Giampiero Mughini: differenze tra le versioni

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*Per molti anni ha scritto a mano, secco e perentorio, con una penna stilografica Parker nera a inchiostro verde, l'inchiostro poi prediletto da Palmiro Togliatti, e tenendosi sulle ginocchia il figlio Cesare, avvolti entrambi in una nube di fumo, il fumo di qualcuna delle cento sigarette che [[Telesio Interlandi|Interlandi]] padre consuma in un giorno. Da alcuni anni ha preso invece a usare la Olivetti rossa. Batte lentamente, con l'indice della mano destra coadiuvato solo di tanto in tanto dall'indice della mano sinistra. Finisce comunque rapidamente, come sempre. Secco e perentorio. È di quelli che hanno inventato il giornalismo moderno, quel fraseggiare scarno, essenziale, che mira subito al cuore dell'argomento. Sin dalla fine degli anni Venti, Leo Longanesi, che se ne intendeva più di chiunque altro, aveva scritto che di giornalisti pari a Interlandi il fascismo non ne aveva. (cap. I, p. 14)
*[...] collaboratore ricorrentissimo tanto del «Tevere» che di «Quadrivio», l'architetto [[Vinicio Paladini]], un intellettuale «bolscevico» che da autore di strepitosi fotomontaggi e delle più belle copertine di libri degli anni Trenta è stato un po' il Moholy-Nagy<ref>László Moholy-Nagy (1895 – 1946), pittore e fotografo ungherese naturalizzato statunitense, esponente del Bauhaus.</ref> italiano, un protagonista dell'avanguardia tra le due guerre che ancora attende adeguata valutazione. (cap. I, p. 18)
*Anche se oggi il suo nome nemmeno figura nel ''Dizionario Bompiani degli Autori'', [[Marcello Gallian|Gallian]] è stato uno scrittore di spiccatissima personalità e tra le figure più interessanti della cultura italiana degli anni Trenta, un uomo all'incrocio di varie traiettorie intellettuali, lì al punto di giunzione fra il fascismo di sinistra e avanguardia intellettuale. Irregolare delle lettere e fascista verbalmente accanito, grande sperperatore del suo talento, morto a sessantasei anni nel 1968, lui la battaglia col pubblico sembra averla perduta di brutto, tanto da essere stato completamente cancellato dal panorama letterario del suo tempo. (cap. V, p. 104)
*Nato a Mosca nel 1902 da madre russa e da un ricco albergatore romano, piccolo di statura, esile, un paio di occhialetti tondi d'alluminio e sulla testa un basco (a quanto ce lo mostra un ritratto di Giuseppe Capogrossi), Paladini aveva visitato nel 1924 il padiglione sovietico alla Biennale di Venezia e ne era uscito entusiasta. Cultore da sinistra del moderno, convinto che in Urss fosse in atto la germinazione di una società nuova e dunque di un'arte rivoluzionaria, tessé l'elogio degli artisti esposti in quel padiglione in un libriccino<ref>''Arte nella Russia dei soviets. Il padiglione dell'U.R.S.S. a Venezia''.</ref> di poche pagine, pubblicato nel 1925. (cap. V, p. 111)
*Una foto di prima pagina {{NDR| del ''Quadrivio''}}<ref>Rivista, nata nel 1933, diretta da Telesio Interlandi.</ref> ci fa sapere che a Macallè<ref>Capitale del Tigrè, in Etiopia.</ref> è sorta la sede del Guf<ref>Gruppi universitari fascisti.</ref>.<br>È per l'appunto il tempo dell'imbecille coloniale, così come più tardi sarà il tempo dell'imbecille neorealista, e, via via che ci avviciniamo agli anni nostri, dell'imbecille terzomondista, dell'imbecille operaista, dell'imbecille pacifista, dell'imbecille ecologico. Ogni epoca ha i suoi di imbecilli, e se li tiene preziosi. (cap. V, p. 133)