Leone Caetani

storico, islamista e orientalista italiano

Leone Caetani (1869 – 1935), storico, islamista e orientalista italiano naturalizzato canadese.

Leone Caetani

Studi di storia orientale modifica

  • Fra noi, le religioni e la civiltà dell'India e dell'Estremo Oriente, vi è un distacco netto e profondo, creato da secoli di sviluppo indipendente e di reciproco isolamento. Invece fra la civiltà musulmana e quella europea vi fu sempre continuo contatto e profonda, reciproca, influenza. La civiltà araba si assimilò una grande parte della coltura scientifica e filosofica dell'Ellenismo asiatico, e la trasmise all'Europa medioevale. (vol. I, cap. I, p. 3)
  • Quelli i quali negano all'Islam ogni avvenire nella evoluzione politica dei tempi futuri, potrebbero ricevere un giorno qualche spiacevole smentita. [...] L'Islam è in movimento, e quantunque si muova con la sua caratteristica, direi quasi geologica, lentezza, tuttavia avanza nel suo cammino, e la sua stessa lentezza è manifestazione di forza, è sintomo di durevole tenacia. (vol. I, cap. I, p. 12)
  • L'odio di religione e di razza si accrebbe con le Crociate, nelle quali i Cristiani, pur con gravissimo dispendio di vite, ottennero vantaggi solo e del tutto effimeri; all'odio antico si aggiunse allora la mortificazione delle sconfitte sofferte da un nemico, il quale si vantò della vittoria come di una prova che la verità religiosa si trovasse dalla parte sua. Migliaia e migliaia di vite preziose furono inutilmente sacrificate per riscattare – e solo per un breve periodo di anni – la tomba venerata di Cristo; tomba che, caduto il regno di Gerusalemme, ritornò per sempre, irrimediabilmente, nelle mani dei maggiori nemici del Cristianesimo. (vol. I, cap. I, p. 31-32)
  • La grande fama di Hammurabi è dovuta non solo alle gloriose conquiste, ma in particolar modo ad un codice di leggi che egli ha lasciato, e che riassume tutta la scienza giuridica del tempo suo. Il preziosissimo documento, scolpito sopra un grande monolite nero, fu scoperto nei tumuli di Susa dall'insigne archeologo francese, il De Morgan, e destò grande commozione nel mondo dei dotti, perché provò irrefragabilmente come una parte cospicua delle leggi mosaiche nella Bibbia avessero origine dalla Babilonide pagana e fossero quindi di natura «umana», non – come taluni volevano – divina. (vol. I, cap. II, pp. 184-185)
  • Forse la fede professata dai sovrani arabici non era esattamente quella dei loro sudditi babilonesi: il codice [di Hammurabi] era però formato di leggi e di usi quasi esclusivamente babilonesi, sicché Hammurabi, nell'ordinare la celebre codificazione del suo corpus juris, volle, per spirito di tolleranza, eliminare un soverchio colorito religioso per renderlo così accetto a tutte le classi dei suoi sudditi, qualunque ne fosse la fede. Tale modernità di concetti in un sovrano di 4000 anni or sono è argomento di maraviglia, tanto più che sappiamo aver Hammurabi propugnato la fede in Mardùk, cercando di elevarlo al grado di divinità superiore a tutte le altre. (vol. I, cap. II, pp. 220-221)
  • Madre bella, crudele e spietata, l'Arabia accolse a turbe infinite gli uomini nel suo grembo, quando era nella sua lieta giovinezza, avvolta in manti di verzura e in molli nebbie e nubi irroratrici; ma poi invecchiata, impoverita, inaridita e riarsa, ne fece uomini nuovi, aspri, taglienti, forti d'animo e di mente, avidi nel godere, crudelissimi verso le sofferenze altrui, e quindi li cacciò da sé, gli uni appresso agli altri, minacciandoli di orribile morte se non partivano. Or questo spirito crudele, duro, egoista e superbo si rispecchiò appunto nella fede semitica: la fede d'Israele antica, di Assiria, di Babilonia, della Siria e della Fenicia è tutta imbevuta di questo poderoso egoismo, assetato di ricchezze e di godimenti, sitibondo di lotte e di sangue. (vol. I, cap. II, p. 284)
  • Invano si cercherebbe nel Corano un'esortazione a morire per la fede. Maometto promette ai credenti un lauto compenso nell'altra vita: fanciulle adorabili intatte, che, dopo ogni amplesso, tornano ad essere vergini come prima: bevande deliziose, giardini incantevoli, frutti delicati ed una eterna gioia. Ma questi compensi erano promessi in cambio di servizi resi all'Islám ed al Profeta, pur conservando sempre salva la vita. L'idea del martirio, della morte per la fede, concetto altamente cristiano, s'infiltrò in appresso nello spirito dell'Islám, quando centinaia di migliaia di Musulmani altro non erano che cristiani apostati. Se Maometto avesse chiesto ai Beduini il sacrifizio della vita, pur promettendo il paradiso, quegli scettici gli avrebbero sorriso in faccia, quasiché egli volesse scherzare. Quando alcuni dei suoi perirono uccisi, all'aspetto doloroso dei lor cadaveri, il Profeta insisté sui compensi ai quali avevan diritto quei generosi. Mai però si sognò di invitare i suoi seguaci alla morte: i guerrieri d'Arabia irruppero sull'Asia come belve, intenti a rapire ed a godere, ma niente disposti a morire, perché avrebbero giudicato stoltezza abbandonare vantaggi certi e desiderati, per una incerta e vaga promessa, sulla realtà della quale nessuno poteva e voleva fare sicuro affidamento. (vol. I, cap. III, pp. 367-368)
  • Solo chi ha viaggiato nel deserto può comprendere i terrori, i pericoli e le sofferenze che impongono agli uomini quelle immani solitudini, nelle quali lo smarrirsi significa morte certa, nel modo più crudele e straziante, la morte per sete. Non tenteremo nemmeno di descrivere il deserto con i suoi spaventosi calori estivi, con le sue immense distese di sabbia infocata, con le sue colline e pianure rocciose arroventate dal sole implacabile, dove di estate ogni palmo di terreno arde a segno da potervi difficilmente posare la mano. Chi non l'ha provato, non può mai figurarsi il bagliore accecante del sole, del cielo e della terra, arsa e riarsa dal fuoco celeste, che sembra tramutare il mondo in un forno crematorio. (vol. I, cap. III, pp. 377)
  • [...] quando gli Arabi compariscono nella storia, avevano già vissuto, di generazione in generazione, sì a lungo nei deserti, che la loro natura si era completamente adattata alle condizioni di quel paese; adattata al punto da apparire esso il popolo dei deserti per eccellenza, quello che meglio di ogni altro ritrae nei suoi costumi, nella sua favella, in ogni suo atto e pensiero la vita delle grandi solitudini. L'adattamento degli Arabi alle condizioni del loro paese è già sì completo fin dal loro primo comparire nella storia, che noi li vediamo, con maraviglia, anche tenacemente affezionati al loro paese, nonostante tutti i suoi orrori e terrori, e preferirlo persino a tutti gli altri della terra. Essi sono già i veri figli del deserto, foggiati da esso su di uno stampo speciale, che non ritroviamo poi altrove, presso verun popolo. (vol. I, cap. III, pp. 379-380)
  • [...] se il genio e l'energia di Maometto fossero state le forze motrici principali del movimento islamico, la morte del fondatore avrebbe dovuto segnare un immediato e necessario regresso. Abbiamo invece tutto il contrario: l'attività del Profeta non era che la espressione più evidente d'un grande movimento politico, sociale e morale, che agitava tutta la penisola. (vol. III, cap. IX, p. 53)
  • L'importanza dell'editto [il divieto per i pagani di venire al santuario, consacrato dai versetti 1-12, 28 e 36 della sura IX] fu grandissima, perché, sebbene formulato in termini vaghi, servì, interpretato con fanatica rigidità nei secoli successivi, come punto di partenza per il trattamento di tutti i popoli e di tutte le fedi soggette all'Islam. Per far parte della comunità islamica bisognava ora professarsi, con parole e con atti, realmente musulmano. Gli Ebrei ed i Cristiani potevano però conservare la loro fede a patto di pagare un tributo annuo, detto «gizyah», e se non volevano sottostare all'obbligo dovevano esservi costretti con la forza.
    Questo è il vero significato dei versetti coranici e non già, come vorrebbero gli esegeti musulmani, che bisognava aggredire la «gente del libro» ovunque si trovasse e imporle con le armi il pagamento di un tributo. (vol. III, cap. X, p. 269)
  • Maometto è stato un uomo così smisuratamente ammirato e venerato dagli uni, tanto violentemente ed ingiustamente criticato e calunniato dagli altri; l'opera sua fu tanto ampia e complessa; gli effetti prodotti dalla medesima abbracciando tredici secoli di storia, ed una vasta parte del mondo conosciuto, sono stati così immensi nel tempo e nello spazio, che dare su di lui un giudizio esatto ci sembra impresa estremamente difficile, e forse anche impossibile. (vol. III, cap. XI, p. 279)
  • [...] siamo costretti a concludere che Maometto avesse, in una misura infinitamente superiore a tutto ciò che possiam sapere o immaginare, le qualità rarissime di un vero pastore di popoli, vale a dire una conoscenza assai profonda della natura umana, unita ad un'arte finissima, ingenita, nel sedurre e nel dominare i pensieri, l'affetto e le volontà degli uomini. I felici successi ottenuti lo confermarono sempre più nelle sue convinzioni, e via via rassicurato dall'esperienza, non ebbe più limiti nella già immensa sicurezza di sé e nell'assoluta fiducia della verità delle proprie dottrine. (vol. III, cap. XI, pp. 291-292)
  • Il taglio della mano per furti era usanza antica anteriore a Maometto [...] ed a lui ripugnante, né è provato che egli mai l'applicasse.
    Ai violatori manifesti delle prescrizioni coraniche, ai Compagni, per esempio, colpevoli di essersi inebbriati con il vino, egli si contentò di dare di persona due colpi con il sandalo. (vol. III, cap. XI, pp. 299)

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