Mario Praz: differenze tra le versioni

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*V'è una fonte segreta di freschezza anche nelle [[natura morta|nature morte]], come il seme sepolto nella tomba dei Faraoni era capace di fecondità anche dopo tremila anni d'ombra.<ref>Da ''Voce dietro la scena'', Adelphi, Milano, 1980, p. 17.</ref>
*[...] [[viaggiare]] è un sentirsi morire a ogni passo, la vita appare al viaggiatore come un'esperienza estremamente eccitante, come un'avventura che di certo non si ripeterà di nuovo. (da ''Penisola pentagonale''<ref name=covileromano/>)
 
{{Intestazione|Dall'intervista di [[Fausto Gianfranceschi]], ''Mario Praz: il gusto di giocare con la fantasia'', ''Il Tempo'', 5 settembre 1976, p. 3}}
 
*{{NDR|Quale episodio «letterario» della sua vita ricorda più volentieri?}} C'è un'immagine che mi ritorna ancora alla mente, benché risalga a quando avevo vent'anni: ma non so se posso parlare... Allora ero a Firenze, e una mattina mi recai da Soffici, che ancora non conoscevo ma di cui avevo una grande stima, per mostrargli alcune mie traduzioni di poesie inglesi e francesi, da pubblicare eventualmente con Vallecchi. Soffici stava a Poggio a Caiano, e quindi mi avviai in bicicletta: a un certo punto ebbi necessità di... innaffiare i campi. Quello zampillo dorato, al sole, sul prato, mi richiamò agli occhi, come un'identificazione, un verso di Rimbaud che avevo da poco tradotto, e che descrive la stessa immagine (riferita a un bambino). Fu un momento quasi estatico.
*{{NDR|Quali opere, secondo lei, esprimono il gusto e la mentalità della nostra epoca?}} Dal principio del secolo, due secondo me sono le opere chiave: la ''Terra desolata'' di Eliot e l'''Ulisse'' di Joyce. Poi anche Beckett, e non soltanto per ''Aspettando Godot'', ha avuto il suo peso.
*{{NDR|La scientificità dello strutturalismo appiattisce e sterilizza tutto, mentre la [[metafora]] è creativa, anche nella critica...}} Già. Per me è come un gioco di equilibrio. In un punto soltanto, come i vertici di due coni, due universi differenti si incontrano. Mi piace pensare così, ed è il principio del ''calembour''.
*{{NDR|Ha ancora una ragione, una funzione, l'idea del [[bello]]?}} L'idea del bello potrebbe avere un ruolo se l'uomo ritrovasse un'angolazione precisa, come nei secoli passati, quando, fino al Romanticismo, l'idea di corrispondenza, di simmetria, di ordine, dava un senso di piacere, di benessere, che appunto era detto «il bello». Oggi le cose non stanno così. C'è un grande ordine tecnologico, con un grande disordine di gusti e di mentalità. È un caos, mentre il bello era l'ordine nel caos. [...] l'[[artista]] è colui che da un senso, un ordine, un metodo alla realtà. Oggi invece, specialmente nelle arti visive, e non parlo soltanto dell'astrattismo (il quale dovrebbe avere un ordine che però mi sfugge, perché non si sa che cosa ordina), si esce fuori da ogni senso di equilibrio e di corrispondenza. Certo, il principio dell'arte non può essere soltanto l'ordine e la simmetria; per questo nel Settecento si affermò il concetto di «sublime», che comprende anche il terrore, lo spavento, l'effetto trascendente... Tantomeno di questo si può parlare per l'arte dei nostri giorni.
*{{NDR|E quali opere esprimono il gusto e la mentalità oggi peggiori?}} Le opere di certi imitatori di Joyce che non riescono a farcela. Le opere di chi inventa vocabolari sbagliati [...]. Le opere che esprimono un caos sforzato.
*{{NDR|Può tratteggiare un'analisi autentica della psicologia del [[collezionismo|collezionista]]?}} Mi sembra stramba e ricercata la interpretazione «anale» di Freud. Tuttavia il [[collezionismo]] è un vizio, come il vizio del gioco: e non sempre si ispira al bello (come nella raccolta di sassi, di scatole, di fiammiferi, di francobolli), ma risponde a un istinto dell'uomo. A un grado successivo si diventa collezionisti d'arte, e questa è l'origine di molti antiquari, alcuni dei quali non si sono ancora liberati del «vizio»: ne conosco tra i migliori che si battono per il gusto di ottenere un oggetto, senza pensare al guadagno successivo, e una volta ottenutolo lo tengono in casa: alla fine se ne disfano, per non tradire la loro professione. I Goncourt affermano che il collezionismo è una sostituzione dell'erotismo. Allora si può dire che i più grandi collezionisti siano o fossero i sultani perché collezionando donne combinano il collezionismo con l'erotismo... In ogni modo il collezionismo, che deriva da un istinto di possesso sia pure sublimato, è proprio il contrario del misticismo che porta a spossessarsi di tutto.
 
{{Intestazione|Dall'intervista di [[Alfredo Cattabiani]], [http://ita.calameo.com/books/0048019463e1bd08512a7 ''Conversando con Praz e Isotta''], ''Prospettive libri'', gennaio 1981, pp. 18-22}}