Ferruccio Masini: differenze tra le versioni

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==''Aforismi di Marburgo''==
*Quando il [[dolore]] riesce a parlare, ci si accorge di quel che è maturato silenziosamente in esso e si raccolgono i frutti. (p. 23)
*Bisogna morire per rinascere. Ma chi si ostina a non morire, come potrà nascere di nuovo? Non v'è altra speranza che quella di nascere di nuovo; ricominciare, ma perché sia possibile, bisogna scendere nella morte profonda, toccare l'abisso del lungo sonno. (p. 33)
*Chi appartiene alla [[disperazione]] non può appartenere a nessuno. (p. 34)
*Bisogna ridere della propria [[tristezza]] come ridono gli dèi. (p. 41)
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*[[Ridere]] di sé è facile, ridere del mondo un po' meno. Ridere, ridere solamente, impossibile. (p. 59)
*[[Cultura]] ''per'' le masse? Una ''contradictio in adjectis''. (p. 60)
*[...] non si può negare che entusiasmo e disperazione fossero appunto gl'ingredienti blasfemi del [[Friedrich Nietzsche|Nietzsche]] distruttore dei valori [[cristianesimo|cristiani]], del Nietzsche-Zarathustra, negatore di Dio e annunciatore dell'''Übermensch''. Ma non sono proprio questo entusiasmo e questa disperazione i modi nuovi di pensare il mistero del [[sacro]]? Non sono queste le forme di un oltrepassamento di una ''religio'', intesa come sistema difensivo ''contro'' la follia? E non è in gioco proprio la follia nel Nietzsche "mistico" dei ''Ditirambi di Dioniso''? (p. 78)
*"La grande profondeur de notre art – diceva E. Renan – est de savoir faire de notre maladie un charme<ref>«La grande profondità della nostra arte è di saper fare della nostra malattia un incantesimo.»</ref>". Così parlano tutti coloro che si sono ammalati della propria finzione e la maschera è ciò che essi hanno inventato per assaporare una malattia splendida. Ma che avverrà se la maschera dello ''charme'' si disfa sul loro viso bruciato da un sole torrido?<br/>Chiederanno una seconda maschera o forse soltanto quella mortuaria?<br/>Bisogna essere al centro del [[labirinto]]: qui anche il [[minotauro]] è una maschera. Bisogna combattere a distanza ravvicinata col minotauro, riconoscendo nella sua la nostra stessa forza. Con una spada taglierò la maschera sulla mia fronte e anche la seconda e la terza maschera: sono io il minotauro. (p. 81)
*Toccare il sogno della [[sera]] con le dita del vento, aprendo uno ad uno i chiarori dei corimbi fino a raggiungere il varco nelle mura dove gli astri bagnano i prati notturni. Troverai lì i demoni irrigiditi dei desideri morti, i profili delle città distrutte e delle statue decapitate. (p. 82)
*Si può far finta di filosofare, ma non si può far finta di vivere. (p. 85)
 
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*La contraffazione, lo spasimo, il calvario dell'uomo, la sua stessa ironica o allegorica ''epoché'', la sua poetica «denegazione» non sono ancora la morte definitiva di tutto quanto è umano, perché l'umano può chiedere all'[[arte]], quando è arte, di dare testimonianza negativa di sé e proprio perché è negativa, questa può essere autentica testimonianza. Se l'[[allegoria]] – come pensa in fondo lo stesso [[Wladimir Weidlé|Weidlé]] – è una figura-limite tra umano e disumano, precisamente per questo, lungi dal costituire un limite dell'arte, ne svela regioni ancora inesplorate, universi immaginari che ancora non sono divenuti parola. (da ''In margine a «Les abeilles d'Aristée» di Wladimir Weidlé'', p. 54)
*Bisogna avere il coraggio di chiedere all'[[arte]] un ''altro'' servizio, una altra utilità, un altro ''senso'' senza la protervia dei distruttori, ma con l'ironia materialistica di chi persegue una critica radicale che voglia andare, – come dice [[Marx]], alla cosa stessa, alla radice. Anche attraverso la discesa nel «regno dei morti» del disumano, la radice per l'uomo resta l'uomo stesso. «Continuo a credere – scriveva [[Albert Camus|Camus]] in una lettera – che questo mondo non ha un senso superiore. Ma so che qualche cosa, in esso, ha senso, e questo senso è l'uomo, perché è il solo essere ad esigere di averlo. Questo mondo ha, se non altro, la verità dell'uomo e il nostro compito è di dare ad esso le sue ragioni contro lo stesso destino».<ref>In A. Camus, ''Lettres à un ami allemand'', Paris, 1945, p. 72. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 60.</ref> (da ''Dissoluzione e metamorfosi'', pp. 60-61)
*Indubbiamente [[Gottfried Benn|Benn]] riesce a scrutare nel fondo dell'anima moderna – ad onta o forse proprio in virtù del suo radicale antistoricismo – allorché scrive che essa integra le ambivalenze oscillando in una tragica pendolarità: dalla stanchezza al salto acrobatico, dalla libidine del pensiero puro a quella del sangue e dell'istinto. Ma è proprio questa oscillazione di gioco e sofferenza a rivelare una saturazione della cultura borghese giunta a quella «mostruosa, struggente rigidezza della pupilla in cui si rispecchia il nulla».<ref>Da [[Friedrich Nietzsche]], ''Nachgelassene Werke, Gesamtausgabe, 19 vv.'', Leipzig, 1894 sgg., p. 162. {{Cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 92.</ref> (da ''Il nichilismo estatico di Gottfried Benn'', p. 92)
*{{NDR|Sulla poesia di Gottfried Benn}} Chi vede in essa dell'estetismo mostra di aver compreso assai poco. In essa, invece, «si combatte col toro a distanza ravvicinata» – come scrive Benn nei ''Problemi della lirica'' che è un po' il suo testamento spirituale – . Nelle occulte risonanze di questa poesia «monologica», così estraniata e conchiusa in una gelida sfera di cristallo, molti sono i terremoti ''silenziosi'' che si possono percepire. (da ''Il nichilismo estatico di Gottfried Benn'', pp. 95-96)
*[...] ma il «rifiuto» di [[Hugo von Hofmannsthal|Hofmannsthal]] non è semplicemente un ''regressus'' verso un'Europa precapitalistica, cavalleresca, religiosa, bensì anche, e soprattutto, l'approfondimento delle possibilità di espiazione e di riscatto dell'individualismo aristocratico, la palingenesi magica, eroico-spiritualista, delle sue forze ideali, la realizzazione, cioè, di una piena visibilità interiore, di un «mondo dell'anima». (da ''La «trionfale tristezza» di H.v. Hofmannsthal'', pp. 154-155)