Piero Colaprico

giornalista e scrittore italiano

Piero Colaprico (1957 – vivente), giornalista e scrittore italiano.

Piero Colaprico

Citazioni di Piero Colaprico

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  • [A propositi di Giuseppe Turani] Non esisteva altro giornalista in Italia che potesse "ricevere" abitualmente a pranzo al tavolo d'angolo di un ristorante di corso Venezia [di Milano], con l'aria di chi può starci tutto il tempo che vuole. Là sono passati, e non si esagera, migliaia di commensali diversi nel corso degli anni, anzi dei decenni: imprenditori, capitani d'industria, uffici stampa, boiardi di Stato, finanzieri, banchieri, ma anche semplicemente amici di Voghera, aspiranti giornalisti, le donne delle quali s'innamorava, a volte perdutamente. Un grande mix, una cornucopia di "fonti primarie" che gli permetteva spesso non solo di scrivere prima e meglio degli altri, ma anche di dare corpo a una delle sue più grandi passioni: la conoscenza dei segreti piccoli e grandi del potere italiano.[1]
  • [A proposito di Giuliano Ferrara] Non credo faccia testo la sua "conversione": c'erano, tra i comunisti così come tra tutti, gli ubbidienti al leader e quelli che ubbidivano alle idee e al cuore. I primi, dovunque nel mondo, spesso fanno soldi e carriera, i secondi non raramente una brutta fine. Tutto qui: uno deve conoscersi e sapere da che parte stare.[2]

Incipit di alcune opere

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L'estate del mundial

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Le sillabe gli rimbalzarono sulle palpebre chiuse e doloranti: «Sve-tì-vo-dà-sco-và».
In quella mattina stracca, Pietro Binda non tollerava l'idea della luce violenta del primo giorno d'estate e se ne stava immobile nella stanza da letto, le persiane sprangate e le narici affondate nelle lenzuola. Il suo agitato dormiveglia era già stato interrotto dal figlio Umberto, uscito di corsa per un lavoretto da pasticciere che aveva trovato alla fine della scuola. Quèll li da quànd el porta i cavei pettenàa a la moda di rasta l'è semper in ritard. Poi ci si era messa anche Rachele, che come sempre trafficava in casa prima di colazione. Lo squillo del telefono aveva avuto almeno il merito di zittire il ronzio micidiale del Folletto aspiratutto.

La donna del campione

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Corrado Genito aveva spento lo stereo mentre il coro dei tenori si lamentava con feroce determinazione contro chissà quale Dio. Più che un Requiem, sembrava una protesta di piazza. La musica contemporanea forse era diventata un po' troppo contemporanea anche per uno come lui, "intriso di modernità", come si vantava di essere. Andò ad aprire la porta corazzata della sua agenzia di consulenza per la sicurezza. Non aveva la minima voglia di accettare Maretta Zara come cliente. Ma non aveva potuto rifiutare di riceverla.

  1. Da Addio a Giuseppe Turani, raccontò la Razza padrona, la Repubblica, 8 gennaio 2021, p. 31.
  2. Da Repubblica Milano, 19 settembre 2009, p. XIII.

Bibliografia

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