Renato Vallanzasca

criminale italiano

Renato Vallanzasca Costantini (1950 – vivente), criminale italiano.

Monumento alla memoria dei poliziotti Luigi D'Andrea e Renato Barborini uccisi dalla banda Vallanzasca al casello autostradale di Dalmine (BG)

Citazioni di Renato Vallanzasca modifica

  • Ci sono vittime per le quali uno può sentire – almeno io, parlo di me – una colpa pesante, ci sono altre... che fanno... fanno parte, anche se il termine "gioco" è un tantino fuori luogo, però... fanno parte di un... Il poliziotto che mi spara non poteva pretendere che gli mandassi i mazzi di fiori. Il momento stesso che il poliziotto prende l'indennizzo-rischio vuol dire che sa di poter rischiare di avere uno conflitto a fuoco con Vallanzasca: a me mi sono morti quattro soci sotto gli occhi – quattro amici – c'ho 13-14 colpi addosso di arma da fuoco, quindi non ho mai fatto quello che... Non son mai stato – non per parlar male del brigatista – ma non sono stato quello che è andato a giustiziare quello che usciva con la moglie e il bambino andando al cinema. Io non ho mai sparato per primo, non ho mai sparato nella schiena alla gente: io con il mio codice deontologico sono a posto.[1]
  • Con Turatello avevo ottimi rapporti, tra il '74 e il '76 con lui ho avuto discussioni che toccavano amici miei e suoi, ma niente tra di noi; nel senso che io non avevo sparato a lui e lui non aveva mai sparato a me. Quando ci siamo rivisti a San Vittore c'erano delle cose da chiarire... Io non avevo nessun motivo per uccidere Turatello.[2]
  • Io voglio sempre avere l'opportunità di farmi la barba la mattina, potendomi guardare allo specchio senza dovermi sputare in faccia.[1]
  • Mi sono innamorato del computer, sono diventato bravino e tra l'altro è quello che penso possa essere il mio futuro, perché nonostante tutto ci credo ancora di avere un futuro.[1]
  • Sono nato per fare il delinquente, il resto sono balle. Non sono una vittima della società. Non mi reputo tale. Sono un ragazzo che poteva avere la possibilità di studiare. Anche se non ero di una famiglia benestante, non ci mancavano i mezzi, eravamo in una condizione agiata. Ma fin da piccolo mi piaceva rubare i soldatini.[3]

Da Vallanzasca: "Addio bel René, la vecchia mala ormai non c'è più"

la Repubblica, 14 ottobre 2009.

  • Sai che ti dico? Che ne ho le balle piene e non vedo l'ora di liberarmi del mio mito. Il bel René... La banda della Comasina... Ma andassero un po' tutti a cagare.
  • È proprio perché ho chiuso dodici anni fa, decidendo di raccontare la mia vita con un libro, che posso dire di aver seppellito quel Renato Vallanzasca. E ora che sono vecchio come il dattero, posso finalmente chiedermi se sono io a essere cambiato o questo mondo che mi circonda. Probabilmente l'uno e l'altro. Forse, soprattutto questo mondo.
  • Vedi? Neanche le guardie sanno più chi sono. Solo andando all'Ikea ho trovato uno che sembrava sapesse tutto di me. Un tassista che mi fa: «Grande René, corsa pagata». E io: «Grande René un cazzo. Ma chi sei?».
  • Oggi, se facessi il bandito, vivrei tre giorni. Perché o troverei uno che mi ammazza direttamente o che mi fa ammazzare per cento euro. Ma ti rendi conto? Bruciano i barboni per noia. Mandano a battere le bambine o le schiave. Per il grano o per un tiro di quella merda che manda in pappa il cervello, sono disposti a tutto. La malavita non esiste più. Oggi esiste la mala-vita. Niente regole, niente onore, niente amicizia, niente rispetto. La violenza è dappertutto ed è insensata. E ti assicuro che ce ne vuole a dirtelo, perché io pure ho ucciso. Ma io saltavo i banconi e lo mettevo nel conto. Se andava male, sapevo che sarebbe toccata o a me, o alle guardie che mi inseguivano sparando. Oggi chi è lo scemo che rapina una banca?
  • Come diceva Bertold Brecht? È un crimine più grande fondare una banca o rapinarla? Bene, io a quella domanda come tutti sanno ho dato una risposta. Ma guardandomi intorno oggi, sai cosa mi colpisce? Che quarant'anni fa, Milano era più cupa, più sporca. Ma ad avere paura era solo chi aveva il grano. Le porte delle case restavano aperte. Gli operai che tiravano la lima alla Marelli lasciavano i ragazzini alla vicina o in cortile. Oggi chi ha il grano paura non ne ha più. La paura è dei disgraziati. Paura di essere scippati, violentati, accoltellati. E sai cosa trovo ancora più incredibile? Che a dire «Al lupo, al lupo», però, sono rimasti sempre quelli che hanno il grano. Oggi uno che fa una rapina prende quindici anni. Chi manda sul lastrico qualche decina di migliaia di famiglie succhiandosi i loro risparmi, va bene se fa un mese ai domiciliari. Il senso della comunità è andato a farsi fottere. E se non c'è comunità, non c'è mito. Guardia o ladro che tu sia.
  • Perché non chiedere perdono? Perché il perdono è un sentimento privato. Per chi lo chiede e per chi lo concede o lo rifiuta. Il mio modo di chiedere perdono pubblicamente è stato scontare il castigo che mi è stato inflitto, assumermi la responsabilità dei disastri che ho combinato, chiedendo solo di non morire in carcere. La grazia la voleva chiedere la mia vecchietta, ma non avrei sopportato che si dicesse che mi nascondevo sotto la sottana di mammina e così ci ho messo la faccia. Non mi è stata data e la cosa è finita lì. Posso solo dire che quando arriverà il giorno in cui chiedere perdono e arriverà, non ci saranno né fanfare, né pennivendoli a registrare l'evento.

Citazioni su Renato Vallanzasca modifica

  • Quando fu catturato per la prima volta, a Roma, e portato, in manette, sul famoso balconcino, sotto c'era una folla di fotografi e giornalisti (la difesa della persona esiste solo per i delinquenti di grosso calibro, per gli altri valgono gli "schiavettoni"). Uno dei giornalisti, nel clima sociologicizzante dell'epoca, gli chiese: «Vallanzasca, lei si ritiene vittima della società?». E lui rispose: «Non diciamo cazzate». Lo avrei graziato solo per questo. (Massimo Fini)

Note modifica

  1. a b c Dal programma televisivo Novecento, Rai 3, 13 novembre 2000.
  2. Citato in Guido Passalacqua, «Francis era un amico», si difende René, repubblica.it, 15 gennaio 1986.
  3. Citato in Massimo Fini, Vallanzasca: Un bandito non travestito, il Fatto Quotidiano, 9 settembre 2010.

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