Vincenzo Cuoco: differenze tra le versioni

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*I nomi nella [[storia]] servon più alla vanità di chi è nominato, che all'istruzione di chi legge. (dalla ''Prefazione alla seconda edizione'', p. V, 1820)
*Io sono fermamente convinto che se la maggior parte delle storie si scrivesse in modo di sostituire ai nomi propri alle lettere dell'alfabeto, l'istruzione che se ne ritrarrebbe sarebbe la medesima. (dalla ''Prefazione alla seconda edizione'', p. V, 1820)
*È forse indispensabile che un [[libro]], perchèperché sia utile, sia una storia ? (dalla ''Prefazione alla seconda edizione'', p. VI, 1820)
*Mille volte si ripete che in [[Napoli]] eran repubblicani tutti coloro che avevano beni e fortuna, che niuna nazione conta tanti che bramassero una riforma per solo amor della patria; che in Napoli la repubblica é caduta quasi per soverchia virtù de' repubblicani. (dalla ''Prefazione alla seconda edizione'', p. VII, 1820)
*La [[ricchezza]] è relativa all'oggetto a cui taluno tende: un uomo che abbia trecentomila scudi di rendita, è un ricchissimo privato, ma sarebbe un miserabile sovrano. (dalla ''Prefazione alla seconda edizione'', p. VIII, 1820)
*I giudizj del popolo non sono i miei, ma è necessario ricordare che in un'Opera destinata alla verità, ed all'istruzione, è necessario riferire tanto i giudizj miei, quanto quelli del popolo. Ciascuno sarà al suo luogo: è necessario saperli distinguere e riconoscere, e perciò è necessario aver la pazienza di leggere l'Opera intera, e non giudicarne da tratti separati. (dalla ''Prefazione alla seconda edizione'', p. IX, 1820)
* In verità io dichiaro che valuto pochissimo i talenti militari del generale [[Karl Mack von Leiberich|Mack]]. Quando io scriveva il mio Saggio avea presenti al mio pensiero la campagna di Napoli, e la seconda campagna delle Fiandre, ambedue dirette da Mack: vedeva nell'una e nell'altra gli stessi rovesci e le slesse cagioni di rovesci, e credei poter ragionevolmente conchiudere che la colpa fosse del Generale; Ciò che è effetto di sola fortuna non si ripete con tanta simiglianza due volle. (dalla ''Prefazione alla seconda edizione'', p. X-XI, 1820)
*Mentre quasi tutta l'Europa-teneva [[Karl Mack von Leiberich|Mack]] in conto di gran generale, io solo, io il primo, ho vendicato l'onor della mia nazione, ed ho asserito che le disgrazie da lui sofferte nelle sue campagne non eran stato effetto di fortuna quanto d'ignoranza. Fin dal 1800 io ho indicato il vizio fondamentale che vi era in tutte le leghe che si concertavano contro la [[Francia]], e pel quale tutt'i tentativi de' collegati dovean sempre avere un esito infelice ad onta di tutte le vittorie che avessero potuto ottenere: e tutto ciò perchèperché le [[Vittoria|vittorie]] consumano le forze al pari o poco meno delle disfatte, e le forze si perdono inutilmente se non prive di consiglio, o lo scopo è tale che non possa ottenersi. (dalla ''Prefazione alla seconda edizione'', p. XI, 1820)
*La [[Francia]] non ha incominciato ad aver ordine, l'[[Italia]] non ha incominciato ad aver vita, se non dopo [[Napoleone Bonaparte|NAPOLEONE]]; e tra li tanti beneficj che Egli all'Italia ha fatti non è l'ultimo certamente quello di aver donato a [[Milano]] [[Eugène de Beauharnais|Eugenio]] ed alla mia patria [[Giuseppe Bonaparte|Giuseppe]]. (dalla ''Prefazione alla seconda edizione'', p. XV, 1820)
*È dolce cosa rammentar nel porto le [[Tempesta|tempeste]] passate.
*Tutto è concatenato nel mondo, diceva ''Pangloss'' {{NDR|precettore tedesco di ''Candido'' di [[Voltaire]]}}: possa tutto esserlo per lo meglio! (da ''Lettera dell'autore'', p. 17)
*Un nuovo [[ordine]] di cose ci promette maggiori e più durevoli beni. Ma credi tu che l'oscuro autore di un libro possa produrre la felicità umana? In qualunque ordine di cose le idee del vero rimangono sempre sterili, o generan solo qualche inutile desiderio negli animi degli uomini dabbene, se accolte e protette non vengano da coloro ai quali è affidato il freno delle cose mortali. (da ''Lettera dell'autore'', p. 18)
*L'[[adulazione]] rammenta ai potenti quelle virtù de'loro maggiori che essi non sanno più imitare ; la [[filosofia]] rammenta ai grandi uomini le virtù proprie perchèperché proseguano sempre più costanti nella magnanima loro impresa. . . (da ''Lettera dell'autore'', p. 18)
*Guai a chi ha ascoltato una volta le voci del [[timore]]! Quanto più ha temuto, più dovrà temere. (p. 36)