Alfred Loisy: differenze tra le versioni

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*Si è fatto osservare che il Sinai di Madian era una regione vulcanica, e che questa circostanza verrebbe a spiegare il perché Jahvè era un dio igneo, un dio della tempesta, del quale riusciva altresi facile il fare un dio della guerra. Dalla stessa causa potrebbe provenire il suo esclusivismo. Questo spirito formidabile, adorato da un certo numero di tribù incolte, non si era trasmutato in un capo di una famiglia divina, come era avvenuto per gli dei delle altre nazioni. Egli bastava a se stesso, e non tollerava la vicinanza di altri dei. Questa caratteristica si trova testificata in modo incontestabile. (p. 132)
*La santità di Jahvè consiste nella sua inviolabilità, nella sua inaccessibilità, nella potenza che di cui è fornito di far rispettare la sua volontà, e non nella perfezione morale della sua natura. Si è detto che il suo carattere possiede dei tratti morali, ma non è precisamente un carattere morale. La sua potenza, la sua scienza, la sua bontà, sopratutto, hanno dei limiti. Quel dio del quale si crede che uccida istantaneamente coloro che rimirano la sua arca, o che stendono la mano per impedirle di cadere, non è un giudice che renda il castigo proporzionato alla colpa, sibbene un essere terribile che viene irritato quando lo si avvicina più di quello che convenga. La più leggera infrazione commessa contro la sua volontà, il più leggero attentato alla maestà del suo nome, lo ricolmano qualche volta di furore, ed a piacer suo o punisce le offese, oppure non vi bada nemmeno. (pp. 134-135)
*Quanto più una catastrofe è spaventosa, tanto più nella stessa si riconosce il suo intervento. Si trova esser naturale che egli estermini in una sola notte tutti i promgenitiprimogeniti degli egiziani: è il passaggio di Jahvè. Opera sua sono la peste e le malattie, come le stesse sono opera degli spiriti. Acceca o fa impazzire coloro che vuol perdere. Provoca il delitto che poi punirà. Siccome ogni trasporto violento dell'anima veniva attribuito agli spiriti, buono o cattivo che potesse essere, ogni eminente attitudine come ogni disordine dell'intelligenza la si attribuisce a Jahvè, il quale, in tal modo, viene ad essere, al tempo stesso, il genio del bene ed il genio dal male dei suoi sudditi. (pp. 136-137)
*Il [[Religione cananea|culto di Canaan]] era un politeismo volgare, che nascondeva in modo abbastanza superficiale uno strato d'animismo e di feticismo, eredità dei tempi antichi e, probabilmente, per lo meno per una parte, era proprio anche di quelle popolazioni vagabonde che se ne vivevano nel paese prima che se ne impadronissero i Cananei. Ogni località possiede il suo dio particolare; possiede il suo Baal, il culto del quale viene associato a quello di una pianta, di una fonte, di una pietra, di una caverna. [...] Tanto gli dei quanto le dee possono avere dei nomi particolari, ed è facile distinguerli, perché al loro nome va unito il nome del loro capoluogo: il baal di questa città non si può confondere con quello di quella, più di quello che si possano confondere le città stesse, che veneravano quei baal. Il paese si trovava frazionato in una serie di piccole signorie più o meno indipendenti, e questo frazionamento spiega questa molteplicità di dei. (pp. 148-149)
*Gli antichi dei rappresentavano l'autonomia locale, la quale doveva scomparire mediante l'unificazione politica sotto i capi di Israele; Jahvè stava a rappresentare l'umanità del popolo conquistatore ed il suo dominio. Coll'oracolo suo e la ''Thora'' dei suoi sacerdoti; col temperamento guerresco di cui era fornito, temperamento che faceva di lui il vero capitano delle schiere israelitiche; col regime delle guerre sacre, che trasformavano per un certo spazio di tempo i combattenti di Israele in una specie di ordine militare, sottoposto a strettissime regole religiose, che costituivano la sua disciplina; con i suoi entusiasti [...], i quali, sotto il nome di ''Nazir'' e di ''Nabis'' gli fungevano da testimonii al cospetto di popolazioni sensibili a tutte le manifestazioni della fede, anche e sopra tutto alle più stravaganti, Jahvè s'imponeva in tutti quei luoghi in cui Israele riusciva a metter piede. Se egli fosse già stato il dio del cielo e della terra, gli si sarebbero potuti subordinre gli dei locali, in qualità di spiriti celesti, come più tardi avvenne per gli dei delle varie nazioni. (pp. 154-155)