Francesco Petrarca: differenze tra le versioni

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*Ho sempre avuto il massimo disprezzo per le ricchezze, non perché non mi piacessero, ma perché odiavo le fatiche e le preoccupazioni che ne derivano. (dalla ''Lettera ai posteri'')
*I libri ci offrono un godimento molto profondo, ci parlano, ci danno consigli e ci si congiungono, vorrei dire, di una loro viva e penetrante familiarità. (dalle ''Epistole'')
*I libri fecero diventare dotti alcuni, altri pazzi (.<ref>''De remediis utriusque fortunae'', dial. XI, III: De librorum copia).</ref>
:''Libri quosdam ad scientiam, quosdam ad insaniam deduxere''.
*Il [[mondo]], più che io lo giro, e meno mi piace. (da<ref>Da ''Lettere di Francesco Petrarca delle cose familiari'').</ref>
*Il saggio muta consiglio, ma lo [[stoltezza|stolto]] resta della sua opinione. (da<ref>Da ''Ecloghe'', VIII).</ref>
*La [[fatica]] perseverante e la continua applicazione sono il cibo del mio spirito; quando comincerò a riposare e a rallentare il mio lavoro, allora cesserò anche di vivere. (dalle<ref>Dalle ''Epistole'', a cura di Ugo Dotti, UTET, 1978).</ref>
*{{NDR|I [[libri]]}} Ora questi, ora quelli io interrogo, ed essi mi rispondono, e per me cantano e parlano; e chi mi svela i segreti della natura, chi mi dà ottimi consigli per la vita e per la morte, chi narra le sue e le altrui chiare imprese, richiamandomi alla mente le antiche età. E v'è chi con festose parole allontana da me la tristezza e scherzando riconduce il riso sulle mie labbra; altri m'insegnano a sopportar tutto, a non desiderar nulla, a conoscer me stesso, maestri di pace, di guerra, d'agricoltura, d'eloquenza, di navigazione; essi mi sollevano quando sono abbattuto dalla sventura, mi frenano quando insuperbisco nella felicità, e mi ricordano che tutto ha un fine, che i giorni corron veloci e che la vita fugge. E di tanti doni, piccolo è il premio che mi chiedono: di aver libero accesso alla mia casa e di viver con me, dacché la nemica fortuna ha lasciato loro nel mondo rari rifugi e pochi e pavidi amici. (da<ref>Da ''Rime, trionfi, e poesie latine'', a cura di Ferdinando Neri, Ricciardi, 1951).</ref>
*{{NDR|[[Napoli]]}}, per molti rispetti eccellente, ha questo oscuro e vergognoso e inveterato malanno, che il girar di notte vi è non meno pauroso e pericoloso che tra folti boschi, essendo le vie percorse da nobili giovani armati, la cui sfrenatezza né la paterna educazione né l'autorità dei magistrati né la maestà e gli ordini del re seppero mai contenere. (da ''Familiarum rerum libri''; in Francesco Petrarca, ''Opere'', vol. I, Sansoni, 1990)
*Non riesco a saziarmi di libri. E sì che ne posseggo un numero superiore al necessario; ma succede anche coi libri come con le altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una maggiore avidità di possederne. L'oro, l'argento, i gioielli recano con sé un godimento inerte e superficiale; i libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di famigliarità attiva e penetrante. (dalla [http://www.cassiciaco.it/navigazione/scriptorium/testi%20medioevo/petrarca/familiares/lettera_III_18.html lettera III, 18 a Giovanni Anchiseo]; citato in L. S. Olschki, ''La Bibliofilia'', 1970)
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:''Sentioque inexpletum quiddam in precordiis meis semper''. (da ''Secretum'')
*''Sicilia di tiranni antico nido | vide triste [[Agatocle]] acerbo e crudo | e vide i dispietati Dionigi | e quel che fece il crudel fabro ignudo | gittare il primo doloroso strido | e far ne l'arte sua primi vestigi.'' (da ''[http://www.liberliber.it/mediateca/libri/p/petrarca/frammenti_rime_estravaganti/pdf/petrarca_frammenti_rime_estravaganti.pdf Frammenti. Rime estravaganti]'', 20, vv. 65-70; p. 43)
*[...] ventosa gloria è il cercar fama dalla splendidezza delle [[parola|parole]]. (dalla<ref>Dalla ''Lettera ai posteri'', in ''Del disprezzo del mondo, dialoghi tre'', prima versione italiana del rev. prof. Giulio Cesare Parolari, coi tipi di Luigi di Giacomo Pirola, Milano 1857).</ref>
*Stringendo adunque il molto in poco rammenterò fra le cose umane nessuna esser più dolce dell'amicizia, nessuna più santa, dalla virtù in fuori, e quelli che per potenza e per valore agli altri sovrastano aver più che gli altri bisogno di veri amici, i quali entrino a parte con loro della prospera e dell'avversa sorte. Fa di non chiedere all'amico giammai cosa che onesta non sia, né mai piegarti a far per lui cosa tale; ma se onesta è la domanda, qualunque ella sia, e tu l'appaga. Tieni sempre per fermo tra gli amici tutto esser comune: uno l'amico, uno il volere, non mutabile né per timore né per speranza, né per pericolo: dover ciascuno amare l'amico come se stesso, ed esser cieco a qualunque disparità di condizione; cerca in somma per tutti i modi che si avveri quel che [[Pitagora]] dice, cioè di due doversi far uno. [...] Noi non miriamo a cose impossibili, ma stiamo contenti a quelle, cui ci è dato di aggiungere secondo le leggi della umana natura: e fra queste è l’amicizia della quale parliamo. Poche, rarissime sono le coppie a noi conosciute di amici legati da un amore perfetto e sublime come quello che rese famosi i nomi di Lelio, e del minore Africano. Ma se stretta è fra i buoni, anche l’ordinaria amicizia riesce dolce e soave: come quella che non ammette adulazione, non conosce contumelie, ingiurie, disprezzo, mai non viene a discordia, mai nulla ambisce fuor che i vantaggi e l'onor dell'amico, e piena di letizia e di pace tutta si consola e si bea nel mutuo consorzio. Nulla in essa di finto, di doppio, di simulato, di occulto, ma tutto è schiettezza e candore: per guisa che comuni fra gli amici sono i consigli, le opere, gli onori, le ricchezze, l'ingegno, il sangue, e perfin la vita.<ref>Da ''[https://www.liberliber.it/mediateca/libri/p/petrarca/seniles/pdf/petrarca_seniles.pdf Lettere senili], {{small|volgarizzate e dichiarate con note da G. Fracassetti}}'', libro XIV, lettera I al Magnifico Francesco di Carrara Signore di Padova.</ref>
 
==''Canzone ai Grandi d'Italia''==