Tonino Perna: differenze tra le versioni
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*In trent'anni di storia il movimento del ''fair trade'' ha innestato, sul nucleo culturale originario, altri contributi provenienti dal movimento ambientalista e dal movimento per i diritti umani. [...] Resta comunque forte il «''focus'' primario» che ha fatto nascere il movimento per un commercio equo: ''la libera associazione dei produttori e dei consumatori per la ricerca di un prezzo dei prodotti del lavoro umano che risponda di più ai bisogni vitali e meno alle cosiddette leggi di mercato''.<br />Questo obiettivo di fondo avvicina il movimento del fair trade ad alcune istanze che furono patrimonio del «socialismo utopistico» , in particolare al pensiero proudhoniano che metteva al centro del suo programma la libera associazione tra piccoli produttori. Cambia però la strategia per arrivare a questo obiettivo comune. Per [[Pierre-Joseph Proudhon|Proudhon]], come per altri esponenti del «socialismo utopistico», bisognava eliminare la proprietà e abbattere lo Stato per realizzare ''l'anarchia positiva'', cioè una società a economia decentralizzata e non autoritaria, in cui i lavoratori sarebbero stati i soli padroni della loro produzione, nonché i soli padroni di tutta la società. Diversamente, il movimento del ''fair trade'' punta a incidere sia sul mercato capitalistico, sia sulle istituzioni, attraverso un meccanismo di campagne di sensibilizzazione e ''lobbying'', e, nello stesso tempo, costruendo ''hic et nunc'' delle alternative concrete. (cap. IV, 2, p. 86)
*Gli oltre 3 500 ''world shops'' oggi presenti in 14 paesi europei rappresentano il primo serio tentativo di «demercificazione» nell'era della globalizzazione, di recupero del valore sociale della produzione, di creazione di una grande rete di relazioni tra i produttori del Sud e i cittadini del Nord (ma anche come vedremo, tra produttori e consumatori in determinati mercati locali). (cap. IV, 3; p. 90)
*L'idea del ''giusto prezzo''
*La prima questione che il movimento del ''fair trade'' ha affrontato è quella della riduzione dello ''scarto informativo'' tra produttori e consumatori, e quindi del margine di extraprofitto che ne ricavano le imprese multinazionali, i veri protagonisti del commercio internazionale. (cap. IV, 5; p. 99)
*Solo poche organizzazioni dei produttori del Sud del mondo potrebbero resistere, a medio termine, all'azione disgregatrice del mercato capitalistico su scala mondiale, alla sua congenita spinta alla polarizzazione di conoscenza, informazione, ''know-how'' ecc. Se invece il movimento del commercio equo concorresse a creare istituzioni capaci di «regolare»
*In sintesi, si può dire che la sfida per il ''fair trade'' consiste ''non'' nel far entrare nel circuito della moda i prodotti del Sud del mondo, stravolgendone il patrimonio culturale, ma nel ''fare diventare un «bisogno» la scelta etica del consumatore''. (cap. V, 3; p. 123)
*La verità è che ''nel rapporto produzione-consumo si cela un conflitto reale d'interessi e di bisogni divergerti''. La nascita di grandi organizzazioni dei consumatori in tutto il mondo non ha forse una base materiale nel conflitto produzione-consumo che è intrinseco al modo di produzione capitalistico?< br />Con lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate, con la crescita del valore aggiunto alla produzione e commercializzazione, lo ''scarto informativo'', tra venditori e consumatori, tende ad aumentare inesorabilmente. Lo sganciamento spaziale dei luoghi della produzione rispetto a quelli del consumo rafforza questo processo, procurando, nello stesso tempo, più profitti alle grandi imprese e maggiori perdite (in termini di reddito, qualità, salute ecc.) al consumatore. (cap. V, 4; p. 128)
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