John Updike: differenze tra le versioni

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'''Seek my face''' (citazione dai Salmi) 20 ° romanzo '''John Updike''' 1932-2009
2002 QPD Penguin, 276 pag
Questo libro non è solo una meditazione sull’arte del secondo novecento, ma è anche un resoconto dai toni lirici di una vita nel suo cammino verso la senilità.
L’anziana pittrice Hope Chafetz vive sola in una casa colma di ricordi nel nord degli States ai bordi di un bosco. In una giornata di aprile 2001 racconta tutta la sua vita alla giornalista New Yorkese Kathryn. Nei frequenti scorci paesaggistici si percepisce tra una leggera pioggia alternata a fiocchi di neve intravisti dalla finestra, un rigido inverno che non vuol finire, una vita che sembra si sia fermata e non vuol ripartire, lassù nel buio Vermont. Siamo ad alcune ore a nord di NewYork, in una dimora di campagna in cui tutto scricchiola e che avrebbe bisogno di robusti restauri strutturali. Un tempo, là, abitavano con lei gli stravaganti mariti artisti Zack, poi Guy per i quali Hope ha sacrificato la sua vita di artista. Nel raffinato e malinconico racconto del passato si intrecciano riflessioni in cornici diverse. Le osservazioni, le intuizioni e gli approfondimenti sulle teorie della performance art, le tecniche stilistiche pittoriche con spatole e bastoncini fanno riferimento ai pittori ‘drippers’ del post guerra, e in particolare, evidenziato dai riferimenti alle continue sbornie e dalla morte per incidente stradale, a Jackson Pollock. I drippers usavano le tecniche di sgocciolatura ponendo le tele a terra sul pavimento, mentre Hope( che impersona Lee Krasner moglie testimone dell’action painter) usa ancora quotidianamente il cavalletto .
Raccontando del secondo marito i dettagli rimandano, invece, a diverse personalità di artisti del periodo della pop art: da Rauschenberg a Oldenburg, ma anche a Warhol , a Lichtenstein, e a de Kooning. Updike si è ampiamente documentato sull’action painting e su Pollock facendo capo a testi come ‘An American Saga’ e ‘Abstract Expressionism’ e gioca anagrammando i nomi dei pittori nella finzione romanzata.
Hope ci spinge a riflettere anche sugli ideali e sui meccanismi di mercato con cui l’arte in certi momenti si sporcava, ci pone di fronte gli interrogativi sull’arte da possedere e da comprare o l’arte che deve solo ‘essere’ di per sé. La settuagenaria pittrice informa Kathryn di tecniche bizzarre di performance artistiche e di stravaganti metodi come ad esempio l’uso dei lunghi capelli di donna intrisi di colore per dipingere trattandoli come se si sbattesse una frusta sulla tela, o ancora racconta di una body artist giapponese che utilizzava un pennello nella vagina per riprodurre forme.
La tensione del dialogo, dovuta a un’iniziale reciproca diffidenza, che raggiunge addirittura momenti prossimi all’ irritazione tra le due interpreti, è stemperata da un consolante e rassicurante sguardo al paesaggio esterno a questa manor house di campagna, soffermandosi sui fiori e sulle gemme del frutteto in prossimità del bosco dove si aggirano animali selvaggi, tra cui persino degli orsi. Kathryn sembra dire sempre cose fuori luogo al momento sbagliato, è goffa e impacciata nell’intervista all’artista. Lentamente, però, Hope intesse una relazione affettuosa con la giovane e ambiziosa giornalista , anche se continua a vederla sempre con l’ occhio critico dell’artista ( il collo flessuoso, nei colori pallidi). La pittrice, alla fine della giornata, si affeziona e diventa protettiva verso la goffa reporter, le offre dei sandwich e delle noci biologiche, dimostra sincera preoccupazione materna per il suo viaggio di ritorno verso N Y che dovrà affrontare nella notte.
Le pagine fluiscono permeate da un elegiaco senso dello scorrere del tempo che ha lasciato molti ricordi: dolci e nostalgici, il tempo che deteriora inesorabilmente cose e persone. Si percepisce l’avvicendamento della vecchiaia in Hope che si muove lamentando indolenzimenti ed è rallentata nelle funzionalità fisiologiche, soffre di artrite alle dita. E’ facile pensare quanto lo scrittore abbia sentito proprie queste contingenze del tempo avendo scritto ‘Seek my Face’ in età anagrafica avanzata.
Il libro è affascinante per la ricerca lessicale, non scevra da lirismi, per la cura nei dettagli sul carattere e le personalità spesso egocentriche degli artisti avvezzi a sbornie e a tradimenti coniugali, per i riferimenti espliciti e diretti agli aspetti sessuali ed erotici, a quelli caratteriali , nel percepibile crescendo di intolleranza della saggia pittrice per la giovane ambiziosa reporter. Esso diventa anche un’opera istruttiva di piacevole divulgazione per la descrizione plastica delle tecniche nel creare fisicamente arte, per le riflessioni e le considerazioni fisico biologiche, per le scelte ecologiche dell’ organic food, per i riferimenti al melting pot americano, che fa convivere quaccheri olandesi ed ebrei con cattolici nonostante ciascuno faccia emergere culture ed educazioni particolari, che si riflettono, sostiene Hope, persino nelle espressioni artistiche. Quando arriviamo alla fine del libro avvertiamo un senso di dispiacere, come se ci mancasse una persona saggia che ci istruisce e ci consiglia.
La qualità della resa rievocativa del mondo visuale nelle parole di Updike è straordinaria e si assapora nelle sue molteplici sfaccettature, sia, quando racconta delle performance dell’action painting, o quando, poi, descrive il grigiore del rigido clima del paesaggio nordico. Evocazioni tipiche localistiche emergono nella precisione e nella minuzia di particolari riguardanti la flora del giardino con scrupolosa classificazione botanica: dai licheni, ai dandelions, ai croccus, ma anche nel riferire della preparazione di una semplice insalata con prodotti in scatola made USA.
La forma narrativa dell’ intervista è discontinua e spesso si tramuta nel romanzo diaristico di Hope. Si tratta quindi della narrazione di una vita reale dietro un facciata di finzione. Anche le parole del dialogo della stessa pittrice si fondono e si confondono con i suoi stessi pensieri in passaggi narrativi improvvisi senza darcene ravviso. I periodi del discorso sono ad ampissimo respiro, con costrutti lunghissimi e la scelta lessicale in lingua inglese è elegante e sofisticata, mai banale.
'''Grassetto'''