Giovanni Marchesini (filosofo)

filosofo e pedagogista italiano

Giovanni Marchesini (1868 – 1931), filosofo e pedagogista italiano.

Citazioni di Giovanni Marchesini

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  • Il positivista nelle scienze filosofiche nulla afferma se non lo soccorre una reale esperienza, e questa egli assume come tutti gli scienziati. Ove i fatti manchino a stabilire una verità o a concepire un'ipotesi, egli trova prudente il silenzio o il riserbo. Ciò turba molti i quali vorrebbero che si parlasse sempre anche quando non si sa, per ripetere quello che dicono loro, e accettare le loro credenze dogmaticamente imposte.[1]

La crisi del positivismo

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  • La storia delle scienze ci ha insegnato che le più grandi verità sono le più semplici; ma è sufficiente che una verità sia o appaia semplice perché essa spieghi un insieme molto complesso di fatti? La semplicità seduce e sodisfa tanto più quanto è maggiore la complicazione dei fatti che si vogliono spiegare; ma può anche trarre in inganno e degenerare in unilateralità ed esclusivismo. (cap. III, p. 23)
  • Forse non è esagerazione affermare che alle parole noi dobbiamo non meno le alterazioni che la precisione delle idee, poiché la parola, che pur dovrebbe esprimere sinceramente l'idea, molte volte ne copre od altera il senso vero. (cap. IV, p. 36)
  • Il termine assoluto ha certamente un valore logico essendo correlativo del termine relativo. Diciamo ch'è assoluto ciò che sfugge ad ogni rapporto, ed è quindi l'opposto-contrario del relativo. Possiamo però domandarci se veramente ad esso corrisponde una realtà obbiettiva, se esiste ciò ch'è per sé indipendente da ogni rapporto, se insomma l'assoluto, oltreché come realtà logica, esiste anche come realtà obbiettiva. (cap. IV, p. 37)
  • Il Pensiero non è tutta la natura, ma traduce e unifica la natura, perché la natura si traduce e unifica in lui. Esso non crea la natura, ma la riflette in sé, e riflettendola la completa; completandola, la spiega. La natura è per il pensiero il punto di partenza e di arrivo; ma quello, il punto di partenza, è materiale, greggio, rozzo; questo, il punto di arrivo, è ideale e razionale, in una parola è scienza. (cap. VII, p. 64)

La finzione nell'educazione o la pedagogia del "come se"

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  • È stato detto che la fisionomia umana è un semaforo automatico il quale denuncia i nostri sentimenti più intimi e le nostre passioni, con una delicatezza e una sincerità a cui arriva difficilmente il linguaggio. Ciò in molti casi è vero; ma è altrettanto innegabile che neanche, starei per dire, l'occhio di Dio che scruta le reni e scopre i più segreti moti dell'animo, riuscirebbe a distinguere talvolta, specialmente in certi tipi di fisionomia, il vero dal falso e il reale dall'apparente. (cap. III, pp. 30-31)
  • La nostra società è imperfetta, e un uomo perfetto non vi potrebbe vivere. Là dove domina l'astuzia, notava lo Schopenhauer, è tanto lecito ricorrervi quanto opporre la violenza alla violenza. E potrei io – egli soggiungeva – non rispondere con la menzogna a chi mi interrogasse per es. intorno agli affari miei con proposito subdolo? La menzogna può esserci necessaria come il cane da guardia a difendere la nostra casa contro i malfattori. Anche l'uomo più leale, se non è un imbecille, non può condursi diversamente. (cap. III, p. 32)
  • Il filisteo fu definito l'uomo che non ride, poiché per lui nessuna massima morale sopporta restrizioni, né colpa alcuna merita scusa: con la legge morale, egli osserva, non si scherza né si transige. La virtù è una linea retta e chi da questa deflette anche per un istante e di un solo punto, precipita nel baratro del vizio, vittima del perfido genio del male. (cap. III, p. 33)
  • La pretesa d'insediare l'Assoluto là dove domina il relativo conturba [...] e corrompe gli uomini disgregandoli fra mille acri contese, mentre è certo che la concezione serena e profonda del relativismo, caratteristico d'ogni fede, e garanzia ineccepibile della sua purezza e sincerità, può lenire le asprezze del dissenso, spingendo gli uomini verso una generosità calma, pronuba di una suprema unità ideale. (cap. VI, pp. 52-53)

La vita e il pensiero di Roberto Ardigò

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  • Roberto Ardigò lasciava le insegne della fede non più sua, per rispetto a questa fede stessa, e in ossequio all'altra che in lui si era andata maturando.
    Non gettò egli la tonaca per un impeto di folle passione, ma la svestì per una lenta elaborazione d'idee, lungo la quale l'urto facile contro le opposte dottrine avvalorava in lui la meditazione personale, e acuiva il bisogno di dare al pensiero un assetto definitivo, e di fare che a questo corrispondesse la stessa esteriorità della vita. Dovea necessariamente apparirgli, mano mano che il pungolo della critica gli svelava gli errori della dottrina filosofica tradizionale, l'insopportabilità di ogni equivoco; doveva egli educare in sé stesso, così aspramente contrastato dai vecchi pressoché indomabili affetti, la forza del carattere quale era necessaria per abbandonare a qualsivoglia costo la via seguita, e consacrare, con l'atto solenne dell'aperta conversione, il principio – che fu l'emblema di tutta la sua vita – della sovranità assoluta del vero. (Libro primo, cap. 4, pp. 32-33)
  • Della filosofia dell'Ardigò può ripetersi ciò ch'è vero di tutti i grandi sistemi: essa emerge dalla tradizione filosofica della quale ora accoglie, ora respinge gli elementi, facendo poi ora opera d'integrazione, ora di correzione, ora di svolgimento. Ma a un punto segnatamente della tradizione storica della filosofia essa si collega; e questo non è tanto il momento filosofico a lui contemporaneo, del quale , per confessione dell'Ardigò stesso, egli non era molto consapevole, quanto il momento filosofico della Rinascenza, essendosi in lui manifestato, dopo una lunga e paziente lettura delle opere degli Scolastici, quello stesso spirito di ribellione (in lui teologo) che si operò nei filosofi della Rinascenza, e per es. nel Pomponazzi, che fu tra quelli ch'egli predilesse. (Libro terzo, Considerazioni critiche, cap. 6, p. 343)
  • La dottrina dell'Ardigò potrebbe definirsi come un neo-naturalismo, in quanto essa ripristina e feconda con moderno e vivo spirito scientifico, il naturalismo della Rinascenza. (Libro terzo, Considerazioni critiche, cap. 8, p. 366)

Citazioni su La vita e il pensiero di Roberto Ardigò

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  • Giovanni Marchesini ha pubblicato un volume col titolo: La vita e il pensiero di Roberto Ardigò. Esso si apre con due ritratti; il primo dei quali ci presenta il canonico Roberto Ardigò, a trentacinque anni, la faccia sospirosa e gli occhi misticamente rivolti verso il cielo; il secondo, il prof. Ardigò, settantenne, la lunga barba fluente, la fronte spianata e serena e lo sguardo tra il curioso e il soddisfatto, fisso con ferma insistenza a ciò che gli è dinanzi. Due fisonomie cosi diverse, che, a non saperlo, difficilmente s'indovinerebbe che sono della stessa persona. Così, nel lavoro del prof. Marchesini, che con questo libro ha voluto pagare un vecchio debito di riconoscenza al suo maestro – dopo averne con tanti manuali scolastici procurato di diffondere le dottrine, – trovi gli uni accanto agli altri i documenti spirituali del can. Ardigò e del prof. Ardigò; e non riesci a vedere come il canonico e il professore siano stati un solo uomo e il primo abbia potuto trasformarsi nel secondo; quale, insomma, sia stato lo svolgimento morale e intellettuale di quest'anima, di cui tuttavia l'autore ci promette di rappresentare la vita e il pensiero. (Giovanni Gentile)
  1. Da Nel campo dell'educazione, Società Editrice Dante Alighieri di Alberighi, Segati e C., Roma-Milano, 1909, cap. 1, p. 15.

Bibliografia

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