Viktor Andrijovyč Kravčenko: differenze tra le versioni

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*Ogni ora che passa mi trasforma sempre più in un uomo senza patria, senza famiglia, senza amici... Non rivedrò mai più i miei parenti, i miei amici, tutti coloro che sono la carne della mia carne e il sangue del mio sangue; non stringerò più le loro mani, non sentirò più le loro voci... Esattamente come se non esistessero più: qualcosa d'infinitamente prezioso è dunque morto in me. D'ora in avanti, la mia vita sarà muta e vuota per sempre, irremissibilmente... (vol. 1, cap. 1, p. 12)
 
*Nessun uomo libero, ne sono certo, può spiegarsi come, per un cittadino di un paese totalitario, tutto ciò {{NDR|la defezione}} sia il '"delitto'" più spaventoso che si possa immaginare per le sue ripercussioni e le sue conseguenze. Un gesto simile costituisce la suprema apostasia che si possa commettere al cospetto di un dio terrestre. Non solo chi l'ha commessa si trova trasformato ufficialmente in un relitto, in un povero diavolo i cui giorni sono contati, ma non gli è neppure consentito di corrispondere con coloro che ama e che sono rimasti nel paese nativo. La sua fronte porta il segno fatale di Caino, poiché qualunque cittadino sovietico si condannerebbe a un vero suicidio politico, nonché al suicidio ''tout court'', se osasse avvicinarlo o attestargli la minima simpatia. (vol. 1, cap. 1, p. 14)
*La mia decisione di rompere col regime sovietico, cioè, in effetti, la mia dichiarazione di guerra personale a quello stato poliziesco e a tutti quelli che gli assomigliano, non era il risultato di un colpo di testa, ma la conseguenza naturale di tutto ciò che che mi era accaduto di vedere, pensare e soffrire; in questo senso, non era tanto una decisione nel vero senso della parola, cioè la manifestazione di una volontà, quanto la conclusione logica e inevitabile di un processo evolutivo. (vol. 1, cap. 1, p. 15)
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*Tutta Mosca risuonò ben presto dei nuovi ''slogans'' sullo stakhanovismo e il telegrafo cominciò a trasmetterci, senza interruzione, istruzioni categoriche provenienti da Karkov o addirittura dalla capitale: e si trattava di minacce appena appena velate. Venne l'ordine di costituire immediatamente delle squadre di {{sic|stakhanovisti}} che servissero di stimolo ai tardi e agli inetti: e tutti gli ingegneri e capitecnici che avessero opposto obiezioni di qualsiasi genere contro il nuovo procedimento, sarebbero stati giudicati sabotatori e trattati come tali. (vol. 1, cap. 13, pp. 343-344)
 
*{{NDR|dopo la firma nel 1939 del [[Patto Molotov-Ribbentrop|trattato di non aggressione fra il Reich e l'Unione Sovietica]]<ref>Noto anche come patto Molotov-Ribbentrop.</ref>}} Dovemmo vedere coi nostri occhi le attualità cinematografiche e le fotografie dei giornali che mostravano uno Stalin sorridente, con la mano nella mano di von Ribbentropp, per cominciare finalmente a credere all'incredibile. A Mosca gli stendardi con la svastica e le bandiere con la falce e il martello sventolavano insieme. Poi Molotov ci spiegò che il fascismo, dopo tutto, era soltanto una 'questione di gusto', e Stalin rivolse al suo collega in dittatura le dichiarazioni più fervorose sulla loro '"amicizia cementata nel sangue'". (vol. 2, cap. 21, pp. 600-601)
 
*Il mattino del 22 giugno 1941<ref>Tra le 3:15 e le 3:45 di quel giorno, iniziò l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica (operazione Barbarossa).</ref> le città e gli aeroporti sovietici subirono i primi bombardamenti e gli eserciti sovietici, presi dal panico, si ritirarono su un vasto fronte davanti alle divisioni blindate dei nazisti.<br>I giornali del mondo intero annunciarono a grandi caratteri l'improvvisa invasione della Russia da parte della Germania. Quel mattino, poco prima dell'alba, la polizia segreta cominciò ad arrestare gli '"indesiderabili'", a decine di migliaia in tutto il Paese. (vol. 2, cap. 22, p. 633)
 
*I Russi lo chiamano con una parola: ''Vlast'', "il potere". Questa parola designa parimenti Stalin, il ''Politburo'', la Polizia Segreta e i favoriti del dittatore, sia quelli che posseggono titoli ufficiali, sia i cortigiani veri e propri. Il cittadino comune non la pronuncia, questa tremenda parola, che con espressione di collera e di paura. In bocca sua, equivale a: "i nostri padroni", ed esprime l'infinita distanza che separa questi padroni dal gregge volgare dei comuni mortali. (vol. 2, cap. 24, p. 706)