Jacopo Sannazaro
Jacopo Sannazaro (1457 – 1530), poeta e umanista italiano.
Citazioni di Jacopo Sannazaro
modifica- Giace in questa tomba Lucrezia di nome, ma di fatto | Taide: di Alessandro figlia, sposa, nuora.
- Hic jacet in tumulo Lucretia nomine, sed re | Thais. Alexandri filia, sponsa, nurus. (citato in Geneviève Chastenet, Lucrezia Borgia. La perfida innocente, Mondadori, Milano, 1996, p. 158. ISBN 978-88-04-42107-8)
- Mergelina vale; nostri memor et mea flentis | serta cape, ehu! domini munera avara tui. (citato in prefazione ad Arcadia, a cura di Enrico Carrara)
- Per ricevere scorno in questa età [aveva nel 1518 più di sessanta anni], mi perdoni la Santità Sua [Papa Leone X], s'io fusse in ponte di Sant'Angelo mi voltaria indietro; che certo sono stato più giovene e di tali pasti non fui mai usato: meno mi porranno piacere adesso. (citato in prefazione ad Arcadia, a cura di Enrico Carrara)
Arcadia
modificaGiace ne la sommità di Partenio, non umile monte de la pastorale Arcadia, un dilettevole piano, di ampiezza non molto spaziosa, però che il sito del luogo non consente, ma di minuta et verdissima erbetta sì ripieno, che, se le lascive pecorelle con gli avidi morsi non vi pascesseno, vi si potrebbe di ogni tempo ritrovare verdura. Ove, se io non mi inganno, son forse dodici o quindici alberi di tanto strana et eccessiva bellezza, che chiunque li vedesse, giudicarebbe che la maestra natura vi si fusse con sommo diletto studiata in formali. Li quali alquanto distanti, et in ordine non artificioso disposti, con la loro rarità la naturale bellezza del luogo oltra misura annobiliscono.
[Jacopo Sannazaro, Arcadia, a cura di Enrico Carrara, UTET, Torino, 1944]
Citazioni
modifica- Selvaggio ed Ergasto.
Selvaggio: Ergasto mio, perché solingo e tacito | pensar ti veggio? Oimè, che mal si lassano | le pecorelle andare a lor ben placito. | Vedi quelle che 'l rio varcando passano; | vedi quei duo monton che 'nsieme correno, | come in un tempo per urtar s'abassano. | [...] A dire il vero oggi è tanta l'inopia | di pastor, che cantando all'ombra seggiano, | che par che stiamo in Scitia o in Etiopia. | Or, poi che o nulli o pochi ti pareggiano | a cantar versi sì leggiadri e frottole, | deh canta omai, che par che i tempi il cheggiano.
Ergasto: Selvaggio mio, per queste oscure grottole | Filomena né Progne vi si vedono; | ma meste strigi et importune nottule. | Primavera e suoi dì per me non riedono, | né truovo erbe e fioretti che mi gioveno; | ma solo pruni e stecchi che 'l cor ledono. | Nubbi mai da quest'aria non si moveno, | e veggio, quando i dì son chiari e trepidi; | ma attendo sua ruina, e già considero | che 'l cor s'adempia di pensier più lepidi. (Prosa prima, p. 7-8, 1944) - Montano et Uranio.
Montano: Per pianto la mia carne si distilla, | sì come al sol la neve, | o com'al vento si disfà la nebbia, né so che far mi debbia. | Or pensate al mio mal qual esser deve.
Uranio: Or pensate al mio mal, qual esser deve; | che come cera al foco, | o come foco in acqua mi disfaccio; | né cerco uscir dal laccio, | sì mi è dolce il tormento, e 'l pianger gioco. (prosa seconda, p. 16, 1944) - Montano: Ecco la notte, e 'l ciel tutto s'imbruna, | e gli alti monti le contrade adombrano; | le stelle n'accompagnano e la luna. (prosa seconda, p. 18, 1944)
- Logisto: O fortunato, che con altre rime | riconsolar potrai la doglia e 'l pianto. (prosa quarta, p. 36, 1944)
- Logisto: Allor le rime mie fien senza pianto, | che 'l giorno non dea luce ai lieti campi, | e i sassi teman l'aura in chiusa valle. (prosa quarta, p. 37, 1944)
- Ergasto sovra la sepultura
- Ergasto: Ahi cruda morte, e chi fia che ne scampi, | se con tue fiamme avampi | le più elevate cime? | Chi vedrà mai nel mondo | pastor tanto giocondo, | che cantando fra noi sì dolci rime | sparga il bosco di fronde, | e di bei rami induca ombra su l'onde? (prosa quinta, p. 46, 1944)
- Ergasto: Se spirto alcun d'amor vive fra voi, | querce frondose e folte, | fate ombra a le quiete ossa sepolte. (prosa quinta, p. 46, 1944)
- Napoli, sì come ciascuno di voi molte volte può avere udito, è ne la più fruttifera e dilettevole parte di Italia, al lito del mare posta, famosa e nobilissima città, e di arme e di lettere felice forse quanto alcuna altra che al mondo ne sia. La quale da popoli di Calcidia venuti sovra le vetuste ceneri de la Sirena Partenope edificata, prese et ancora ritiene il venerando nome de la sepolta giovene. (prosa 7, 3, 1961)
- Barcinio: Vegna Vesevo, e i suoi dolor racontici. | Vedrem se le sue viti si lambruscano | e se son li suoi frutti amari e pontici. | Vedrem poi che di nubi ognor si offuscano | le spalle sue, con l'uno e l'altro vertice; | forse pur novi incendii in lui coruscano. (prosa 12, ecloga 12, 1961)
De partu Virginis
modifica- Posilipo mi chiama all'ombra amata, | mi chiamano quei lidi, e quei Tritoni | aspersi d'acqua, e 'l vecchio Nereo e Panope, | ed Efire, e Melite, e Mergellina, | Mergellina, che sola, e più d'ogni altra | ozii grati mi appresta, e m'introduce | nei cari nascondigli, 'u son le Muse; | Mergellina, ove i Cedri a larga mano | spargendo fior novelli, idea ci danno | dei sacri boschi della Media, e dove | ella stessa mi fregia e 'l capo, e 'l crine | di più gradite e innusitate foglie. (da Del parto della vergine del Sannazzaro, versione in eroici sciolti italiani del canonico Giuseppe Rossi, col testo latino in fronte, e un breve cenno della vita del Sannazzaro ed alcune poesie dell'autore della versione, presso Domenico Sangiacomo, Napoli, 1825, [1]
Bibliografia
modifica- Jacopo Sannazaro, Arcadia, a cura di di Enrico Carrara, UTET, Torino 1944.
- Iacopo Sannazaro, Arcadia, a cura di A.l Mauro, Bari, Laterza 1961.
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