John Ruskin: differenze tra le versioni

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==Citazioni di John Ruskin==
*Il manierismo di [[Canaletto]] è il più degradato che io conosca in tutto il mondo dell'arte. Esercitando la più servile e sciocca imitazione, esso non imita nulla se non la vacuità delle ombre, né offre singoli ornamenti architettonici, per quanto esatti e prossimi. [...] Né io né chiunque altro avrebbe osato dire una parola contro di lui: ma si tratta d'un piccolo, cattivo pittore, e così continua dovunque a moltiplicare e aumentare gli errori.<ref>Da ''Modern Painters'', 1843 – 1860; citato in ''Canaletto'', I Classici dell'arte, a cura di Cinzia Manco, pp. 181 - 188, Rizzoli - Skira, Milano, 2003.</ref>
*Il miglior riconoscimento per la [[fatica]] fatta non è ciò che se ne ricava, ma ciò che si diventa grazie a essa.<ref>Citato in ''Selezione dal Reader's Digest'', settembre 1997.</ref>
*Il mondo non può diventare tutto un'officina... come si andrà imparando l'arte della vita, si troverà alla fine che tutte le cose [[Bellezza|belle]] sono anche necessarie.<ref>Da ''I luoghi dell'arte'', vol. 5.</ref>
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*Questa è la vera natura della [[casa]]: il luogo della pace; il rifugio, non soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia.<ref>Da ''Sesamo e gigli''.</ref>
 
== ''Sulla ricchezza'' ==
*''La vera ricchezza'' <br> '''Non c'è altra ricchezza che la vita'''. La vita che include tutte le forze dell'amore, della gioia e dell'ammirazione. Il paese più ricco è quello che nutre il più gran numero di esseri umani nobili e felici; l'uomo più ricco è quello che, avendo perfezionato le funzioni della propria vita al più alto grado possibile, ha anche la più vasta influenza, sia con la sua persona che con i suoi mezzi, nel soccorrere la vita altrui. (''Unto this last'', IV, § 77)
*''Economia "pratica"'' <br> I capitalisti, quando non sanno cosa fare col loro denaro, convincono i contadini di diversi paesi che ciò che occorre loro sono fucili per spararsi gli uni con gli altri. I contadini perciò comprano i fucili, prodotti dalle fabbriche dalle quali i capitalisti traggono i loro dividendi e gli uomini di scienza il loro divertimento e la loro reputazione. <br>I contadini cominciano a spararsi a vicenda, in buon numero, finché non sono stanchi, e si bruciano gli uni gli altri le case. Dopodiché mettono giù i fucili e li conservano in torri, arsenali ecc., composti in trofei ornamentali (i vincitori portano anche qualche bandiera sbrindellata nelle chiese). Allora i capitalisti li tassano entrambi, vincitori e vinti, perché paghino annualmente gli interessi sul denaro anticipato per i fucili e la polvere da sparo. <br> Questo è ciò che i capitalisti chiamano "sapere cosa fare col proprio denaro", e ciò che tutti gli uomini del commercio chiamano l'economia politica "pratica", che è cosa ben diversa da quella "sentimentale". (''Munera pulveris'', Prefazioneprefazione, § 19)
*''Il capitale'' <br> Il migliore e più semplice simbolo del capitale è un vomere ben fatto. <br>Ora, se tale vomere non facesse altro che generare altri vomeri, come una proliferazione di polipi, per quanto il grande grappolo di vomeri-polipi scintilli al sole, avrebbe perso la propria funzione di capitale. <br> Esso infatti diviene vero capitale solo attraverso un altro genere di splendore, quando è visto ''splendescere sulco'', divenire splendente nel solco; piuttosto che con l'accrescimento della sua sostanza con la sua diminuzione, per il nobile sforzo dell'attrito. Perciò la vera domanda che dovrebbe essere familiare ad ogni capitalista, come ad ogni nazione, non è "quanti aratri hai?", ma "dove sono i tuoi solchi?", non "quanto rapidamente quel capitale si riproduce?", ma "cosa fa durante la sua riproduzione?" Che sostanza fornisce, che sia buona per la vita? Che opera costruisce, per proteggere la vita? Se non fa nulla di ciò il suo riprodursi è inutile – e se fa peggio che nulla (perché il capitale, così come può sostenerla, può anche distruggere la vita), la sua riproduzione è peggio che inutile; è un prestito con ipoteca di Tisifone, e non è in alcun modo un vantaggio. (''Unto this last'', IV, § 73)
 
== ''Vera e falsa arte'' ==
*Il fine dell'arte è serio come quello di tutte le cose belle: dei cieli azzurri e dell'erba verde, delle nuvole e della rugiada. O sono inutili, oppure hanno una funzione molto più profonda di quella di dare divertimento. Qualunque maggiore o minore diletto noi troviamo in esse, è diverso da quello che traiamo da un gioco o riceviamo da una momentanea sorpresa. Sarebbe materia di una certa difficoltà metafisica il definire la differenza fra i due generi di piacere, ma è semplicissimo per ciascuno di noi avvertire che c'è una differenza di genere fra il piacere di assistere ad una commedia e quello di guardare il sorgere del sole. <br> Non che manchi una sorta di ''Divina Commedia'' – una drammatica mutazione e potenza – nelle cose belle; la gioia della sorpresa e dell'accidente si mescola, in un modo nobile e durevole, nella musica, nella pittura, nell'architettura e nella stessa bellezza naturale con la perfezione di forma e colore eterni. <br> Ma quando il desiderio del cangiamento diviene la cosa principale, quando non curiamo altro che nuovi suoni, nuove immagini e nuove scene, allora è perduta per noi ogni capacità di godere della Natura e dell'Arte ed ha preso il suo posto un fanciullesco amore per i giocattoli. (''The Cestus of Aglaia'', VIII, § 99)
*Questa furia per la visione di nuove cose dalla quale siamo oggi infetti ed afflitti, sebbene risulti in parte dal fatto che tutto è divenuto oggetto di commercio, è ancora di più la conseguenza della nostra sete per l'opera drammatica anziché per quella classica. Perché quando noi siamo interessati alla bellezza di qualcosa, quanto più spesso la vediamo tanto meglio. <br> Ma quando siamo interessati solo alla vicenda di una cosa, ci stanchiamo di sentire la stessa vecchia storia raccontata tante volte, che si ferma sempre allo stesso punto – e vogliamo subito una nuova storia, nuova e migliore – e il quadro del momento, il romanzo del momento, divengono altrettanto effimeri dell'acconciatura e del copricapo del momento. Questo atteggiamento è totalmente avverso all'esistenza di ogni arte degna di essere amata. Se pensi di gettarla via domani, non puoi neppure averla oggi. (''Modern Art'', § 16)
 
==[[Incipit]] di alcune opere==