Alan Duff: differenze tra le versioni

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*Beth tocca il viso (ancora non ci credo) così freddo. Così totalmente, insensibilmente immobile. Ancora nell'incredulità eppure niente potrebbe esserci di più definitivo e assoluto. E uno dei più anziani si alza per pronunciare un altro discorso in una lingua che questa madre non capisce. (Eppure anche lui fa parte di me, della mia eredità; probabilmente siamo parenti. Ma lui parla la sua lingua e io ne capisco solo un'altra. Eppure sono riuniti qui...? per aiutare una madre a dare l'estremo saluto alla figlia tragicamente scomparsa?)<br>Beth non capisce. Né la lingua, né la loro insistenza perché portasse la figlia a casa per un addio appropriato. Beth quasi prova rancore per gli anziani maschi, la loro posizione di privilegio, la loro lingua segreta che conoscono solo loro e pochi altri; ricorda che proprio questo luogo, le sue pratiche culturali sono sempre state un mistero per una ragazza negli anni della crescita: un dominio esclusivo dei maschi. E neanche tutti, solo alcuni. Quelli di certe famiglie. Di discendenza autorevole. E al diavolo tutto il resto, tu sei qui per servirci. Così si sentiva una ragazza. A crescere nella consapevolezza che come donna non avrebbe avuto mai il diritto di parlare in pubblico, come sta facendo ora quell'uomo. (pp. 149-150)
*Comincia a declamare. Matawai lo segue bisbigliando la traduzione... un antenato il cui figlio morì accidentalmente annegato... ne incolpò la moglie, intendeva ucciderla per la sua negligenza... la tribù con lui... che vuole ucciderla. Ma non così il grande capo... dice loro no, devono aspettare... prima discuterne, della vostra ira, e laschiare che il fuoco muoia prima che cominciate a parlare di togliervi i vestiti. Parlarono. Per molti giorni parlarono. Conclusero che era tutta colpa loro... poiché il figlio apparteneva al whanau<ref>{{Cfr}} [[:w:it:Whānau|Whānau]]</ref>, loro come insieme, la responsabilità era tutta loro. Allora il capo domanda loro: Ora ditemi chi muore? (pp. 156-157)
*Ha inizio un ruggito del capo: ''Aa, toi-a mai!'' E trenta voci rispondono: TE WAKA! urlavano al loro capo, incitandolo, all'approdo! Il natante sul quale un tempo i loro antenati andavano alla guerra; e il sangue ancora scorre nelle loro vene feroce di quei geni.<br>Trenta e più gambe destre si alzano sincroniche e poi ''giù'' sul pavimento a scuotere l'edificio tutto. Suuu di nuovo, ''giù'' in un tonfo compatto di piedi nudi e calzati sulle grezze tavole di legno del pavimento. Braccia all'infuori, piedi che scendono, braccia che rientrano, gambe che si alzano. E via e via questo ritmo. Schiocco di mani che schiaffeggiano gomiti, toraci e seni impavidi e cosce, impotenti flessioni muscolari di furia autoindotta. Esplodono le parole: KAMATE! KAMATE! a ogni vero, ogni delirante esternazione chiusa da un'eruzione intrisa di saliva di GUERRA! GUERRA! GUERRA! E inscritto in questo battito (atavico) questo terribile ritmo animale, che è tuttavia di categoria suprema. Ah, era una travolgente, bellissima danza di guerra; come un fottuto balletto classico di fuori di testa, ragazzi; come se fossero affiorati da una palude. (Una palude primeva.) (pp. 158-159)
*Raccontò delle grandi gesta di cavalleria durante le guerre con i primi uomini bianchi: di guerrieri – cioè guerrieri ''maori'' – che di notte tornavano furtivi sul campo di battaglia ad assistere i nemici feriti, a dar loro da mangiare, da bere, persino a consolarli. E il pubblico a fare, Cavoli, fantastico, ma perché? E gli occhi del capo con dentro quel fuoco guerresco a rispondere: Perché il nemico potesse avere ancora forze per continuare a combattere l'indomani mattina. E il pubblico: Ooooh! Con grandi sorrisi. Pensando: Ma noi non lo abbiamo mai saputo.<br>Nessuno ce l'ha insegnato a scuola. Ci hanno insegnato la ''loro'' storia: la storia inglese. Ci hanno costretti a imparare, a memoria, date e nomi di grandi inglesi e di battaglie combattute in un paese in cui nessuno di noi è mai stato né probabilmente andrà mai. E ci hanno bocciato ai loro esami quando non ricordavamo queste date e questi nomi strani e luoghi dalla pronuncia aliena e non hanno mai capito che per ricordare nozioni occurre che per esse ti arda un fuoco nella pancia, come il grande capo qui davanti a noi, o anche solo la comune passione del desiderio di sapere perché, b', sono nozioni che riguardano te, fatti storici personali che si ricordano più facilmente.<br>E il capo metteva in parole i loro pensieri vaghi, offrendo alle loro menti forme che potevano visualizzare: Li abbiamo combattuti a ogni occasione. ''Mai'' ci siamo arresi. Sono venuti su questa terra con le loro regine e i loro re e noi, maori, abbiamo mandato contro di loro il ''nostro'' re. AVETE SENTITO BENE? E la folla tuonò: SÌÌÌÌ!!<br>E quando capirono che mai ci saremmo arresi hanno firmato con noi un trattato. Il Trattato di Waitingi. Avete sentito tutto questo? SÌÌÌÌ!! Sapete tutti di che cosa si tratta? Alcuni risposero che pensavano fosse un accordo tra due popoli per condividere una terra, le sue risorse. ''Da uguali!'' esclamò il loro fiero capo.<br>''Un contratto!'' ERA UN CONTRATTO. Poi silenzio.<br>E solo i colpi di tosse e i sospiri e il fruscio dei movimenti.<br>Te Tupaea davanti a loro, eretto, gambe divaricate, pughi ai fianchi. Un contratto... Bisbigliandolo, cosicché quelli seduti in fondo dovettero chiedere che cos'aveva detto, e subito si spensero i loro mormorii. E Te Tupaea che bisbigliava di nuovo: Che – loro – hanno violato. (pp. 224-225)
 
==Note==