Salvatore Minocchi: differenze tra le versioni

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*Per gli Ebrei ripudiare il calendario babilonese, e particolarmente la settimana di sette giorni – che i Babilonesi hanno tramandato fino a noi, senza che siamo riusciti a sostituirla in modo migliore – era impossibile; la settimana era fondata, infatti, sì come tutto il calendario dell'anno lunare e solare, su profondi studi astronomici durati forse migliaia d'anni e pervenuti sin d'allora a risultati di una straordinaria perfezione. Ma appunto queste esigenze astronomiche erano il fondamento della concezione astrologico-politeistica dei Babilonesi, fonte di errore e di superstizione. Che fare? L'autore della cosmogonia biblica – se pure egli non fu il redattore di una tradizione religiosa digià formata – tagliò sovranamente il nodo gordiano, riportando a Dio la creazione del tutto, ed esprimendo così una eterna verità religiosa secondo gli stessi principi filosofici e scientifici dei Babilonesi e della civiltà contemporanea; egli mostò che Iddio medesimo era l'autore della settimana e di tutto il calendario che registra la storia del cielo e della terra. Egli fu il primo a non intendere, che si trattasse di una creazione materialmente fatta in un dato lasso di tempo; perché certo non potrà mai ragionevolmente dirsi, che egli credesse necessario un giorno a Dio onnipotente per la creazione della luce, la quale fu in un attimo dopo la parola divina, Egli volle invece chiaramente esprimere una profonda verità religiosa, a fronte degli errori del suo tempo. Se nel corso dei secoli non è stato poi più compreso, non è sua la colpa, ma dei tempi e della ignoranza degli uomini. (parte prima, pp. 42-43)
*Quel che per il momento ci interessa è specialmente il concetto rappresentativo del paradiso terrestre e della vita quivi de' suoi primi abitatori. Che questa raffigurazione del giardino regale della Divinità, dove anche gli umani vivono beati, provenga più o meno direttamente dalla terra e dal pensiero babilonese, lo accenna abbastanza la Bibbia, designandolo come situato ad oriente dei popoli arabo-mediterranei, nella ''pianura'' o ''steppa'' del confine babilonese (''Edinu-Eden''), e solcato da fiumi, due dei quali per lo meno sono gli stessi Tigri ed Eufrate, che danno vita a tutto l'agro assiro babilonico. Se il paradiso terrestre della Bibbia in tutto non combina con la rappresentazione che ne davano i Babilonesi – nei documenti a noi finora noti – ciò dipende perché i vari popoli naturalmente avevano di queste primitive figurazioni ognun d'essi un concetto suo proprio, quindi un poco diverso l'uno dall'altro. Ai Babilonesi, infatti, non è ignota questa immagine di un loco di felicità, divina e umana ad un tempo, di un'isola de' beati dove immortali si vive e in perenne sentimento di bellezza e di forza; ma essa è diversamente situata. (parte prima, p. 86)
*Il serpente del terzo capitolo della Genesi non è affatto una creazione propria, esclusiva del racconto biblico. Il concetto del principio del male e del dolore, rappresentato in figura di un mostruoso rettile, che sta in agguato contro la Divinità e contro il benessere di tutte le opere create del cosmo visibile, ma più ancora contro il genere umano, è ovvio e fondamentale nella religione babilonese. Rammentiamo nel già citato poema della creazione {{NDR|l<nowiki>'</nowiki>''[[Enûma Eliš]]''}} la lotta di Marduk contro Tiamat e gli altri poteri delle tenebre, in forma di draghi e simili mostruosi rettili guizzanti; indugiarci nelle multiformi espressioni plastiche e letterarie che il drago, il rettile mostruoso, il principio del male, insomma, assume nel mondo ideale babilonese, ci pare del resto superfluo. (parte prima, p. 92)
*Abbiamo dimostrato a esuberanza, che il concetto della creazione del mondo era puro nell'ambito del pensiero biblico; ma abbiamo dovuto riconoscere che, per esprimerlo secondo le esigenze del loro tempo, gli antichi Ebrei e la Bibbia medesima non disdegnarono, guidati da divina inspirazione, di farlo con rappresentazioni concettuali e linguistiche simili a quelle dei popoli fra cui vivenano, e che avevano delle origini del mondo un'idea di gran lunga più perfetta od errata. Le relazioni disaminate già fra la Bibbia e il poema babilonese della creazione sono là per istabilirlo. (parte prima, p. 103)
*Gli antichi Ebrei credevano che l'anima umana risiedesse principalmente nel sangue, versato il quale certa era la morte; e credevano più ancora, che un attentato ingiusto alla vita altrui, quand'ache potesse sfuggire alla giusitizia vendicatrice degli uomini, non rimarrebbe occulto e inulto dinanzi alla sapienza e onnipotenza divina. Il sangue versato e suzzato dalla terra, l'anima cioè dell'ucciso, secondo l'antico concetto orientale, gridava pur giustizia a Dio, padre di tutte le creature sue, e giustizia otterrebbe di sicuro. (parte prima, p. 132)
*L'unica spiegazione vera di ''Figli di Dio'' resta quella, così caratteristica di tutta la Bibbia, che vede in essi le intelligenze soprannaturali, viventi nella linea, così dire, della divinità – perciò chiamati ''[[Figli di Dio]]'' – e dimoranti insieme con Dio nella celeste reggia di lui e intorno al suo trono, pronti a servirlo ed eseguirne i voleri. Essi sono i ''Divini'', mediatori fra Dio inaccessibile e il genere umano; nella loro qualità di ''messaggeri'', trasmettitori dei decreti di Dio all'umanità, fra gli Ebrei erano anche appellati ''Mal'akîm'' e grecamente poi furono detti ''Angeli''. (parte seconda, p. 199)
*Il testo della Bibbia dice e ripete a sazietà, quasi prevedesse lo scempio che ne avrebbero fatto i concordisti, dice e ripete per lo meno questo: 1º, che tutta assolutamente la superficie abitata, anzi anche abitabile, della terra fu inondata dall'acqua del [[Diluvio universale|Diluvio]], talmente che essa sorpassò di 15 cubiti la vetta della più alta montagna che sia fra tutte sulla terra; 2º, che non solo tutti gli uomini, ma tutti gli esseri viventi morirono sopra tutta la terra; 3º, che salvaronsi dal Diluvio i soli uomini e gli animali soli entrati con Noè nell'arca, e da essi è stata poi ripopolata la terra d'uomini e d'animale.<br>Questo permesso, noi sfidiamo qualunque concordista a sostenere, se ne ha coraggio, in pieno secolo XX: 1º, che tutte le specie d'animali esistenti sopra la terra – con o senza l'ipotesi dell'evoluzione – riuscirono ad essere introdotte, sì da potervi abitare un anno, quanto durò la loro permanenza, in quell'arca le cui misure esigono sia paragonata in grandezza ad un odierno piroscafo transatlantico, non dei più grossi; 2º, quando mai poté la terra essere tutta intera inondata dalle acque, e sommersa fino a 15 cubiti, cioè circa 8 metri, al disopra della più alta montagna, che è l'Himalaya. E a questi due quesiti siamo anche sicuri che il concordista non risponderà: perché qui non siamo più fra le difficoltà ed i sotterfugi, ma nell'assurdo e nell'impossibile. (parte seconda, p. 215)