli che amano gli spazi aperti, a spingersi anche solo fra i cespugli o sotto gli alberi, Martino ci apparirà come un piccolo eroe: col collo teso seguì un giorno la sua amata attraverso la porta principale, fin nell'ingresso, e poi su per le scale, fino in camera da letto. (p. 19)
*E mentre ancora seguivo con lo sguardo le oche che volavano basse sull'acqua e scomparivano alla prossimità curva del fiume, fui improvvisamente colto da quel senso di meraviglia per le cose note e familiari che è all'origine della filosofia. Provai in me un profondo stupore per la possibilità di una tale dimestichezza con un uccello libero e selvatico, e la constatazione di questo fatto mi rese stranamente felice, come se con ciò si fosse potuto un poco riparare alla cacciata dall'Eden. (p. 20)
*Chi infatti ha contemplato una volta con i propri occhi la bellezza della natura non è destinato alla morte come pensa [[August von Platen-Hallermünde|Platen]], bensì alla natura stessa, di cui ha intravisto le meraviglie. E se ha davvero degli occhi per vedere, costui diverrà inevitabilmente un [[naturalista]]. (2003, p. 22)
*Davanti all'[[acquario]] si può star delle ore assorti in fantasticherie, come quando si contemplano le fiamme del caminetto o le rapide acque di un torrente. E si imparano molte cose durante questa contemplazione. Se gettassi su di un piatto della bilancia tutto ciò che ho imparato a comprendere in quelle ore di meditazione di fronte all'acquario, e sull'altro tutto ciò che ho ricavato dai libri, come rimarrebbe leggero il secondo! (p. 26)
*Tenendo debito conto delle rispettive dimensioni, la voracità e la crudeltà raffinata di questo animaletto eclissano quelle di celebri predatori quali la tigre, il leone, il lupo, la balena, il pescecane e la vespa: tutti sono agnellini in confronto alla larva dei ''[[Ditisco|Dytiscus]]''! (p. 27)
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*E come sono espressivi i gesti di minaccia del gat­to, come si differenziano radicalmente secondo l'og­getto cui essi si rivolgono, secondo che si tratti di un uomo amico che si è preso un po' troppa confiden­za, o di un vero, temuto nemico. (p. 230)
*[...] mi resi conto di una contraddizione dolorosa ma anche consolante: l'animale da preda uccide senza odio, non è affatto ''arrabbiato'' con la creatura che si accinge ad ammazzare; nella sua preda l'uccisore non vede affatto un «tu»! Se si riuscisse a far capire al leone che la gazzella contro cui si accanisce è sua sorella, se si riuscisse a convincere la volpe a vedere un fratello nel leprotto, i due predatori rimarrebbero non meno stupefatti di molti uomini cui si ricorda che il loro nemico mortale è pur sempre un uomo. (pp. 240-241)
*Tutti gli impulsi [[istinto|istintuali]] di un animale selvatico sono congegnati in modo da volgersi infine a vantaggio suo e della specie cui appartiene. Nello spazio vitale di un animale non esiste conflitto fra le sue inclinazioni e un certo «dovere»: tutti gli impulsi interiori sono «buoni». Per l'uomo è andata perduta questa armonia paradisiaca, e le funzioni specificamente umane, come il linguaggio e il pensiero concettuale, hanno permesso l'accumulazione e la trasmissione di un sapere comune. Di conseguenza l'evoluzione ''storica'' dell'umanità segue un ritmo enormemente più veloce dell'evoluzione puramente organica, filogenetica, di tutti gli altri esseri viventi. Però gli istinti, cioè le modalità innate di azione e di reazione, rimangono legati anche nell'uomo al ritmo evolutivo degli organi, che è considerevolmente più lento, e non riescono a tenere il passo con la sua evoluzione storico-culturale [...]. (p. 255)
*La voce dell'[[istinto]], cui l'animale selvatico, nello spazio vitale in cui si trova naturalmente collocato, può ubbidire senza freni, perché essa lo consiglia sempre per il bene dell'individuo e della specie, nell'uomo diviene anche troppo spesso fonte di suggestioni perniciose, ed è tanto più pericolosa in quanto ci parla nello stesso linguaggio in cui ci si manifestano anche altri impulsi, ai quali ancor oggi non solo possiamo, ma dobbiamo ubbidire. L'uomo è quindi costretto a vagliare alla luce del pensiero concettuale ogni singolo impulso, per rendersi conto se gli è lecito seguirlo senza offendere i valori di civiltà da lui stesso creati. (p. 256)
*Ogni vera morale intesa nel senso più alto, e più umano, presuppone delle attività mentali di cui nessun animale è capace. Però, d'altro canto, la [[responsabilità]] non sarebbe possibile senza determinati fondamenti ''emotivi'': anche nell'uomo il senso di responsabilità è saldamente radicato nei profondi «strati» istintuali della sua vita psichica. L'uomo non può fare tutto ciò che gli permetterebbe la fredda ragione: può accadere che il [[sentimento]] si opponga in modo inequivocabile a un'azione i cui motivi etici siano del tutto ineccepibili, e guai a colui che in questo caso darà ascolto alla voce dell'intelletto e non a quella del sentimento. (p. 257)
*Se è vero che il termine [[canicola]] è connesso etimologicamente con i Greci e con Sirio, io lo prendo alla lettera: quando infatti ne ho fin sopra ai capelli del lavoro intellettuale, quando non ne posso più di dire cose intelligenti e di comportarmi come si deve, quando alla vista di una macchina da scrivere sono còlto da una nausea irresistibile, sintomi questi che di solito compaiono verso la fine dell'anno accademico, io divento un cane tra i cani, o meglio un animale tra gli animali. Allora mi ritiro dal consorzio umano e vado in cerca delle bestie, per il semplice fatto che non conosco forse nessuna persona che sia spiritualmente abbastanza pigra per farmi compagnia quando sono in questo stato d'animo. (p. 267)