Ifigenia (mitologia)
personaggio della mitologia greca, figlia di Agamennone e Clitennestra
Ifigenia, personaggio della mitologia greca, figlia primogenita di Agamennone e di Clitennestra.
Citazioni di Ifigenia
modificaCitazioni su Ifigenia
modifica- Le preghiere e le suppliche al padre | non curano e l'età verginale | i príncipi bramosi di battaglie. | E ai servi il padre dopo la preghiera | impose sollevarla | come una capra sull'altare, | caduta ch'era nei pepli, | aggrappata con l'anima al suolo, | fermando nel freno della bocca | splendida prora, la voce, che non imprechi alle case, | violento morso muto. | Versando le vesti, spume di croco, a terra | ella colpisce ognuno dei sacrificatori | con la freccia di pietà dagli occhi, | come un'immagine viva, e voleva invocarlo, | lei che sovente danzava ai festini del padre | e, vergine, della sua pura voce onorava benigna al terzo calice l'inno, pregando felice il destino. || Quel che seguì non ho veduto né dico. (Eschilo)
- Odi or quello che deciso ho, pensando, o madre mia. | Fu decisa la mia morte: affrontarla in modo io penso | ch'alta fama io ne riscuota, posto in bando ogni vil senso. | Ed insiem con me considera, madre, tu, se dico bene: | tutta quanta la grande Ellade su me l'occhio fisso tiene, | in me sta che i legni salpino, sia la Frigia posta a sacco, | ed i barbari in futuro non c'infliggano lo smacco | di rapir donne da l'Ellade fortunata, quando avranno | per la femmina che Paride seducea, pagato il danno. | Otterrò ciò con la mia morte, celebre sarà | il mio nome: ed avrò l'Ellade vendicata a libertà. | E neppur conviene ch'io di soverchio ami la vita: | ché, non sol per me, per l'Ellade tutta tu m'hai partorita. | Mille e mille uomini pronti sono già, nell'armi chiusi, | mille e mille i remi stringono, a vendetta dei soprusi, | che patiron, sui nemici pronti a far prova del braccio, | a morire per la patria; e sola io sarò d'impaccio? | Con qual mai giusto discorso rintuzzar tali argomenti? | Ora, ad altro: non è giusto che il Pelíde si cimenti | a cagione d'una donna, con gli Achei tutti, e soccomba: | piú di mille e mille donne val che un uom schivi la tomba. | E se Artèmide il mio corpo come vittima chiedea, | dovrò forse io, che mortale nacqui, oppormi ad una Dea? | È impossibile. Per l'Ellade cader vittima acconsento. | Io sia spenta, e Troia cada: mio perenne monumento | sarà questo, questo gloria, questo figli, questo imène. | Che gli Ellèni sian da barbari sopraffatti, non conviene: | genti schiave sono quelle, sono libere l'Ellène. (Euripide)
- Se d'Orfeo la facondia, o padre, avessi, | da convincer col canto, in guisa che | mi seguisser le pietre, e i cuor potessi | coi detti miei commuovere, a quest'arte | m'appiglierei; ma quella ch'io conosco | adesso offrire ti potrò: le lagrime. | Alle ginocchia tue questo mio corpo che costei generò, depongo, quasi | ramo d'ulivo supplice, perché | tu non m'uccida innanzi tempo. È dolce | veder la luce; e tu non mi costringere | a veder quello che sotterra giace. | Prima io te chiamai padre, e tu me figlia: | alle ginocchia tue prima io le tenere | membra appendevo, a te soavi gioie | diedi, e n'ebbi ricambio. E tu dicevi: | «O figlia, dunque, te vedrò felice | vivere in casa d'uno sposo, florido, | come conviene alla mia figlia?». Ed io, | appesa al viso tuo, che adesso stringo, | così dicevo: «Ed io che ti dirò? | Vecchio t'accoglierò nel caro asilo | della mia casa, o padre, e a te compenso | delle cure darò che tu spendesti | per allevarmi». — Ora, io memoria serbo | di quei detti, ma tu ne sei dimentico, | e uccidere mi vuoi. Deh, no! Per Pèlope | io ti scongiuro, e per tuo padre Atrèo, | per questa madre che mi partorí, | ed or patisce queste nuove doglie. | Dell'adulterio d'Alessandro e d'Elena | che colpa ho io? Come esser può che Paride | per la rovina mia giungesse, o padre? | Guardami, l'occhio su me volgi, abbracciami, | sí che di te, morendo, io serbi almeno | tale ricordo, se pei detti miei | convincer non ti vuoi. [...] Ma solo un punto aggiungerò, che vinca | ogni argomento. Agli uomini dolcissima | è questa luce, e non l'eterna tènebra, | e folle è chi desidera la morte. (Euripide)