Paul Tillich
teologo tedesco
Paul Johannes Tillich (1886 – 1965), teologo tedesco.
- Contro Pascal, io dico: il Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe e il Dio dei filosofi è lo stesso Dio.[1]
- "Dio" è la risposta alla domanda implicita nella finitezza dell'uomo; egli è il nome di ciò che interessa ultimamente l'uomo.[2]
- Dio lo dobbiamo chiamare la potenza infinita dell'essere che resiste alla minaccia del non-essere. In teologia classica è l'essere-stesso. Se l'angoscia viene definita la coscienza di essere finiti, Dio lo dobbiamo chiamare il fondamento infinito del coraggio. In teologia classica è la provvidenza universale.[3]
- La dimensione religiosa dell'imperativo morale è il suo carattere incondizionato.[4]
- La religione è il fatto di essere presi da un interesse ultimo.[5]
- La religione è la sostanza della cultura, la cultura è la forma della religione.[6]
- La religione è la sostanza, il fondamento e la profondità della vita spirituale dell'uomo. [...] Essere religiosi significa interrogarsi appassionatamente sul senso della nostra vita ed essere aperti alle risposte, anche se esse ci scuotono in profondità.[7]
- La religione non è una funzione accanto alle altre, ma è l'orientamento, che sostiene tutte le funzioni dello spirito verso l'incondizionato.[8]
- Le tendenze conservatrici delle chiese ufficiali non sono mai riuscite a sopprimere la tendenza del cristianesimo al sovvertimento della storia. Tutti i movimenti rivoluzionari dell'Occidente ne dipendono, che lo sappiano o no.[9]
- Neppure il comunismo potrebbe vivere se fosse totalmente sprovvisto degli elementi della Comunità Spirituale.[10]
- Soltanto se la tradizione viene trasformata frequentemente può essere salvata come realtà vivente. Una conseguenza fatale del tradizionalismo è l'elusione di questioni assai serie. Sembra che le conferenze ministeriali tendano ad evitare i problemi teologici basilari. In un tempo in cui vengono attaccati tutti gli elementi fondamentali del cristianesimo, tale atteggiamento acuisce fortemente l'irrilevanza. [...] La parola "controverso" è divenuta oggi, nell'insieme, una parola negativa. Dovrebbe essere invece una parola quanto mai positiva. Nelle controversie, infatti, nel "sì e no", è possibile conoscere la verità e in nessun altro modo. Se si escludono – vuoi da parte della chiesa, vuoi da parte della società – le affermazioni controverse, tale chiesa e tale società sono condannate ad una lenta decadenza.[11]
- Un atto morale non è un atto di obbedienza ad una legge esterna, umana o divina, [invece è] l'innata legge del nostro vero essere e della nostra natura essenziale e creata, che ci chiede di realizzare ciò che proviene da essa.[4]
Note
modifica- ↑ Citato in Gibellini, p. 91.
- ↑ Da Teologia sistematica; citato in Gibellini, p. 99.
- ↑ Da Teologia sistematica; citato in Gibellini, p. 97.
- ↑ a b Da Morality and Beyond; citato in Andrew Linzey, Teologia animale, traduzione di Alessandro Arrigoni, Cosmopolis, Torino, 1998, p. 6. ISBN 978-88-87947-01-4
- ↑ Citato in Gibellini, p. 90.
- ↑ Da Teologia della cultura; citato in Gibellini, p. 92.
- ↑ Da Teologia della cultura; citato in Gibellini, p. 89.
- ↑ Citato in Gibellini, p. 89.
- ↑ Citato in Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino, 1976, cap. IX.
- ↑ Citato in Gibellini, p. 104.
- ↑ Da L'irrilevanza e la rilevanza del messaggio cristiano per l'umanità oggi.
Bibliografia
modifica- Rosino Gibellini, La teologia del XX secolo, Queriniana, Brescia, 1999. ISBN 88-399-0369-0
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