Giuseppe Antonio Borgese: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Giuseppe Antonio Borgese==
 
*Alla Germania vittoriosa converrebbe una Russia {{sic|nihilista}}, un'Inghilterra {{sic|labourista}}, una Francia in mano di [[Joseph Caillaux|Caillaux]] e dei suoi simili (pensate bene: se i tedeschi fossero entrati a Parigi avrebbe sentito Caillaux il bisogno di fare una gita in America?), senza fortificazioni e senza leva triennale, un'Italia inerme, allegramente rivoltosa come era in giugno, magari sbocconcellata in corrusche repubblichette socialiste.<ref>Da ''Italia e Germania'', Fratelli Treves Editori, Milano, 1919, [https://archive.org/details/italiaegermania00borg/page/72 Parte prima, pp. 72-73].</ref>
*[...] [[Luigi Capuana|Capuana]], che s'era tuffato nell'acqua del verismo senza subire la metamorfosi di Glauco, ha continuato a respirare ed a vivere anche quando quell'acqua fu tutta quanta svaporata. Egli non appartenne mai ad un sistema o ad una scuola; non fece mai sacrificio della sua personalità ad una fede o ad un metodo, ma si servì, con gioconda agilità, dei metodi e delle mode per compiacere al suo prepotente istinto narrativo. E, perìta la fede artistica dei suoi anni migliori, egli, l'artista, sopravvive, e ricanta, più che settuagenario, ancora un inno alla voluttà di creare, e immagina, racconta, scrive con una fecondità che quasi c'inebria e ci fa più cara la vita come ogni segno di energia senile.<ref>Da ''La vita e il libro'', Terza serie e conclusione, Fratelli Bocca editori, Milano - Roma, 1913, [https://archive.org/details/lavitaeillibro03borg/page/223/mode/1up/ cap. III Narratori, pp. 223-224].</ref>
*Il tema più essenziale della letteratura italiana, finché essa si è mantenuta sui vertici, è quello del Giudice divino e della [[Maria|Vergine]]. [..] La letteratura e l'arte italiana sorsero da un ceppo religioso e di esso continuarono a nutrirsi. Protagonista fu il Pantocrator, il Cristo vincente della Divina Commedia e del Giudizio universale. Eroina fu la Paneghia, la tutta santa, la tutta pura, la Vergine amata.<ref>Da ''Il senso della letteratura italiana'', F.lli Treves, 1931.</ref>
*Il verismo era divenuto la sostanza dell'anima di [[Giovanni Verga|Verga]]; e, quando quella formula si sciolse, quando quell'edificio teorico intaccato da ogni genere di critica crollò, il Verga era già troppo innanzi negli anni per farsi una nuova fede ed era, d'altro canto, un temperamento troppo appassionato e profondo per procedere innanzi senza la certezza di un terreno compatto. Parlò sempre più raro e più fioco, trepidò sentendosi mancare il consenso dei tempi, tacque.<ref>Da ''La vita e il libro'', Terza serie e conclusione, Fratelli Bocca editori, Milano - Roma, 1913, [https://archive.org/details/lavitaeillibro03borg/page/223/mode/1up/ cap. III Narratori, p. 223].</ref>
*L'arte del [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] è un'avventura del nostro spirito, la più frusciante di sete, la più densa di profumi; di tutte la più sterile ed amara.<ref>Citato in ''I classici italiani nella storia della critica'', opera diretta da [[Walter Binni]], vol. II, ''da [[Giambattista Vico|Vico]] a [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]]'', La Nuova Italia, Firenze, 1974, p. 690.</ref>
*{{NDR|Su Maia, Laus vitae di [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]]}} Scritta precipitosamente nel tempo, essa è vertiginosa nel ritmo... La esaltazione della sfrenata libertà individuale che è nel concetto si manifesta anche nella forma: la pindarica strofa di ventun versi, rapida come un galoppo serrato, rapinosa come un torrente, col suo battito violento imprime al poema una tale velocità che perfin le lunghissime enumerazioni e le quasi indiane verbosità rotolano come valanghe, e gli ottomilaquattrocento versi della Laude si slanciano verso la fine con la snellezza delle dieci strofe di un inno guerresco... Energiche, fresche, vibranti sono le parole... Diritto e fugace il periodo.<ref>Da ''Gabriele D'annunzio'', Napoli, 1909; citato in De Marchi e Palanza, ''Protagonisti della civiltà letteraria nella critica, Antologia della critica Letteraria dalle Origini ai nostri giorni'', Casa Editrice Federico & Ardia, Napoli, 1974, pp. 702-703.</ref>
*Tutte le volte che la [[Carola Prosperi|Prosperi]] ha tentato un urto di passioni, un conflitto drammatico, le è mancato un punto d'appoggio nella realtà su cui far leva. Ma c'è un umile, continuo, represso grido lirico, ed è la particolare bellezza della ''Paura di amare'': il grido della vergine violata, dell'amante inebriata, della sposa che partorisce, della puerpera che muore; il gemito sordo di questo spirito su cui la materia prevale, e che nello strazio cui lo sottomette l'istinto trova appena tanto di forza e di libertà che le basti per ergersi verso il cielo deserto, domandando pietà.<ref>Da ''La vita e il libro'', Terza serie e conclusione, Fratelli Bocca editori, Milano - Roma, 1913, [https://archive.org/details/lavitaeillibro03borg/page/248/mode/1up/ cap. III Narratori, p. 248].</ref>
*{{NDR|Su Maia, Laus vitae di [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]]}} [...] una Divina Commedia capovolta [...]<ref>Citato in ''I classici italiani nella storia della critica'', opera diretta da [[Walter Binni]], vol. II, ''da [[Giambattista Vico|Vico]] a [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]]'', La Nuova Italia, Firenze, 1974, p. 690.</ref>
*{{NDR|A proposito de ''[[I fratelli Karamàzov]]''}} Vanno oltre il bello. Essi raggiungono la dignità del libro sacro.<ref>Citato in [[Igor Sibaldi]], ''Introduzione'', in Fëdor Dostoevskij, ''I fratelli Karamàzov'', Mondadori, Milano, 1994, p. XIV. ISBN 88-04-52723-4</ref>
 
==''La vita e il libro''==
 
*[...] [[Luigi Capuana|Capuana]], che s'era tuffato nell'acqua del verismo senza subire la metamorfosi di Glauco, ha continuato a respirare ed a vivere anche quando quell'acqua fu tutta quanta svaporata. Egli non appartenne mai ad un sistema o ad una scuola; non fece mai sacrificio della sua personalità ad una fede o ad un metodo, ma si servì, con gioconda agilità, dei metodi e delle mode per compiacere al suo prepotente istinto narrativo. E, perìta la fede artistica dei suoi anni migliori, egli, l'artista, sopravvive, e ricanta, più che settuagenario, ancora un inno alla voluttà di creare, e immagina, racconta, scrive con una fecondità che quasi c'inebria e ci fa più cara la vita come ogni segno di energia senile.<ref>Da ''La vita e il libro'', Terza serie e conclusione, Fratelli Bocca editori, Milano - Roma, 1913, [https://archive.org/details/lavitaeillibro03borg/page/223/mode/1up/ (cap. III Narratori, pp. 223-224].</ref> )
 
*Il verismo era divenuto la sostanza dell'anima di [[Giovanni Verga|Verga]]; e, quando quella formula si sciolse, quando quell'edificio teorico intaccato da ogni genere di critica crollò, il Verga era già troppo innanzi negli anni per farsi una nuova fede ed era, d'altro canto, un temperamento troppo appassionato e profondo per procedere innanzi senza la certezza di un terreno compatto. Parlò sempre più raro e più fioco, trepidò sentendosi mancare il consenso dei tempi, tacque.<ref>Da ''La vita e il libro'', Terza serie e conclusione, Fratelli Bocca editori, Milano - Roma, 1913, [https://archive.org/details/lavitaeillibro03borg/page/223/mode/1up/ (cap. III Narratori, p. 223].</ref>)
 
*Tutte le volte che la [[Carola Prosperi|Prosperi]] ha tentato un urto di passioni, un conflitto drammatico, le è mancato un punto d'appoggio nella realtà su cui far leva. Ma c'è un umile, continuo, represso grido lirico, ed è la particolare bellezza della ''Paura di amare'': il grido della vergine violata, dell'amante inebriata, della sposa che partorisce, della puerpera che muore; il gemito sordo di questo spirito su cui la materia prevale, e che nello strazio cui lo sottomette l'istinto trova appena tanto di forza e di libertà che le basti per ergersi verso il cielo deserto, domandando pietà.<ref>Da ''La vita e il libro'', Terza serie e conclusione, Fratelli Bocca editori, Milano - Roma, 1913, [https://archive.org/details/lavitaeillibro03borg/page/248/mode/1up/ (cap. III Narratori, p. 248].</ref>)
 
==''Una Sicilia senza aranci''==
 
*Sia fatta confessione plenaria, o quasi. Io non sono mai stato a [[Girgenti]], io non ho mai salito l'[[Etna]], io non sono mai stato a [[Selinunte]], io non ho mai visto Erice, Monte San Giuliano, di cui mi raccontava abbaglianti meraviglie il mio professore d'Italiano al liceo, Ugo Antonio Amico, e di cui, anche recentemente, un giovane scrittore italiano, non siciliano, mi diceva che [[Capri]] non è nulla al confronto. Ultimo, e peggio di tutti per misurare l'abisso della mia ignoranza, io non sono mai stato a [[Segesta]] che è, si direbbe, alle porte di [[Palermo]].<br/> Eppure a che servono questi elenchi? E che cosa sono quando le cose che esistono dentro la mente, dentro al cuore vi si sono stampate con un'orma la cui profondità, la cui stabilità non è paragonabile a nessun'altra? (''Discorso sulla Sicilia (ai siciliani?)'', p. 93)
 
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==Bibliografia==
*Giuseppe Antonio Borgese, ''Una[https://archive.org/details/lavitaeillibro03borg/page/n10/mode/1up/ SiciliaLa senzavita arancie il libro]'', aTerza curaserie die Ivan Pupoconclusione, AvaglianoFratelli EditoreBocca editori, Milano - Roma, 2005, ISBN 88-8309-179-51913.
*Giuseppe Antonio Borgese, ''Le belle'' (1927), Sellerio editore, Palermo, 1983, ISBN 88-389-0228-3
*Giuseppe Antonio Borgese, ''Una Sicilia senza aranci'', a cura di Ivan Pupo, Avagliano Editore, Roma, 2005, ISBN 88-8309-179-5
 
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