Irène Némirovsky

scrittrice francese

Irène Némirovsky (1903 – 1942), scrittrice francese.

Irene Nemirovsky nel 1928

Citazioni di Irène Némirovsky

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  • Una donna può odiare l'uomo che non ha saputo proteggerla dalla sventura. (da La preda)
  • Come sempre, quando si attende la morte di qualcuno che non è necessario alla propria esistenza, al proprio respiro, si pensa più a se stessi che alla persona in fin di vita.
  • "Sì, io... È possibile che la mia vita, proprio la mia, assomigli alla sua? Il lavoro, la famiglia, nessuna passione, nessun rischio da correre, nessuna nobile avventura da vivere, e, per finire, la morte? Non è possibile accettare in anticipo l'idea che tutto ciò basti a riempire la vita, la propria vita, preziosa e unica, e tuttavia… Inizio a credere che un'esistenza qualsiasi, grigia, piatta, possa estenuare l'uomo a tal punto che, invecchiato, egli aspiri al riposo. Al contrario, più la vita è stata appassionata e piena, più comprensibile sarebbe il grido del morente: "Come? Di già? Ma non son riuscito a far nulla! Non ho avuto tempo!... Non ho vissuto..."
  • Si sdraiarono l'uno accanto all'altra, separati nelle loro speranze, dai loro rimpianti, dai loro sogni, ma uniti dal calore dei corpi, dal dolce torpore del sonno, due nello spirito, ma già una carne sola.
  • Quanto bisogna aver vissuto, per poter scoprire tratti umani nei nostri genitori o insegnanti! E, probabilmente, pensava, l'intera esistenza consiste in questo lento cambiamento di prospettiva.
  • Presto smetterà di amarmi, ma non mi abbandonerà mai.
  • Quando si trovavano insieme, le loro preoccupazioni smettevano di essere definite; non restava loro che un sentimento di fatica, di un pesante fardello che, di colpo, si alleggeriva misteriosamente, li lasciava riposare, respirare. Tacevano e fingevano di dormire. La casa era silenziosa, la camera in penombra. Marianne spegneva la luce sul comodino accanto al letto; Antoine lasciava accesa la sua, con il libro aperto davanti che non leggeva mai. Dalla finestra socchiusa penetrava il freddo della sera. Il letto era caldo e confortevole, e quel giaciglio condiviso, quel silenzio, quella pace precaria li intorpidivano, li univano come mai erano stati nel tumulto della giornata, e nemmeno nei momenti d'amore.
  • Ognuno di loro sentiva nel compagno pensieri che gli erano sconosciuti, che erano, forse, ostili all'altro, al suo benessere, al suo riposo, ma nessuno dei due cercava di penetrarli, al contrario, li ignoravano con tutte le forze; gli contrapponevano un tale desiderio di fiducia, una tale volontà di felicità che quelle immagini confuse rimanevano ai piedi del letto coniugale, non ne violavano nemmeno l'ombra, attendevano pazienti che arrivasse la notte, la notte più sincera di loro due, e che liberasse ciò che i due celavano con tanta cura, così abilmente, in fondo ai loro cuori.
  • «Dio mio, aiutami!», mormorò. Mai, dalla sua infanzia, aveva pregato. Fulminea lo attraversò l'idea di fermarsi nell'androne di una chiesa che aveva scorto sulla strada. Sì, tornare indietro, inginocchiarsi sui gradini di quella chiesa, implorare Dio!... Ma no, era impossibile, bisognava fare in fretta, fare in fretta!
  • Un po' più tardi andarono a coricarsi e, nel calore, del letto, assaporarono un amore che non era che l'ombra dell'antico amore, ma che, nutrito dai ricordi del passato, da un'appassionata volontà di oblio, talvolta rifioriva e prendeva vita.
  • [I figli] Ci divorano vivi e noi li benediciamo.

Il calore del sangue

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  • Ma perché arrivi (intendo un amore autentico, onesto e sano) la cosa migliore è non pensarci troppo, non invocarlo. Altrimenti ci si inganna. Si mette la maschera dell'amore sul primo e più rozzo dei volti. (p. 56)
  • Prova a riflettere. Che genere di uomo lo farai diventare, se lo educhi nella paura? Povera bambina mia, non possiamo vivere al posto dei nostri figli (anche se a volte ci accade di desiderarlo). Ciascuno deve vivere e soffrire per conto proprio. Il più grande favore che possiamo fare loro è tenerli all'oscuro della nostra esperienza. (p. 75)

Jezabel

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  • Che felicità!... O meglio no, non era felicità, ma un'attesa, un'inquietudine divina, una sete ardente che le faceva battere più forte il cuore.
  • Tutto l'affascinava, tutto le sembrava bello, prezioso e incantevole; la vita aveva un gusto nuovo, dolce e aspro, ancora mai assaporato.
  • Non avrebbe mai dimenticato quella breve stagione. Mai avrebbe ritrovato esattamente quel genere di piacere. Ci resta sempre in fondo al cuore il rimpianto di un'ora, di un'estate, di un fuggevole istante in cui la giovinezza si schiude come una gemma.
  • Per diverse settimane o diversi mesi, raramente più a lungo, una ragazza molto bella non vive una vita normale. È come ubriaca. Le è concessa la sensazione di essere fuori dal tempo, fuori dalle sue leggi, di non percepire la monotona successione dei giorni ma di assaporare soltanto alcuni attimi di felicità intensa e quasi disperata.
  • Guardava Gladys con invidia e ammirava quel corpo delicato che nascondeva una grandissima resistenza per il piacere.
  • Sul volto delle loro simili le donne non vedono mai sbocciare lo splendore fuggevole e quasi terribile della bellezza.
  • Vigeva tra loro l'abitudine inglese e vittoriana degli endearements, degli appellativi affettuosi. Non si rivolgevano mai l'una all'altra se non chiamandosi cara, tesoro, darling, my sweetheart, my love... Pronunciavano quelle parole, si guardavano sorridendo, ma lo sguardo era freddo.
  • «Non trovate che una notte in bianco renda più leggeri?... Sembra di non aver più sangue, né carne, e che un soffio d'aria vi solleverà...» (Gladys)
  • «Gli unici due momenti che contano, worth considerating,» disse lui guardandola «sono l'inizio e la fine di ogni cosa, la nascita e il declino».
  • «Vi amo» disse lui.
    Gladys si scostò con un piccolo riso languido e felice. Lo spasmo acuto di voluttà si era allentato; provò una sorta di vergogna mista a piacere. Abbassò lentamente le palpebre, si sottrasse alle braccia tremanti di lui che volevano afferrarla e disse sorridendo:
    «No, perché mai?... Io non vi amo...».
  • Lei amava proprio questo, e proprio questo la eccitava: provare costantemente a se stessa il suo dominio sugli uomini.
  • La sua bellezza raggiunse il culmine di perfezione che solo la felicità, l'appagamento di tutti i desideri dà alle donne.
  • Gladys aveva della propria bellezza una consapevolezza profonda, che non l'abbandonava mai e le dava una pace interiore in ogni momento della giornata.
  • Le piaceva parlare d'amore, prestare orecchio alle confidenze sentimentali, asciugare il pianto. Sapeva consolare, placare, blandire. Solo dell'amore le importava. Per tutto il resto non provava che un'amabile indifferenza.
  • Non le piaceva stare sola: non appena intorno a lei cessava il cicaleccio delle donne, non appena si spegneva l'eco dei discorsi d'amore, sentiva in cuore una sorda inquietudine.
  • «Come siete donna... Ora che ho finalmente la forza di lasciarvi, comincio a esservi caro... Presto rimpiangerete di avermi perduto.»
  • Non s'ingannava. Sapeva che non era amore... Non aveva mai provato altro che la sete insaziabile di essere amata, la pace divina dell'orgoglio soddisfatto.
  • «Soffro,» pensava «ma non voglio soffrire, non lo so fare...»
  • «Per voi l'amore è simile a un balletto, con i suoi passi regolamentari e previsti, passo della seduzione, valzer della passione, passo di addio... Ed è il passo che stiamo danzando noi»
  • «Perché cambiare? Le donne non cambiano».

L'affare Kurilov

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  • Sto bene soltanto in città, in quelle città sporche e brutte, con le case piene di gente e le strade oppresse dalla calura estiva, popolate di corpi stanchi e volti sconosciuti.
  • Ricordo... Anni dopo, quando divenni commissario speciale, mi capitava in notti simili di interrogare stuoli di sospetti che venivano poi giustiziati all'alba. Ricordo quelle facce pallide, il chiarore notturno che ne illuminava i tratti, i loro occhi fissi nei miei. Alcuni erano talmente stremati da sembrare indifferenti a tutto, e rispondevano alle domande con un piccolo ghigno stanco. Erano pochi quelli che tentavano di difendersi. Si lasciavano portare via e massacrare senza una parola. Che mattatoio, le rivoluzioni! Ne vale la pena?... Non c'è niente che valga la pena, a dire il vero, e la vita meno di tutto il resto.
  • Gli onori sono i trastulli dei vecchi.

Suite francese

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Sarà dura, pensavano i parigini. Aria di primavera. Una notte di guerra, l’allarme. Ma la notte svanisce, la guerra è lontana. Quelli che non dormivano, i malati nei loro letti, le madri con un figlio al fronte, le donne innamorate con gli occhi sciupati dal pianto, sentivano il primo soffio della sirena, ancora solo un ansito profondo simile al sospiro che esce da un petto oppresso. In pochi istanti il cielo tutto si sarebbe riempito di clamori. Che venivano da lontano, dall’estrema linea dell’orizzonte – senza fretta si sarebbe detto. Quelli che dormivano sognavano il mare che spinge davanti a sé i ciottoli e le onde, la tempesta di marzo che scuote la foresta, una mandria di buoi che galoppano pesanti facendo tremare il suolo con gli zoccoli; ma il sogno finiva e socchiudendo appena gli occhi gli uomini mormoravano:

«È l’allarme?».

Citazioni

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  • [Maurice Michaud] Per quei compagni di sventura provava pietà, ma una pietà lucida e fredda. Dopo tutto, pensava, queste grandi migrazioni umane sembrano governate da leggi naturali. Certi periodici spostamenti di massa probabilmente sono necessari alle popolazioni come la transumanza lo è per le greggi. E trovava in questo uno strano conforto. Quella gente intorno a lui credeva che la sorte si accanisse in particolare su di loro, sulla loro disgraziata generazione, ma lui ricordava che gli esodi si erano sempre verificati, in ogni periodo. Quanti uomini erano caduti su quella terra (come su tutte le terre del mondo) piangendo lacrime di sangue, fuggendo il nemico, lasciando città in fiamme, stringendosi al petto i figli... (La guerra, 11)
  • [Gabriel Corte rivolgendosi all’amante Florence] «Episodi dolorosi come una disfatta e un esodo che non siano nobilitati da un po’ di dignità e di grandezza non meritano di essere ricordati! Non ammetto che questi bottegai, questi portinai, questi pidocchiosi sviliscano un clima da tragedia con il loro piagnucolio, le loro chiacchiere, la loro volgarità. Ma guardali!... Guardali! Eccoli di nuovo. Parola mia, mi esasperano!...». (La guerra, 14)
  • Lentamente, ancora incredulo, con sprazzi di ritrovata lucidità, penosamente, gradualmente Corte si rendeva conto che la macchina gli era stata restituita, che gli erano stati restituiti i suoi manoscritti, che aveva ritrovato la vita, e non sarebbe stato mai più un uomo qualunque, sofferente, affamato, coraggioso e vile a un tempo, ma una creatura privilegiata e preservata da ogni male – Gabriel Corte!!! (La guerra, 17)
  • Bah! Le cose sarebbero cambiate in superficie e il fondo sarebbe rimasto lo stesso! Come sempre all’indomani di ogni catastrofe, ci sarebbero stati nuovi ricchi, uomini pronti a comprare il piacere pagandolo a caro prezzo, perché il loro era denaro facile, ottenuto senza fatica, e l’amore sarebbe stato sempre lo stesso. Purché tutta quella confusione si placasse al più presto! Che si stabilisse un modo di vivere, uno qualsiasi, giacché tutto quel pandemonio, quella guerra, quelle rivoluzioni, quei grandi rivolgimenti della storia potevano esaltare gli uomini, ma le donne... Ah, le donne ne provavano solo fastidio! Arlette era assolutamente sicura che tutte la pensassero come lei: quei paroloni, quei sentimenti solenni erano noiosi, noiosi da morire! (La guerra, 19)
  • «Finirai per cadere, piccolo sciagurato» disse Lucile. Il bambino la guardò fisso senza rispondere, e lei improvvisamente invidiò quei ragazzini che si divertivano senza preoccuparsi del maltempo, della guerra, della sventura. Le parve che, in mezzo a un popolo di schiavi, solo loro fossero liberi – «E di una libertà vera» disse fra sé. (Dolce, 11)
  • I francesi, per parte loro, dicevano: «Quel Willy che ha chiesto se poteva abbracciare la mia bambina, dicendo che ne aveva una della stessa età in Baviera, quel Fritz che mi ha aiutato a curare mio marito ammalato, quell’Erwald che trova la Francia uno splendido paese, e quell’altro che si è tolto il berretto davanti alla fotografia di papà, ucciso nel ’15, se domani riceve l’ordine di arrestarmi e di uccidermi, lo farà di suo pugno senza rimorsi?... La guerra... sì, sappiamo cos’è. Ma l’occupazione, in un certo senso, è più terribile ancora, perché ci si abitua alle persone; si dice: “Dopo tutto sono come noi”, e invece nossignore, non è vero. Siamo due specie diverse, inconciliabili, eternamente nemiche». (Dolce, 12)

Comparve il generale, a cavallo, e si portò alla testa del reggimento; salutò brevemente la truppa, salutò anche i francesi e si avviò. Dietro di lui venivano gli ufficiali, quindi i motociclisti che scortavano un’automobile grigia in cui stavano gli uomini della Kommandantur. Poi passò l’artiglieria, i cannoni sulle loro piattaforme girevoli, su ciascuna delle quali stava allungato un soldato con lo sguardo all’altezza dell’affusto, poi i mitraglieri e tutti quegli ordigni leggeri e micidiali che la gente aveva visto passare durante le manovre, che si era abituata a considerare senza paura, con indifferenza, e che improvvisamente non poteva più guardare senza rabbrividire, e i cannoni della contraerea puntati contro il cielo. E ancora: il camion stracarico di grosse pagnotte di pane nero, appena uscite dal forno e profumate, le ambulanze della Croce Rossa, ancora vuote... E la cucina da campo, che saltellava a chiusura del corteo come una pignatta attaccata alla coda di un cane. Gli uomini si misero a cantare, un canto lento e grave che si perdeva nella notte. Poco dopo, sulla strada, al posto del reggimento tedesco non restò che un po’ di polvere.

Bibliografia

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  • Irène Némirovsky, Due, traduzione di Tiziana Merani, Newton Compton Editori, 2015.
  • Irène Némirovsky, Il calore del sangue, traduzione di Alessandra Berello, Adelphi, 2008.
  • Irène Némirovsky, Jezabel, traduzione di Laura Frausin Guarino, Adelphi.
  • Irène Némirovsky, L'affare Kurilov, traduzione di Marina Di Leo, Adelphi, 2013.
  • Irène Némirovsky, La preda, traduzione di Marco Rinaldi, Newton Compton, 2016.
  • Irène Némirovsky, Suite francese, traduzione di Laura Frausin Guarino, Adelphi, 2005.

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