Marco Praga

commediografo italiano

Marco Praga (1862 – 1929), commediografo e critico teatrale italiano.

Marco Praga fotografato da Mario Nunes Vais

Citazioni di Marco Praga

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  • [Sulla seconda rappresentazione al Teatro Manzoni di Milano dei Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello] Il pubblico del Manzoni ha accolto trionfalmente questa strana commedia ch'è, indubbiamente, un'opera d'arte di una originalità rara. (citato nell'introduzione a Il Teatro di Luigi Pirandello, pag. XXXI, VII ristampa Oscar Mondadori, gennaio 1976)

Cronache teatrali

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  • Letizia Celli è una giovane d'ingegno, alla quale è forse mancata finora l'occasione propizia per mettersi in piena luce e per attirar su di sé l'attenzione dei pubblici. Auguriamole che l'occasione le si presenti presto. Certo, nella miseria odierna non dovrebbe esserle difficile l'affermarsi sulla scena italiana, se troverà un direttore che sappia che cos'è l'arte e che cos'è il mestiere, e che le dedichi le sue cure. (Cronaca I, p. 7)
  • [...] mi hanno data, a Roma, una notizia terrificante. Non la sapete? Ve la dico io. Stiamo per perdere alcune stelle e alcuni divi dell'arte muta. Gli americani, nostri prodi e validi alleati sul Piave, ci fanno una guerra accanita dinanzi allo schermo. Le case cinematografiche americane ci vogliono portar via i nostri interpreti più illustri e più belli. E siccome gli americani hanno più milioni che non capelli sulla testa, e dai milioni – ahimè! – si lasciano sedurre anche i grandi artisti, così a portarceli via ci riescono. Sinora si accontentavano dei tenori e dei baritoni, dei soprani e dei contralti; adesso vogliono anche i divi dello schermo. Mi hanno detto dei nomi, ma li ho dimenticati; fuorché due; due nomi che agli Stati Uniti sono già molto più celebri di quelli, poniamo, di Guglielmo Marconi e di Gabriele d'Annunzio. Ve lì faccio? Giù il cappello, e trattenete le lagrime: Francesca Bertini e Maciste. (Cronaca II, p. 22)
  • Ho sempre amata Tina di Lorenzo come attrice, coi suoi difetti, e l'amo come donna, per i suoi difetti. Perché i suoi difetti di donna sono, per me, delle qualità squisite. Voglio rivelarvene uno: dice pane al pane, vino al vino, e, se le fanno perdere la pazienza, se la offendono nelle sue credenze, nelle sue predilezioni, se ode profferir delle buaggini (e sui palcoscenici se ne profferiscono tante!) dice anche qualcos'altro a qualcos'altro. Una parola grossa non la spaventa, lei dama sino alla punta dei capelli e galantuomo come un galantuomo, che il Signoriddio la benedica! Alla sua sincerità spietata ella sa sacrificare talvolta – quando le sembri necessario o opportuno – anche la sua gentilezza e la sua grazia, anche la sua bontà. Dir sempre ciò che pensa, a tutti, e dirlo in faccia, e non mandarlo a dire, è il suo metodo e la sua gioja. (Cronaca VI, p. 69)
  • Maria Laetitia Celli non è fortunata in questa stagione manzoniana[1]. Le è scappato il primo attore e perciò il repertorio si é di molto ridotto: nelle novità rappresentate finora non una parte in cui le sue qualità – che non sono poche – potessero mettersi in mostra: nella Signora innamorata doveva essere una signora disamorata, in questa Loletta ha una particina «di favore» più da primattrice giovine che da primattrice... Speriamo nelle recite che mancano a finir la stagione... (Cronaca XVI, pp. 188-189)
  • Quando si ha, come lei [Dina Galli], del talento da vendere, delle attitudini da far sbalordire, e, sia pure, la fortuna che quel talento e quelle attitudini hanno ben meritata, si hanno degli obblighi verso se stessi, e verso l'arte, e – perchè no? – anche verso il proprio paese. Ella deve, almeno in parte, nobilitare il suo repertorio, deve introdurvi delle opere d'arte – d'arte comica, ben inteso – deve compiere l'ultima ascesa, e non le sarà difficile, per raggiungere i fastigi dell'arte. Non deve finire Presidentessa, o Crevette, o non so che. Non ha che da scegliere, senza titubanze e senza timori. Il pubblico l'adora, e la seguirà. E provvedendo alla sua fama, non di attrice – ch'è raggiunta – ma di artista, potrà far del bene al pubblico e al teatro. (Cronaca XXIII, p. 6)
  • [...] so che Olga Vittoria Gentilli è una garbata attrice che si veste, o che si sveste, su la scena con un buongusto squisito; ma la credo più adatta alle parti molto molto forti, oppure a quelle molto molto ingenue; nella Duchessa di Danzica non ce la vedo, lei che è la distinzione fatta persona. Potrei sbagliarmi; ma è meglio evitarsi una delusione... (Cronaca XXXIV, p. 114)
  • [...] non credo che la Reiter sia stata risospinta sulla scena da una invincibile passione dell'arte, da una nostalgia, o dalla bramosìa di aggiungere nuove fronde alle corone che durante vent'anni ella aveva raccolte. No. In tali casi ella avrebbe tentato di attorniarsi di men mediocri compagni e, se ciò non era possibile, si sarebbe aggregata ad una tra le Compagnie migliori per interpretare qualche opera d'arte invece di venirci a ripetere le Magde, le Odette, le Fernande e le Madames Sans-Géne. (Cronaca XLVII, pp. 245-246)
  • [...] i tempi sono mutati, ma Virginia Reiter è rimasta quella che era: una grande prima attrice. Niente di meno e... niente di più. (Cronaca XLVII, p. 247)
  • Armando Falconi... Be', silenzio. Ho già detto in queste Cronache ciò che penso di lui, ciò ch'egli aveva il dovere di fare, ciò che la scena italiana ha il diritto di attendersi e di pretendere da lui. Invece... Ma un triennio scorre in fretta; ed è già accaduto più volte che non finisca come è cominciato. Ed io dirò ad Armando Falconi: «Sei giovine ancóra, te fortunato; arrivederci dunque, se non prima, nel 1924». (Cronaca LIII, pp. 34-35)
  • Abbiamo riveduta con grande piacere una cara nostra vecchia conoscenza: Gilda Zucchini Majone, attrice del buon stampo antico. Ella ha recitato per molt'anni in italiano, nelle compagnie migliori; ora è ritornata al natio dialetto e, parrà persin strano, perché poteva temersi l'opposto, vi ha portato un garbo e una misura nella comicità che, non me ne voglia se glielo dico, recitando in italiano qualche volta ella smarriva. (Cronaca LIV, p. 50)
  • [...] ho qualcosa da dire a Maria Melato, ch'è una delle poche e belle forze della misera scena italiana attuale: ho da dirglielo da qualche tempo, e colgo quest'occasione che mi pare propizia. – Ecco: io credo che Maria Melato debba sorvegliarsi per riuscire a moderarsi. A moderarsi in più cose: nelle movenze e negli atteggiamenti, nell'accentuazione ch'ella dà ad ogni battuta, nel calore e nel colore di cui riveste ogni parola ch'ella pronunzia. Quelle che sino a or fa qualche tempo potevano apparire le caratteristiche dell'arte sua vanno diventando dei difetti. (Cronaca, LXI, pp. 111-112)
  • Alda Borelli, infine, ha dato una nuova irrefragabile prova del suo talento e del suo intuito. Non credo che meglio si potrebbe impersonare la Parisina che il poeta [D'Annunzio] ha creata, con maggior grazia, con più dolce e accorata poesia. E ammirabilmente ella dice il verso: cosicché – l'ascoltavo stupito – non ci si accorge che sian versi quelli ch'ella dice, e insieme si sente che una poesia purissima esce dalle sue labbra. (Cronaca LXXXV, pp. 49-50)
  • Emma Gramatica recita ora a Roma, al Valle, e vi ottiene dei successi clamorosi. La sua è una stagione trionfale. II pubblico affolla ogni sera il teatro, e la critica esalta l'attrice, alla quale ha dato il titolo di «grande». Emma Gramatica è una grande attrice, sissignori. Ho preceduti i miei maestri – queste mie Cronache ne fanno fede – nell'esaltare quell'artista squisitissima, e non posso che compiacermi di trovarmi oggi in sì eletta compagnia. (Cronaca XCI, pp. 101-102)
  • Né ci dilungheremo a discorrere delle due nuove commedie che quella infaticabile attrice che è Emma Gramatica (Self-help potrebbe, veramente, essere il motto di questa prodigiosa auto-didatta, che si è formata da sé una profonda coltura; che da sé ha appreso tre lingue straniere; che legge cento commedie per trovarne quattro che la seducano e che le piaccia di portar su la scena; che traduce dal francese e dall'inglese, o ritraduce per ridurle ad una lezione migliore, le opere che deve rappresentare; che recita e prova e dirige e ammaestra, e vive sul palco scenico dodici delle sue ventiquattr'ore...) Dicevo?..., Ah, che non ci dilungheremo a discorrere delle due ultime «novità» ch'ella ha offerto in questi ultimi giorni al pubblico sempre affollato del Manzoni, un pubblico fidente e devoto, conscio ormai della grandezza di questa attrice, ammirato soprattutto della nobiltà della sua arte. (Cronaca CVII, pp. 259-260)

Incipit di alcune opere

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La biondina

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Il sole entrava dall'ampio finestrone a inondare di luce lo studio vastissimo, dove Giacomo Burton lavorava, dall'alba al tramonto. Due delle bianche pareti erano coperte da grandi tavole di disegni, modelli di macchine; sulla terza, di contro al finestrone, era una sfilata di mensole chiare di larice, con tutte le fiale ed i vasi bianchi ed azzurri, pieni di minerali e di acidi, nella gamma allegra di colori che la chimica possiede. Qua e là, e negli angoli, sul pavimento, erano pezzi di macchine, e pile, e fornelli.

La crisi: commedia in tre atti

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Nicoletta, sorridente e lusinghiera. Colonnello, passiamo a bere il caffè in salotto?
RAIMONDO offre il braccio a NICOLETTA, ed entrano nel salotto. NICOLETTA è una bella donna, giovane, elegante, vivace e assai distinta nei modi. RAIMONDO è un uomo di 45 anni, alto, dalle larghe spalle, dall'aspetto serio, marziale, ma distinto ed elegante, né addimostra quel po' d'impaccio che sovente hanno i militari in borghese, e neppure appare il tipo convenzionale del soldato rude, intransigente, inflessibile. PIERO e il PUCCI seguono i due nel salotto. PIERO è sulla quarantina. Come suo fratello RAIMONDO, ha modi distinti, ma talvolta un poco incerti, come d'uomo debole e timido. Il PUCCI è un giovanotto trentenne, insignificante nella sua eleganza corretta ma un poco esagerata. Egli veste il doppio petto; RAIMONDO e PIERO sono in giacca. NICOLETTA ha una veste chiara primaverile, semplice ma di molto buon gusto.
Nicoletta, abbandonando il braccio di RAIMONDO. E se vuol fumare....
Raimondo. Grazie, cognatina.

Citazioni su Marco Praga

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  • L'amico (1886) non ha un grande valore d'arte, ma rivela già, nella sua secchezza drammatica, l'uomo di teatro per eccellenza che sarà Praga, rivela in germe quelle che saranno le caratteristiche migliori del commediografo milanese: analisi profonda del carattere femminile, sobrietà concettosa del dialogo, facoltà di osservazione chiara, netta, precisa, e attitudine a riprodurre la realtà della vita con pochi segni caratteristici. (Cesare Levi)
  • Tolto un mediocre romanzo e alcuni bellissimi racconti di vita teatrale, il Praga può dirsi abbia dedicata l'intera sua vita letteraria al teatro; ma essa non è stata, sfortunatamente, troppo feconda di opere, né, ancor più sfortunatamente, troppo felice. La critica, tranne che per le due commedie sunnominate[2], non gli diede mai il suo consenso pieno ed entusiastico; il pubblico glielo concesse soltanto per quelle impressionanti e meno artistiche, in grazia anche delle virtuosissime interpretazioni, fattene da attori come il Novelli e la Duse. Tuttavia, chi consideri l'intera produzione drammatica del Praga con serenità, deve a questo riconoscere un personalissimo vigore, che lo caratterizzano, differenziandolo da ogni altro commediografo, e lo fanno degno del massimo rispetto. (Luigi Tonelli)
  1. Del teatro Manzoni di Milano.
  2. Le vergini (1889) e La moglie ideale (1890).

Bibliografia

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Filmografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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