Joel Elias Spingarn

educatore, critico letterario e attivista statunitense

Joel Elias Spingarn (1875 – 1939), educatore, critico letterario e attivista statunitense.

Joel Elias Spingarn (1911 circa)

La critica letteraria nel Rinascimento

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  • Nel De Poeta del Minturno (1559), i principii sono gli stessi, e lo stesso anche il metodo. Egli comincia col mettere in luce l'ambito vasto della poesia, che si può dire abbracci tutto lo scibile umano, e col dimostrare che non è dato scorgere traccia di dottrina prima che i poeti apparissero sulla terra, che nessuna nazione per quanto barbara è stata mai contro la poesia: gli Ebrei lodavano Dio in versi; i Greci, gli Italiani, i Tedeschi, gli Inglesi l'hanno avuta tutti in pregio; i Persiani contano i loro Magi e i Galli i loro bardi. Il verso, pur non essendo dell'essenza della poesia, contribuisce per molto alla sua vaghezza; e, se gli Dei dovessero parlare, niun dubbio che parlerebbero in versi; nei tempi primitivi, infatti, fa in versi che si scrissero tutte le scienze, la storia e la filosofia. (parte prima, cap. I, p. 26)
  • Il Fracastoro [...] afferma che la poesia può imitare anche altro fuori della vita umana; o Empedocle e Lucrezio non sarebbero poeti; e Virgilio sarebbe poeta nell'Eneide e non nelle Georgiche! Tutto è poetico, come dice Orazio, quando sia poeticamente trattato; e benché l'imitazione degli uomini possa parere di maggiore importanza a noi che siamo uomini, l'imitazione della vita umana, non più che quella di qualsiasi altra cosa, è compito proprio del poeta. (parte prima, cap. II, p. 44)
  • Se ufficio principale del poeta è di insegnare la virtù, occorre che sia egli medesimo un uomo virtuoso; e, ciò affermando, il Minturno, primo nei tempi moderni, presenta in forma completa la teoria della missione sacra del poeta. Concesso che né cognizione né qualità morale di sorta gli manchi, il poeta in fondo sarà l'uomo veramente savio e buono; infatti si può definirlo un uomo dabbene, esperto nell'arte del dire e dell'imitare; e non sarà buon poeta se non sia già buono come uomo. (parte prima, cap. II, p. 56)
  • Il Giraldi Cintio dice che tragedia e comedia hanno comune il fine, perocché amendue intendono a introdurre buoni costumi; a questo risultato esse pervengono per diverse vie: la comedia col piacere e con qualche festevole motto; la tragedia, di fine lieta o infelice che sia, col miserabile e col terribile purga gli animi dai vizi e gli induce a buoni costumi. (parte prima, cap. III, p. 76)
  • Altrimenti che il Malherbe[1] e la sua scuola, il Ronsard concede un certo numero di licenze poetiche, ma solo a patto che vengano usate raramente e con giudizio. È alla licenza poetica, dice, che dobbiamo quasi tutte le belle figure, onde i poeti, passando nella loro estasi divina sulle leggi della grammatica, hanno arricchite le loro opere. (parte seconda, cap. III, p. 227)
  • Anche egli [Ben Jonson] esalta la nobiltà, il potere della poesia e la dignità dell'ufficio del poeta; ma in nessun luogo parla della libertà dell'immaginazione o della forza del genio. La letteratura per lui non era l'espressione della personalità propria, non un parto della fantasia, ma un'immagine della vita, una pittura del mondo. In altre parole, egli effettuò ciò che potrebbe dirsi un'oggettivazione dell' ideale letterario. (parte terza, cap. IV, p. 306)

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