Robert Silverberg

scrittore e autore di fantascienza statunitense
(Reindirizzamento da Il vento e la pioggia)

Robert Silverberg (1935 – vivente), scrittore e sceneggiatore statunitense.

Robert Silverberg nel 2005

Incipit di alcune opere

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Ali della notte

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Roum è una città costruita su sette colli. Si dice che sia stata capitale dell'umanità in uno dei primissimi Cicli. Non sapevo niente di tutto ciò, perché io appartenevo alla Corporazione delle Vedette, non a quella dei Ricordatori; ma quando la città mi si parò davanti la prima volta, dal lato sud, al crepuscolo, capii subito che in tempi antichi doveva aver avuto un'importanza immensa. Anche adesso era una possente città, di parecchie migliaia d'anime[1].

Chiprunner

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Aveva quindici anni e ne dimostrava novanta, portati male per di più. Io conoscevo sia il padre, sia la madre, separatamente: tutti e due erano di Silicon Valley, divorziati, con posizioni molto importanti nelle rispettive aziende. Ognuno di loro per conto proprio, mi aveva chiesto di cercare di lavorare con lui. La sua pelle era grigio azzurra e tirata, tanto da fare impressione per come era tesa sulle ossa sporgenti del suo volto. Anche i suoi occhi erano profondamente incassati nelle orbite. Aveva le braccia magre come stecchi e teneva le labbra sottili strette in una smorfia iraconda.

Dormire... forse dimenticare

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— Un collegamento radio? — dissi. — Cristo! Mi ha portato fin qui per un'idiozia del genere, Joe?
— Non si tratta di collegamento radio — rispose Joe.
— Il ragazzo che mi ha accompagnato qui dall'aeroporto ha detto che hai una macchina che può parlare con i morti.
Un rossore di collera si diffuse lentamente sul viso di Joe. Joe è un ometto piccolo e massiccio, con una pelle molto lucida e lineamenti marcati e quando si arrabbia si gonfia come un cobra.

Entra un soldato. Più tardi: ne entra un altro

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Doveva essere il paradiso. Certo non era la Spagna e dubitava che potesse trattarsi del Perù. Gli sembrava di fluttuare sospeso a mezza via tra il nulla e il nulla. Molto sopra aveva un cielo dorato e scintillante e, molto sotto, un mare nebuloso e turbolento di bianche nuvole ribollenti. Guardando in giù vide le proprie gambe e i piedi ciondolare come quelli di un burattino sopra un abisso incommensurabile e questa visione gli fece venir voglia di vomitare, ma non c'era nulla dentro di lui che potesse vomitare. Era vuoto. Era fatto d'aria. Perfino il vecchio dolore al ginocchio era scomparso, come era scomparsa la ferita perennemente pulsante nella parte carnosa del braccio dove la piccola freccia dell'indiano l'aveva raggiunto tanto tempo prima, sulla spiaggia di quell'isola perlifera al largo di Panama.

Gilgamesh

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Nella città di Uruk c'è una grande piattaforma di mattoni cotti che fu il campo da gioco degli Dei, molto tempo prima del Diluvio, in quell'epoca in cui il genere umano non era stato ancora creato e solo gli Dei abitavano la Terra. Da diecimila anni, ad intervalli di sette anni, dipingiamo di bianco i mattoni della piattaforma con un intonaco di gesso fine, cosicché la piattaforma lampeggia come uno specchio enorme sotto l'occhio del sole.

Gli osservatori

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L'esplosione fu un bagliore lancinante che si stagliò contro lo sfondo oscuro del cielo illune del Nuovo Messico. Per coloro che in quel preciso momento guardavano in alto — e successe a molti, di guardare in alto — fu come se fosse momentaneamente sbocciata una nuova stella di una incandescenza bianco-azzurra.

Il settimo santuario

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Un'ultima ripida rampa nella strada aspra e punteggiata di massi divideva il convoglio reale dalla discesa verso la pianura di Velalisier. Valentine, alla testa del corteo, la montò e si fermò ad ammirare con stupore la valle sottostante. Il paesaggio che si estendeva dinanzi a lui sembrava aver subito una sconcertante trasformazione dai tempi della sua ultima visita. «Guardate», disse il Pontifex, perplesso. «Questo luogo è sempre ricco di sorprese; ecco la nostra.»

Il vento e la pioggia

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Il pianeta si pulisce da solo. È importante non dimenticarlo, soprattutto quando cominciamo ad essere un po' troppo orgogliosi di noi stessi. Il processo di risanamento è naturale ed inevitabile. L'azione del vento e della pioggia, le maree che si alzano e si abbassano, l'afflusso di fiumi vigorosi che ripuliscono i laghi intasati e maleodoranti, tutti questi sono ritmi naturali, salutari manifestazioni di un'armonia universale. Naturalmente, ci siamo anche noi. Noi facciamo del nostro meglio per accelerare il processo. Ma siamo solo degli ausiliari, e lo sappiamo. Non dobbiamo sopravvalutare l'importanza del nostro lavoro. Il falso orgoglio è peggio di un peccato: è stupidità. Non dobbiamo ingannare noi stessi credendoci importanti. Senza di noi il pianeta si ristabilirebbe da solo in un arco di tempo che va dai venti ai cinquanta milioni di anni. È stato calcolato che la nostra presenza riduce questo tempo di più della metà.

Invasori silenziosi

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A novecentomila chilometri dalla Terra, l'astronave di Prima categoria Lucky Lady uscì con gran fragore dall'iperpropulsione e iniziò la lunga e sicura planata a propulsione ionica verso la stazione orbitale. In una cabina di seconda classe, il maggiore Abner Harris dei Corpi di Espansione Interstellare (tale almeno risultava dai suoi documenti personali) fissava ansiosamente la propria faccia riflessa nello specchio. Controllava, forse per la centesima volta, che non fosse rimasta sul suo corpo traccia alcuna delle appendici filiformi simili a viticci.
Naturalmente, non vide nessun segno. Lo specchio gli rimandò l'immagine perfetta di un essere umano.

L'arca delle stelle

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Sedici anni-luce dalla Terra proprio quel giorno, nel quinto mese di viaggio, e la vellutata potenza dell'accelerazione nel non-spazio spingeva l'astronave sempre più velocemente. Nella sala comune della Wotan si giocavano tre partite di Go. Il comandante, in carica per un anno, osservava in piedi e immobile con aria casuale le tre coppie di giocatori che si sfidavano nella sala fortemente illuminata: Roy contro Sylvia, Leon contro Chang, Heinz contro Elliot.

L'elezione

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Lloyd Jansen arrivò in città in elicottero. Elicotteri non ne erano rimasti molti, di nuovi non se ne fabbricavano e al diavolo se c'era una scorta decente di carburante in deposito. Però gli fecero usare l'elicottero poiché sapevano quant'era importante che facesse buona impressione sui cittadini.

L'inferno com'è?

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A vent'anni Paul Dearborn ebbe per la prima volta il sospetto che sarebbe finito all'inferno. Se ne preoccupò, ma non a lungo.
A quarant'anni l'idea di andare all'inferno cominciò ad allettarlo. In fondo, il paradiso doveva essere estremamente monotono.
Ma quando ebbe sessant'anni il pensiero ricominciò a metterlo in leggero disagio.
— Non che ne abbia paura — disse una sera dopo due birre di troppo. L'ometto male in arnese che gli stava seduto accanto al banco del bar si limitò a sorridere. — Non mi fa paura per niente — ripeté Paul, con fermezza. — Solo... che mi infastidisce.

L'ora del passaggio

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Dall'orrido folletto famelico
che a brandelli ti ridurrebbe,
e dallo spirito che si erge accanto all'uomo nudo
nel libro delle lune, difendetevi.
Che i vostri cinque sensi
non vi abbandonino mai
né vaghino via da voi con Tom
a mendicare lontano il vostro pane.
Mentre io canto
«Un po' di cibo, qualcosa da mangiare,
da mangiare, da bere o da vestire.
Vieni, dama o fanciulla,
non aver timore,
il povero Tom non farà male a nessuno».

Canto di Tom o'Bedlam

L'uomo che non sapeva dimenticare

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Era un martedì mattina un po' nebbioso. Vide la ragazza in una coda di persone in attesa fuori di un grande cinematografo di Los Angeles. Era pallida e magra, alta a malapena un metro e sessanta e con i capelli biondi e stopposi, ed era sola. Lui naturalmente se la ricordava.
Sapeva che sarebbe stato un errore, ma ciò malgrado attraversò la strada e raggiunse il punto della coda in cui sostava.
– Salve, – disse.

L'uomo nel labirinto

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Muller conosceva bene il labirinto, ormai. Sapeva tutto delle sue insidie e dei suoi miraggi, dei trabocchetti e delle trappole mortali. Viveva al suo interno da nove anni. Un tempo sufficiente a trovare un modus vivendi con quel luogo, anche se non con la circostanza che lo aveva costretto a rifugiarvisi.

L'uomo stocastico

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Siamo venuti al mondo accidentalmente in un universo governato dal caso. Le nostre vite sono decise da combinazioni puramente fortuite di geni. Tutto quello che accade, accade per caso. I concetti di causa ed effetto sono sofismi.
Esistono solo cause "apparenti" che portano a effetti "apparenti". Dal momento che niente dipende realmente da qualcos'altro, navighiamo ogni giorno in oceani di caos e non si può predire nulla, nemmeno quello che succederà tra un istante.
Voi ci credete?
Se è così, vi compiango perché la vostra deve essere una vita triste, spaventosa e sconsolata.

La strada del crepuscolo

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Il cane ringhiò e corse in avanti. Katterson osservò i due uomini magri dagli occhi fiammeggianti che si lanciavano all'inseguimento, e si sentì pervaso da un senso di orrore che lo tenne inchiodato al suolo. Improvvisamente il cane balzò al di là di un mucchio di pietrisco e scomparve; i suoi inseguitori si lasciarono cadere a terra pesantemente, appoggiandosi ai bastoni e cercando di riprendere fiato.

Le maschere del tempo

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Un memoriale di questo genere dovrebbe incominciare con una specie di affermazione di partecipazione personale, immagino; ero io, ero là, ho sofferto. E in realtà, la mia partecipazione agli eventi dei dodici mesi scorsi è stata grande. Conoscevo l'uomo venuto dal futuro. L'ho seguito nella sua orbita d'incubo intorno al nostro mondo. Ero con lui alla fine.
Ma non all'inizio. E perciò, se debbo raccontare una storia completa di lui, deve essere anche una storia più completa di me. Quando Vornan-19 arrivò nella nostra epoca, io ero ben lontano dal centro degli eventi più straordinari, tanto che per diverse set­timane non ne seppi nulla. Però, alla fine venni attirato nel gorgo da lui creato... come siete stati attirati voi, tutti voi, dovunque.

Majipoor

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Il gigantesco mondo di Majipoor, dal diametro pari ad almeno dieci volte quello del nostro pianeta, venne abitato in tempi antichi da coloni provenienti dalla Terra, i quali dovettero ricavarsi uno spazio tra i piurivar, gli esseri intelligenti indigeni, chiamati dagli intrusi terrestri mutaforma, o metamorfi, per la loro abilità di cambiare forma corporea. Majipoor è un pianeta di straordinaria bellezza, dal clima generalmente mite, ricco di meraviglie zoologiche, botaniche e geografiche.

Monade 116

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Ecco, comincia un giorno felice dell'anno 2381. Il sole del mattino è abbastanza alto da sfiorare gli ultimi cin­quanta piani della Monade Urbana 116. Presto l'intera fac­ciata dell'edificio che guarda ad est scintillerà come la super­ficie del mare allo spuntare del giorno. La finestra di Char­les Mattern, attivata dai primi fotoni dell'alba, perde opaci­tà. L'uomo si muove. Sia lode a dio, pensa. Sua moglie sba­diglia e si stira. I suoi quattro bambini, che sono già svegli, ora possono cominciare ufficialmente la loro giornata.

Multipli

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Gli specchi, sparsi ovunque, lo rendevano un luogo di immagini frammentate e vertiginose rifrazioni: specchi sul soffitto, sulle pareti, specchi negli spigoli in cui i muri incontravano il soffitto e il pavimento. C'erano anche piccoli vortici di polvere che le ricorrenti raffiche d'aria attraverso la stanza moltiplicavano in riverberi, tanto che le imprevedibili distorsioni, le fratture e gli spostamenti dell'immagine che rimbalzavano da una parte all'altra andavano a comporre un caos di foschia scintillante davanti agli occhi. Globi colorati giravano sulla testa, creando intrecci con i riflessi di luce. Era proprio come Cleo si aspettava che fosse un locale per multipli.

Mutazione

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Era tornato sul Mondo di Holman, dopo tutto. Non sapeva bene il perché. Chiamatela un'attrazione irresistibile; chiamatelo sentimentalismo; chiamatela stupidità. Gundersen non aveva mai pensato di rivedere quel posto. Invece era lì, in attesa di atterrare, e sullo schermo c'era il Mondo di Holman, un poco più grande della Terra: un mondo che si era preso i dieci anni più importanti della sua vita, un mondo dove aveva appreso delle cose su se stesso che non avrebbe voluto sapere. Il segnale rosso stava lampeggiando nel salone. La nave sarebbe atterrata fra breve. Malgrado tutto, stava tornando.

Nero è bello

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il mio naso è piatto le mie labbra sono gonfie e i miei capelli sono increspati la mia pelle è nera
è bello
è nero è bello
sono James Shabazz diciassette anni nato il 13 agosto 1983 sono nero sono afro sono bello questo apparecchio scrive le mie parole mentre le parlo e l'apparecchio è nero
è bello

Quellen, guarda il passato!

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C'era del fascino in un mondo così affollato, secondo alcuni. I grattacieli di cristallo della città, ammassati l'uno in fila all'altro, le ondate ritmiche della folla che si accalcava sulle rampe del taxiespresso, la danza dei raggi del sole su milioni di tuniche iridescenti in una delle grandi piazze... A detta degli esteti, il fascino stava tutto in queste cose.

Saltatore

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Il campanello squillò, ma Quellen non gli badò. Era d'un certo umore e non voleva spezzarlo per rispondere al telefono.
Continuò a dondolarsi irrequieto sulla pneumopoltrona, guardando i coccodrilli che nuotavano lentamente nelle acque torbide del fiume. Dopo un po' il telefono smise di squillare, e Quellen restò felicemente passivo ad aspirare l'odore caldo della vegetazione e ad ascoltare il ronzio degli insetti nell'aria.

Shadrach nella fornace

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Mancano nove minuti all'alba nella grande città di Ulan Bator, capitale del mondo ricostruito. Già da un po' di tempo il dottor Shadrach Mordecai se ne sta sveglio sulla sua amaca, irrequieto, teso. Fissa torvo un circoletto luminoso verde, il volto rilucente del suo schermo informatico. Dallo schermo, lettere rosse annunciano il nuovo giorno:

LUNEDÌ
14 MAGGIO
2012

Torre di cristallo

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Perché sai, voleva dirgli Simeon Krug, un miliardo d'anni fa non c'era l'uomo, di nessun tipo. C'era solo un pesce.[2]

Vacanze nel deserto

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In vista di New York, da nord, uscendo dall'autostrada del New England. Al volante, come al solito, Oliver. Fresco, instancabile, il suo finestrino abbassato a metà, i lunghi capelli biondi scompigliati dalla gelida brezza. Di fianco a lui, stravaccato sul sedile, dorme Timothy. È il secondo giorno delle nostre vacanze di Pasqua: alberi ancora spogli, neve nerastra che indugia in luridi mucchietti lungo la banchina. Invece in Arizona non ce ne sarà già più, di neve. Accanto a me, sul sedile posteriore, Ned: con i suoi scarabocchi da mancino, riempie una pagina dopo l'altra dell'inseparabile quadernetto a fogli mobili. Gli occhi, piccoli e scuri, gli sfavillano di lampi demoniaci. Il nostro Dostoevskij da quattro soldi!

Bibliografia

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  • Robert Silverberg, Ali della notte, traduzione di Vittorio Curtoni e Gianni Montanari, Editrice Nord, Milano, 1973.
  • Robert Silverberg, Chiprunner, in Donald A. Wollheim (a cura di), Destinazione spazio 2, traduzione di Antonio Bellomi, A. Mondadori, Milano 1991.
  • Robert Silverberg, Dormire... forse dimenticare, in Donald A. Wollheim (a cura di), Destinazione spazio 2, traduzione di Antonio Bellomi, A. Mondadori, Milano 1991.
  • Robert Silverberg, Entra un soldato. Più tardi: ne entra un altro, in Millemondinverno 1995, traduzione di Dida Paggi, A. Mondadori, Milano, 1995.
  • Robert Silverberg, Gilgamesh, traduzione di Daniela Galdo, Fanucci, Roma, 1988. ISBN 8834700511
  • Robert Silverberg, Gli osservatori, traduzione di Maurizio Nati, Nord, Milano, 1980.
  • Robert Silverberg, Il settimo santuario, in Legends. Racconti inediti dei maestri del nuovo fantastico, traduzione di Francesco Di Foggia, Sperling & Kupfer, Milano, 2001. ISBN 8820032007
  • Robert Silverberg, Il vento e la pioggia, in Sandro Pergameno (a cura di), Storie del Pianeta Azzurro, traduzione di Maria Cristina Pietri, Nord, Milano, 1987.
  • Robert Silverberg, Invasori silenziosi, traduzione di Maria Benedetta De Castiglione, A. Mondadori, Milano, 1975.
  • Robert Silverberg, L'arca delle stelle, traduzione di Giuliano Acunzoli, A. Mondadori, Milano, 1997. ISBN 8804430427
  • Robert Silverberg, L'elezione, in Millemondiestate 1986, traduzione di Chicchi Tomaselli, A. Mondadori, Milano, 1986.
  • Robert Silverberg, L'inferno com'è?, traduzione di Giuseppe Scarpa, A. Mondadori, Milano, 1975.
  • Robert Silverberg, L'ora del passaggio, traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli, Nord, Milano, 1986.
  • Robert Silverberg, L'uomo che non sapeva dimenticare, in Hallucination Orbit. La psicologia nella fantascienza, traduzione di Stefano Pellegrini, Editori Riuniti, Roma, 1985.
  • Robert Silverberg, L'uomo nel labirinto, traduzione di Riccardo Valla, introduzione di Neil Gaiman, Fazi Editore, Roma, 2008. ISBN 9788881128747
  • Robert Silverberg, L'uomo stocastico, traduzione di Lella Cucchi, A. Mondadori, Milano, 1976.
  • Robert Silverberg, La strada del crepuscolo, in Sandro Pergameno (a cura di), Storie del Pianeta Azzurro, traduzione di Maria Cristina Pietri, Nord, Milano, 1987.
  • Robert Silverberg. Le maschere del tempo, traduzione di Maurizio Gavioli, Fanucci, Roma, 1977.
  • Robert Silverberg, Monade 116, traduzione di Pierantonio Rumigiani, Delta, Milano, 1974.
  • Robert Silverberd, Multipli, in Heavy Metal n. 1, Sprea, Cernusco sul Naviglio, novembre 2022, p. 23. ISBN 9788862670999
  • Robert Silverberg, Mutazione, traduzione di Delio Zinoni, A. Mondadori, Milano, 1993.
  • Robert Silverberg, Nero è bello, in Harry Harrison (a cura di), Anno 2000, traduzione di Gaetano Luigi Staffilano, Mondadori, Milano, 1999. ISSN 11205288
  • Robert Silverberg, Quellen, guarda il passato!, traduzione di Beata Della Frattina, A. Mondadori, Milano, 1978.
  • Robert Silverberg, Saltatore, in Sandro Pergameno (a cura di), Storie del Pianeta Azzurro, traduzione di Roberta Rambelli, Nord, Milano, 1987.
  • Robert Silverberg, Shadrach nella fornace, traduzione di Giuliano Tedesco, scheda introduttiva di Silvano Barbesti, A. Mondadori, Milano, 1994. ISBN 8804396016
  • Robert Silverberg, Vacanze nel deserto, traduzione di Gabriele Tamburini, scheda introduttiva di Nicoletta Vallorani, A. Mondadori, Milano, 1991.

Voci correlate

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  1. Pubblicato anche con il titolo di Metamorfosi neo-classica. Dove portano tutte le strade, traduzione di Maria Benedetta De Castiglione, in "Il terzo libro delle metamorfosi", Mondadori, 1969.
  2. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

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