Ferruccio Masini: differenze tra le versioni

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'''Ferruccio Masini''' (1920 – 1988), germanista, critico letterario, traduttore, aforista e pittore italiano.
==Citazioni di Ferruccio Masini==
''Grandissima grazia d'ombre e di lumi s'aggionge alli visi di quelli che sèdono sulle porte di quelle abitazioni che sono scure, e che li occhi del suo risguardatore vede la parte ombrosa di tal viso essere oscurata dalle ombre della predetta abitazione, e vede la parte aluminata del medesimo viso aggionto la chiarezza che li dà lo splendore de l'aria; per la quale aumentazione d'ombre e lumi 'l viso ha gran rilievo; e nella parte alluminata l'ombre quasi insensibili, e nella parte ombrosa li lumi quasi insensibili. E di questa tale rappresentazione e aumentazione d'ombre e di lumi il viso acquista bellezza''. <br/> (Leonardo da Vinci).
 
==Citazioni di Ferruccio Masini==
Da questa ''aumentazione d'ombre e lumi'' l'avventura viene componendo il suo volto con riverberi quasi insensibili. È così che si rappresenta il suo vivere nel principio, il suo rifluire nel principio come se questo e soltanto questo (''le porte di quelle abitazioni che sono scure'') adunasse in sé le variazioni che poi si svolgeranno con l'occulta insistenza tematica di un preludio. Chi procede nel labirinto dell'avventura è come se passasse tra le cose sfiorandole, ma già sa che ognuna di queste è annodata all'altra dai meandri impalpabili della sua esistenza come in un immenso sortilegio. (da ''Parabola dell'avventura, cap. XXI'', p. 74)<ref>In Ferruccio Masini, ''Filosofia dell'avventura'', Ananke, Torino, 2006, ISBN 8873251315.</ref>
*''Grandissima grazia d'ombre e di lumi s'aggionge alli visi di quelli che sèdono sulle porte di quelle abitazioni che sono scure, e che li occhi del suo risguardatore vede la parte ombrosa di tal viso essere oscurata dalle ombre della predetta abitazione, e vede la parte aluminata del medesimo viso aggionto la chiarezza che li dà lo splendore de l'aria; per la quale aumentazione d'ombre e lumi 'l viso ha gran rilievo; e nella parte alluminata l'ombre quasi insensibili, e nella parte ombrosa li lumi quasi insensibili. E di questa tale rappresentazione e aumentazione d'ombre e di lumi il viso acquista bellezza''. <br/> (Leonardo da Vinci).<br /><br />Da questa ''aumentazione d'ombre e lumi'' l'avventura viene componendo il suo volto con riverberi quasi insensibili. È così che si rappresenta il suo vivere nel principio, il suo rifluire nel principio come se questo e soltanto questo (''le porte di quelle abitazioni che sono scure'') adunasse in sé le variazioni che poi si svolgeranno con l'occulta insistenza tematica di un preludio. Chi procede nel labirinto dell'avventura è come se passasse tra le cose sfiorandole, ma già sa che ognuna di queste è annodata all'altra dai meandri impalpabili della sua esistenza come in un immenso sortilegio. (da ''Parabola dell'avventura, cap. XXI'', p. 74<ref>In ''Filosofia dell'avventura'', Ananke, Torino, 2006. ISBN 8873251315</ref>)
 
==''Aforismi di Marburgo''==
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==''Gli schiavi di Efesto''==
*Bisogna avere il coraggio di chiedere all'[[arte]] un ''altro'' servizio, una altra utilità, un altro ''senso'' senza la protervia dei distruttori, ma con l'ironia materialistica di chi persegue una critica radicale che voglia andare, – come dice [[Marx]], alla cosa stessa, alla radice. Anche attraverso la discesa nel «regno dei morti» del disumano, la radice per l'uomo resta l'uomo stesso. «Continuo a credere – scriveva [[Albert Camus|Camus]] in una lettera – che questo mondo non ha un senso superiore. Ma so che qualche cosa, in esso, ha senso, e questo senso è l'uomo, perché è il solo essere ad esigere di averlo. Questo mondo ha, se non altro, la verità dell'uomo e il nostro compito è di dare ad esso le sue ragioni contro lo stesso destino».<ref>In A. Camus, ''Lettres à un ami allemand'', Paris, 1945, p. 72. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 60.</ref>». (da ''Dissoluzione e metamorfosi'', pp. 60-61)
*Indubbiamente [[Gottfried Benn|Benn]] riesce a scrutare nel fondo dell'anima moderna – ad onta o forse proprio in virtù del suo radicale antistoricismo – allorché scrive che essa integra le ambivalenze oscillando in una tragica pendolarità: dalla stanchezza al salto acrobatico, dalla libidine del pensiero puro a quella del sangue e dell'istinto. Ma è proprio questa oscillazione di gioco e sofferenza a rivelare una saturazione della cultura borghese giunta a quella «mostruosa, struggente rigidezza della pupilla in cui si rispecchia il nulla».<ref>Da [[Friedrich Nietzsche]], ''Nachgelassene Werke, Gesamtausgabe, 19 vv.'', Leipzig, 1894 sgg., p. 162. {{Cfr}} ''Gli Schiavi di Efesto'', nota a p. 92. </ref> (da ''Il nichilismo estatico di Gottfried Benn'', p. 92)
*{{NDR|Sulla poesia di Gottfried Benn}} Chi vede in essa dell'estetismo mostra di aver compreso assai poco. In essa, invece, «si combatte col toro a distanza ravvicinata» – come scrive Benn nei ''Problemi della lirica'' che è un po' il suo testamento spirituale – . Nelle occulte risonanze di questa poesia «monologica», così estraniata e conchiusa in una gelida sfera di cristallo, molti sono i terremoti ''silenziosi'' che si possono percepire. (da ''Il nichilismo estatico di Gottfried Benn'', pp. 95-96)
*[...] ma il «rifiuto» di [[Hugo von Hofmannsthal|Hofmannsthal]] non è semplicemente un ''regressus'' verso un'Europa precapitalistica, cavalleresca, religiosa, bensì anche, e soprattutto, l'approfondimento delle possibilità di espiazione e di riscatto dell'individualismo aristocratico, la palingenesi magica, eroico-spiritualista, delle sue forze ideali, la realizzazione, cioè, di una piena visibilità interiore, di un «mondo dell'anima». (da ''La «trionfale tristezza» di H.v. Hofmannsthal'', pp. 154-155)
*In [[Ernst Jünger]] il collezionista, il botanico e l'entomologo s'incontrano con il metafisico: ma mentre i primi sono, per così dire, immersi nella fredda luce diurna, godono di un'ottica smaltata e tersa, sovranamente estranei alla bassura e alle bufere dell'esistenza, il secondo sembra affiorare dai chiarori diafani di un acquario con il silenzio estatico di chi ha percorso le profondità dei processi vitali, seguendo gli avvolgimenti labirintici e le trame sottilmente ambigue di misteriosi orrori e di malvagi destini. (da ''Guerrieri divini e lanzichenecchi del nulla'', p. 199)
*[...] proprio lo scarto delle linee, l'efflorescenza multipla e caotica, la fascia di ramificazioni aparallele tipiche del rizoma diventano, in Jünger, la ''machina magica'', l'organo ''stereoscopico'' con cui egli interpreta la totalità del reale, calandosi in quella profondità del tempo dove si spengono le ultime grida umane. È a questa modalità del ''doppio sguardo'' che è data la possibilità non già di trascendere il divenire, bensì di scinderlo nelle sue «potenze» e quindi di ricomporlo ad un grado qualitativamente superiore di intensità significante. (da ''Guerrieri divini e lanzichenecchi del nulla'', p. 201'')
*[...] «No, no, egli non voleva la felicità e la sazietà degli altri, – dirà [[Hermann Hesse|Hesse]] nel ''Narziß'', − dei compratori di pesce, dei cittadini, della gente affaccendata. Che il diavolo se li portasse! Ah, quel viso pallido e balenante, quella bocca piena, matura, d'estate avanzata, sulle cui labbra grevi era passata come una folata di vento e come un raggio di luna, quell'indefinibile sorriso di morte.»<ref>Da Herman Hesse, ''Narciso e Boccadoro'', traduzione di C. Baseggio in ''Opere Scelte di Hermann Hesse'', 5 vv., a cura di L. Mazzucchetti, Milano, 1961, III, p. 509,. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 310.</ref> <br/>Nessuno più di Hesse ha saputo leggere in questo sorriso l'ermetica corrispondenza di due volti, quello dell'Apollo di Veio e del [[Budda|Budda]]. Essi affiorano dai densi chiarori di un sole autunnale filtrato nelle pagine indimenticabili del ''Klingsor'', sigillando in sé non l'agonia tempestosa di un forzato distacco, ma l'occulto presagio di un infinito ritrovamento, dove tutto è «in divenire, tutto in metamorfosi, tutto pervaso dall'anelito di divenire uomo, di divenir stella, tutto pervaso di nascita e di disfacimento, pieno di Dio e di morte».<ref>Da Hermann Hesse, ''Klingsor letzter Sommer'', in ''Gesammelte Werke'', 12 vv., Frankfurt a. M., 1970, V, pp. 322-323. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 310.</ref> (da ''Klingsor o la «musica del mutamento»'', p. 310)
*«Nell'attimo fuggevole di un volto umano si sprigiona per l'ultima volta l'aura dalle prime [[fotografia|fotografie]]. È ciò che costituisce la loro bellezza carica di malinconia e inconfrontabile con qualsiasi altra.»<ref>Da [[Walter Benjamin]], ''L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica'', traduzione di E. Filippini, Torino, 1966, p. 28; ''Das kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit,'' in ''Gesammelte Schriften,'' 6 vv., a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Frankfurt a. M., 1972 sgg., p. 23 {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 316.</ref>» [...] La malinconica bellezza «inconfrontabile con qualsiasi altra» non era certo presente nella pace contemplativa dell'aura, ma lo è solo quando l'aura ''si sta estinguendo''. È in questo momento che la sua labilità diventa quella stessa della bellezza e se v'è ancora un brivido dell'irripetibile, questo nasce dalla coscienza di una perdita irrevocabile, dalla magia di un tramonto che non potrà più essere goduto ma che proprio per questo è carico di una sconfinata seduzione. (da ''Metacritica dell'aura'', p. 316)
*L'obiettività a cui tende il grottesco non è quella dell'umorismo, per il quale l'ideale viene confrontato col reale al punto che quest'ultimo viene esibito ''ad oculos'' nella sua cruda «nullità» (''Nichtigkeit''<ref>[[Frank Wedekind]], ''Der Witz und seine Sippe'', in ''Werke in drei Bänden'', a cura di M. Hahn, Berlin und Weimar, 1969, III (''Prosa''), p. 273. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 336.</ref>). È invece la crudeltà del ''Witz'', dove i contraddittori devono coesistere, a impedire il recupero, anche soltanto formale, di ogni superiore umorismo, e quindi a problematizzare radicalmente la possibilità utopica di una natura redenta dalla contaminazione umano-sociale. (da '' Dall'enigma-vita alla pantragedia grottesca'', p. 336)
*[...] l'enigma del ''pathos'' vitale non poteva essere forzato in alcun altro modo se non attraverso una discesa nella profondità umana della miseria e nel dolore. Ma questo era necessario «perché – come scrisse [[Karl Kraus]] – in nessuno come in lui le strisce sanguinose lasciate dallo staffile dell'esperienza si sono trasformate in solchi aperti alla semina della poesia».(da '' Dall'enigma-vita alla pantragedia grottesca'', p. 338)<ref>daDa Karl Krauss, ''Il vaso di Pandora'', traduzione italiana di Roberto Calasso, in Frank Wedekind, ''Lulu'', traduzione italiana di E. Castellani, Milano, 1972, p. 24. {{Cfr}} ''Gli Schiavi di Efesto'', nota a p. 338.</ref> (da '' Dall'enigma-vita alla pantragedia grottesca'', p. 338)
*L'umorismo [[Pirandello|pirandelliano]] smonta la convenzione logica, servendosi della logica, la convenzione sociale, servendosi delle figure della falsa coscienza, , ''distrugge la maschera con la maschera'': quella della protettiva e rassicurante costruzione logica, per esempio, con la maschera della follia, per la quale la logica «vola come una piuma». In questo sta il percorso straniante di una scrittura nella quale i discorsi simmetricamente antagonisti, le antilogie, diventano corpi lottanti, corpi avvinghiati nella contraddizione. (da ''L'umorismo pirandelliano e la scrittura teatrale come entelechia drammatica'', p. 350)
*[...] [[Dürrenmatt]] mira a innescare sul terreno di una cosciente mistificazione, che dalla manipolazione dei ''topoi'' drammatici trasferiti in moduli ''kitsch'' perviene alla contraffattura parodistica calcolata ''more geometrico'', un potenziale dirompente analogo a quello della «crisi» dialettica. In essa il radicalismo teologico-nichilista oppone il «no» dell'uomo e di un mondo inesorabilmente condannato, al «no» di Dio, fino alla loro consumazione, laddove il «colmo del peccato» diventa «il trionfo della grazia». (da ''L'incognita teologica nella tragicommedia di Dürrenmatt'', p. 359)
*[...] Le calcolate acrobazie dell'umorismo macabro si dissolvono. Nasce il grande disorientamento della disputa tra uomo e Dio, una disputa non solo secolarizzata nei travestimenti dei contendenti, ma anche stravolta nelle implicazioni assurde di una disperazione infaticabile, che si rovescia in speranza assoluta. <br/>La trascendenza del fatto teatrale, con tutta l'ambiguità delle sue pseudoallegorie e tutto l'inquietante sortilegio della sua intellettuale ''clownerie'', sembra adombrare nel gioco satiresco il «mistero» sacro, nel «Satyrspiel» il «Mysterienspiel». L'umanità di Dürrenmatt sta inesorabilmente «sotto la collera di Dio» (''unter dem Zorn Gottes'') come direbbe [[Karl Barth|Barth]]. (da ''L'incognita teologica nella tragicommedia di Dürrenmatt'', pp. 363-364)
 
==Note==