Renato De Falco

filologo e scrittore italiano (1928-2016)
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Renato De Falco (1928 – 2016), filologo, scrittore e personaggio televisivo italiano.

Renato De Falco

Del parlar napoletano

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  • Una specifica particolarità della favella napoletana è quella della sua incisiva adesività: la rigorosa proprietà del nostro linguaggio è scevra da approssimazioni e pressappochismi, fornendo la più totale ed immediata concordanza tra il veicolo semantico ed il concetto che si intende esprimere: essa rende l'homo neapolitanus un autentico cesellatore delle parole, che devono riprodurre con caparbia precisione l'idea da comunicare. (p. 27)
  • In ordine alle iperboli, c'è da rilevare che le stesse si apparentano con la abituale coloritura conferita al nostro esprimerci anche per avvalorare quanto si afferma e meglio sensibilizzare l'interlocutore. Esse consentono un forse inconsapevole transfer dalla limitatezza del reale alla incommensurabilità dell'immaginario, non escludendone una collegabilità alla ambientale componente di quella solarità che fa più grandi tutte le cose... (pp. 33-34)
  • Cuffià: Dileggiare, beffare, deridere, burlare, prendere in giro, ma in una cadenza autenticamente napoletana, cioè ironica, sorridente e canzonatoria, tutt'altro che beffarda, sarcastica e maligna. [...] per l'homo neapolitanus il cuffià si configura spesso quale itinerante supporto esistenziale: per lui, che sotto le disincantate specie del Tatonno 'e Quagliarella di Giovanni Capurro (musicato da Francesco Buongiovanni nel 1919), può dire «cuffeio pure 'a morte e 'a piglio 'a risa»... Ed è proprio in questa sovrana irrisione che si condensa e si sublima tutta la millenaria saggezza del nostro popolo, tutta la perenne essenzialità del suo sussistere, tutta la esplicita garanzia della sua rinnovantesi sopravvivenza... (p. 43)
  • [Alla recettività linguistica del dialetto napoletano si unisce quella] intensamente e concretamente solidale sul piano umano. Si pensi all'accoglienza riservata agli Ebrei, non ghettizzati ma inseriti in due zone che ancora ne ricordano la presenza: Giudecca vecchia, nei pressi di Forcella e Giudecca nuova, verso Portanova, nonché alle varie Logge (cioè alloggiamenti) dei Pisani, dei Francesi, dei Genovesi... Etnie cui nel materno grembo partenopeo era possibile integrarsi e comunicare al di fuori di ogni discriminazione, nella stessa misura in cui il nostro aperto e multimediale idioma ha saputo dare spazio alle tante componenti in esso armonicamente trasfuse... (p. 99)

Per moda di dire

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  • È il caso del ricorrente "buonismo" che vorrebbe equivalere a una speciosa disponibilità, a una concessiva non prevenzione e a un tollerante spirito di apertura nei confronti di ideologie, situazioni o persone precedentemente avversate o contestate, con cui per discutibili motivi si vorrebbe evitare lo scontro. [...] il buonismo (venuto alla luce nel 1993) si risolve nel rifiutare qualsiasi specie di rigore e nel mostrarsi (fin troppo) accondiscendente verso chi viola elementari norme di comportamento e di vita. Ma quanto lontano questo spesso ipocrita buonismo da quella genuina e autentica bontà (di cuore, di animo, di sentimenti), fragrante di altruistica solidarietà e di genuina comprensione. (Buonismo, pp. 20-21)
  • Il colpo assestato al coperchio e quello, alternativo, alla botte era la magistrale e abile prerogativa dei remoti "bottari", che nella complessa fase di assembramento delle doghe dovevano infliggere in contemporanea opportuni colpi di martello sia alle stesse perché non si scompaginassero che ai cerchioni in ferro destinati ad avvincerle. Nel tempo l'espressione "dare un colpo al cerchio e uno alla botte" assunse il senso di doversi comportare, per precauzionali motivi di prudenza, in maniera da contemperare due contrapposte esigenze, ripartendo fra entrambe il torto e la ragione. Nulla quindi di opportunistico, di sottinteso o di farisaico quale oggi conferito dal politichese al modo di dire, mediante la forzata unificazione di due innocenti lemmi, tesa a deplorare l'ambiguità di quanti, pur professando differenti posizioni ideologiche, colludono fra loro per solo reciproco tornaconto. Alla faccia del buon vino da immettere nelle caste botti faticosamente strutturate dai loro leali fabbricanti, incapaci di sospettare che quella limpida fatica avrebbe dato squallido nome a un tanto discutibile comportamento. (Cerchiobottismo, pp. 24-25)
  • Nel diffuso e spesso forzato mutamento degli originari significati, la desistenza gioca un (negativo) ruolo primario. Essa, infatti, dal senso specifico di ravvedimento o di rinunzia, ha di recente assunto la curiosa valenza tutta politica di benevola astensione, di velato consenso, di disimpegnato – ma sempre più o meno interessato – lasciar correre e permissivo tirà a campà. Una volta si desisteva dalle querele, ora non c'è il rischio di venir querelati per desistenza. "Insistere, persistere, resistere", i verbi che in un passato non tanto remoto qualificavano la decisa volontà di raggiungere uno scopo o pervenire a un successo: al presente non è affatto da escludere che con un mirato "desistere" si possano conseguire confortevoli benefici, con buona pace di ogni coerenza e dignità. (Desistenza, p. 38)

Bibliografia

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