Indro Montanelli e Roberto Gervaso: differenze tra le versioni

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*{{NDR|[[Papa Giulio II|Giulio II]]}} Quel Papa-soldato, collerico e autoritario, usava con gli artisti gli stessi modi rudi e prepotenti con cui, sul campo di battaglia, trattava la truppa. (cap. 33, 1975, pp. 403-404)
*[[Bernardino Ochino|Ochino]] [...] a Canterbury [...] fu tranquillo e poté attendere ai suoi scritti – forse i più importanti del pensiero protestante italiano –, cui [[John Milton|Milton]] attinse l'ispirazione del suo ''[[John Milton#Paradiso perduto|Paradiso perduto]]''.<br />Quando però sul trono d'Inghilterra salì la cattolica [[Maria Tudor]], Bernardino dovette riprendere la sua peripatetica vita di apolide. Gli dettero un posto di pastore a Zurigo, ma lo perse perché anche come protestante egli seguitava a protestare e non riusciva ad andar d'accordo con nessuno: era un deviazionista nato, un trotzkista avanti lettera. (cap. 34, 1975, p. 419)
*La vicenda di Ochino dimostra che questi nicodemi sapevano anche sfidare rischi mortali per aiutarsi tra loro. E fra di essi ci fu anche un [[Pietro Carnesecchi|Carnesecchi]] che, ambiguo durante il processo, salì poi sul patibolo "«tutto attillato con la camicia bianca, con un par di guanti nuovi e una pezzòla bianca in mano"», come scrisse un cronista fiorentino. (cap. 34, 1975, pp. 420-421)
*{{NDR|[[Giordano Bruno]]}} Se è vero che aveva preso i voti per sottrarsi alle tentazioni della carne, a un certo punto dovette riconoscersi vinto e buttare la tonaca alle ortiche. Aveva ventotto anni e non poteva dirsi un bel ragazzo; la vita di convento l'aveva debilitato. Ma il suo sguardo e le sue parole sprigionavano una carica di passione che conquistava. La sua oratoria, magniloquente e torrentizia, lardellata di citazioni, gladiatoria e scomposta, travolgeva più che convincere, ma anche gli ascoltatori più provveduti ne restavano sopraffatti. (cap. 45, 1975, p. 554)
*Nel 1582, la pubblicazione del ''[[Giordano Bruno#Candelaio|Candelaio]]'', una commedia ambientata nella Napoli famelica e corrotta del tardo Cinquecento, gli alienò le simpatie della Corte, della Chiesa e del mondo accademico. Il lavoro era infatti una satira feroce contro il clero, gli eruditi e i pedanti, in cui molti professori della Sorbona credettero di riconoscersi, e forse non avevano torto perché Bruno ebbe per tutta la vita l'uzzolo della provocazione e del litigio. (cap. 45, 1975, pp. 555-556)
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====[[Explicit]]====
*[[Giordano Bruno|Bruno]] fu certamente una vittima della Controriforma, ma non un gladiatore del libero pensiero, che anche in Italia aveva trovato ben più validi e coerenti campioni negli [[Bernardino Ochino|Ochino]] e nei [[Pietro Carnesecchi|Carnesecchi]]. Gliene mancò l'impegno morale, il vigore e l'ascesi. Bruno era soltanto un anticlericale. E a metterlo in contrasto con la Chiesa non fu una diversa concezione religiosa, ma uno smisurato egocentrismo, ribelle a qualsiasi autorità per protervia, non per impegno di coscienza.<br />Tuttavia seppe morire. E se il [[martirio]] non basta a conferire alla vittima le dimensioni del titano, basta però ad attribuire i connotati dell'aguzzino a chi lo inflisse. Quel rogo che chiude il Cinquecento e apre il Seicento illumina della luce più pertinente lo squallido paesaggio dell'Italia della Controriforma: un prete e un gendarme intenti ad arrostire un ribelle privo anche del conforto di una causa a cui intestare il proprio sacrificio. (cap. 45, 1975, pp. 561-562)
 
===''L'Italia del Seicento''===
*Alla chiusura del secolo, sul Soglio sedeva [[Papa Clemente VIII|Clemente VIII]] della principesca famiglia toscana Aldobrandini. L'ugonotto [[Massimiliano di Béthune|Sully]], primo ministro di [[Enrico IV di Francia|Enrico IV]], lo descrive come "«il più libero, fra gli ultimi Pontefici, da pregiudizi di parte e il più rispettoso della carità e della comprensione che il Vangelo prescrive"». Quando si pensa che fu lui a mandare sul rogo [[Giordano Bruno]], si capirà facilmente che cosa avevano dovuto essere, quanto a comprensione e carità, i Papi della Controriforma. (cap. 1, 1969, p. 22)
*{{NDR|[[Margherita di Valois]]}} Questa donna bellissima, spiritosa, volubile e piena di ''sex-appeal'', riempiva il marito di corna, o per meglio dire gli ricambiava quelle che lui le faceva. Ma nelle emergenze era sempre presente. Tuttavia tante ne fece che alla fine i due Enrichi – il marito e il fratello – decisero di comune accordo di confinarla in un castello. Essa lo ridussa a mezzo salotto, mezzo ad alcova, fu in corrispondenza con [[Michel de Montaigne|Montaigne]], scrisse un libro di pettegolezzi autobiografici degno di un rotocalco moderno, ingrassò nel peccato, dopo la menopausa se ne pentì, si prese come cappellano [[Vincenzo de' Paoli|Vincenzo da Paola]], fondò un convento, e morì rimpianta da tutti. (cap. 2, 1969, p. 34)
 
===''L'Italia del Settecento''===
*I [[Salotto letterario|salotti]] di Francia contavano. Non erano, come lo sono in Italia, convegni di una mondanità sfaccendata e semianalfabeta anche quando, anzi specialmente quando i frequentatori ostentano blasoni con molte palle. Erano il punto d'incontro fra cultura e politica, e davano il via a successi e carriere. (cap. 8, 1971, p. 108)
*{{NDR|[[Voltaire]]}} In nessuna epoca, in nessun Paese c'è mai stato un intellettuale più "«moderno"» di lui. Seguita ad esserlo, vecchio di due secoli. Non si può pensare in modo più libero di lui. Non si può scrivere in modo più penetrante di lui. Fu, e rimane, il "«maestro"» per antonomasia. (cap. 9, 1971, pp. 116-117)
*Non si può scrivere meglio di Voltaire, non si possono dire cose più serie con più aerea leggerezza ("«La solennità è una malattia"» diceva. E se i suoi colleghi italiani lo avessero ascoltato!...), con un più perfetto dosaggio di furore, d'umorismo e di fantasia picaresca. (cap. 9, 1971, p. 122)
*Erano cento i volumi comparsi sotto il nome di Voltaire, e non ce n'era uno che non contenesse qualche scintilla del suo genio. A distanza di due secoli, si può rileggerli tutti senza trovarvi un aggettivo superfluo, un grammo di adipe, ed emergere da questa scorpacciata con una fame intatta di Voltaire. Non conosciamo scrittore di cui si possa dire in piena coscienza altrettanto. (cap. 9, 1971, pp. 132-133)
*{{NDR|[[Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena|Maria Antonietta]]}} Capricciosa, prepotente, sventata, non era mai stata popolare. Ora aveva perso anche la sua pàtina di frivola gaiezza un po' perché non ne aveva più l'età, un po' perché proprio in questa emergenza la sorte l'aveva duramente colpita portandole via il primogenito, erede al trono. Bruscamente richiamata da quella sventura alla realtà, vi reagiva con puntigliosa acredine. (cap. 35, 1971, pp. 668-669)