Giovanni Cena

poeta e scrittore italiano (1870-1917)

Giovanni Cena (1870 – 1917), poeta e scrittore italiano.

Giovanni Cena

Citazioni di Giovanni Cena

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  • È necessario che il letterato sia la voce dei suoi simili, ma per tale non basta volgere gli occhi attorno e parlare se non quando la parola è indice di una 'azione' e può diventare in lui 'azione'.[1]
  • Forse i deboli non si fortificano leggendo il Cuore, ma i forti diventano generosi. Non si raggiunge qualche efficacia nel combattere la crudeltà e l'egoismo che sono nella nostra natura, e che appaiono, malgrado la nostra viltà, nei fanciulli e negli adulti, se non eccitando insistentemente le nostre facoltà di emozione sociale, già così scarse, i nostri impulsi di tolleranza e di fratellanza.[2]
  • Quando non nevicava andavamo a far legna nei boschi dei signori, raccogliendo soltanto il seccume e i ceppi putridi che vendevamo a un soldo il fascio; stando tutto il giorno nei boschi e portando sulla schiena fino al villaggio due o tre fasci, guadagnavamo sette od otto soldi. Perciò l'inverno si mangiava meno.[3]

Artisti moderni. Augusto Rodin

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  • Augusto Rodin è essenzialmente scultore. La forma umana ha su lui un tal potere, direi una tal ossessione, che in molte sue opere l'insistenza a penetrarne tutti i misteri è evidentemente ostinata, esasperata. Le espressioni che altri ne ha trovato non gli bastano più, nè gli bastano le proprie che ha moltiplicato, variato all'infinito. Altri concentra l'anima umana nelle parti più nobili, ove più si manifesta pienamente: per lui tutto il corpo è compenetrato d'anima: perciò egli ama le espressioni violente nelle quali invero l'anima invade il corpo, lo riempie, lo contrae, lo tende. (Non mi si pigli alla lettera questo anima; è un modo di farmi intendere). Perciò trascura soventi, nelle figure di piccole dimensioni, il volto, o lo tratta sommariamente, non volendo imprimervi una vita troppo più intensa che non nell'intero pezzo. (p. 288)
  • Egli è detto pagano perché ama i fauni e le ninfe. È invece pagano nel senso profondo: non è già soltanto il sensuale che accoppia i seguaci di Bacco nelle vendemmie opulente, ma l'artista compreso del dolore antico, oppresso dall'incombente fato, che sviluppa nelle sue creature fatte soprattutto di muscoli e di nervi il desiderio e la voluttà, la supplicazione e la disperazione, l'amore e la morte. È uno spirito eschileo. Chiedetegli le complicazioni sentimentali, le sfumature; le ha rese talvolta, non le predilige. Egli non vi darà il dubbio, ma l'angoscia, non la tristezza, ma l'agonia, non il piacere, ma il delirio. La sua umanità è dominata dalle grandi forze della natura; trista sin dalla nascita ama, anela, dispera, si dibatte n bramosie non mai sazie; sosta un attimo, felice; un attimo... e la fatalità la riprende, la torce, la spreme, la infrange. (pp. 288-290)
  • Egli è senza dubbio il più perfetto esecutore di nudi che esista al presente. I nudi degli altri scultori ci avvertono sempre ch'erano prima vestiti e che si vestiranno a momenti. Quelli di Rodin non hanno tal preoccupazione: nessun membro è loro d'imbarazzo: vivono così. (296)
  • Mamma, questa d'ottobre così gaia | giornata, sembra d'una primavera | ultima. Senti? Rondinelle a schiera | empiono di bisbigli la grondaia.
  • Oggi il canuto parroco scendea | ch'avea portato Cristo in sacramento | sotto, le donne in voce di lamento | cantavano sull'aia: «Ora pro ea!»

Scritti critici

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  • Poche vite di artisti sono come quella di Antonio Fontanesi profonde, intense, piene di cose e d'opere. Un solo amore fu in lui pari a quello dell'arte: l'amore della patria e della libertà.
    Non soltanto l'opera sua, ma tutta la sua vita è bella. C'è tal connessione tra l'arte sua e la sua vita, che l'una rivela il segreto dell'altra e si lumeggiano a vicenda. (p. 83)
  • Non sapremmo immaginare che cosa sarebbe stato Fontanesi se non avesse visto l'Esposizione di Parigi del '55 e se non si fosse arruolato nel gruppo dei paesisti francesi di Crémieu. Il fatto è che a trentacinque anni, sentendosi nel vigor delle forze e avendo esaurito tutto quello che il suo ambiente poteva insegnargli e inspirargli, era invaso da una profonda inquietudine, scontento di sè, impedito ne' suoi mezzi d'espressione, intravedendo da qualche saggio dei pittori francesi apparso a Ginevra quel di più ch'egli avrebbe potuto raggiungere. Più tardi s'accorse ch'egli sapeva troppo e male e doveva dimenticare la sua abilità per acquistare mezzi più immediati e sinceri. (pp. 89-90)
  • Egli [Fontanesi] non soltanto era un forte disegnatore e un profondo conoscitore del chiaroscuro, com'è dimostrato dai suoi disegni, dalle litografie, dalle eliografie e dalle acqueforti sparse un po' per tutto, ma era un colorista meraviglioso. Vedete il Ponte di Santa Trinita sull'Arno, e parecchi altri quadri dipinti prima ch'ei vedesse Turner, e infine quella liquida e aurata Marea bassa! A petto di lui tutti i paesisti francesi del '30 sono grigi. (pp. 96-97)
  • Se si giudicasse dalle moli di marmo scolpito che ingombrano i nostri camposanti, specialmente di Genova, di Milano, di Torino, si dovrebbe affermare che la borghesia italiana ha un abbondante culto delle idealità. Ma il lusso delle tombe ha sempre prosperato nelle epoche mercantili, perché un sontuoso funerale e una superba cappella di famiglia entrano nel bilancio degli arricchiti e tengono alto il credito. Non deploriamo troppo quest'uso, poiché ci ha dato nella storia dell'arte italiana alcune grandiose opere e poiché esso soltanto nei tempi moderni ha permesso alla scoltura di vivere. (p. 161)
  • [...] Leonardo Bistolfi dovette dedicarsi esclusivamente al monumento funebre.
    Ma la scoltura del Bistolfi è arte funebre? (p. 163)
  • Nell'arte del Bistolfi il pensiero della morte è svolto in varii aspetti, d'interrogazione inquieta, di tristezza, di serenità; ma il terrore del nulla e la disperazione d'un tremendo al di là ne sono esclusi. Il ricordo di tutt'una vita affacciato come un quadro di dolce rimpianto dinanzi ai morituri, la memoria affettuosa dei vivi raccolta intorno al riposo del morto, l'apoteosi dell'uomo affermantesi dopo morte colla sua opera, la vittoria infine della vita risorgente dalla terra col grembo pieno di fiori, sono i principali motivi della sua arte funebre, la quale così risulta complessa, ricca, viva, perché creata per i vivi. (p. 165)

Incipit di alcune opere

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Gli ammonitori

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È venuto il tempo di compiere il mio grande atto. Fra alcuni giorni tutto sarà finito. Questo memoriale, di cui preparo due copie, l'una che porterò indosso d'or innanzi, l'altra per inviare ad un giornale, ha il solo scopo di dichiarare – in caso che si volessero travisare le mie intenzioni o spiegare l'avvenuto come un accidente fortuito – il processo in cui io venni nella determinazione di morire in modo tanto eccezionale.

Pare la terra ascendere, assorbita
nella luce. Tra il cuor del sole e il cuore
della terra, una forma sorge, a fiore
dell'esistenza e domina la vita.

In Umbra

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Discendeva la sera
su l'erta solitaria.
Io ristetti. Non era
una voce nell'aria.
Solo nel fondo il fiume
dava un lamento roco
scintillando nel lume
del tramonto di fuoco.

Citazioni su Giovanni Cena

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  • L'opera poetica del Cena tocca tutta la gamma della trascendenza spirituale accorata, tormentata, dolorosa che tenne vivi gli 'spiriti buoni' in uno dei più tristi periodi della storia dell'anima italiana. (Salvator Gotta)
  • Maturatosi alla speculazione e all'osservazione, l'ingegno di Giovanni Cena ha dimostrato di sapersi piegare a tutte le discipline, a tutte le forme dell'arte. Gli Ammonitori svelano una tempra robustissima di narratore, e d'una qualità assai rara, in Italia : il narratore nudrito d'idee. Anzi, se il Cena corre, per questo rispetto, un pericolo, corre appunto il pericolo di obliare per le idee le persone, di esser troppo concettoso e troppo poco plastico.
  • Pronipote ultimo di Giacomo Leopardi, prediletto alunno di Arturo Graf [...] il Cena ha lasciato la scorata immobilità del pessimismo, accordandosi piuttosto con quel sentimento di stanchezza e di tedio che nasce da un caldo e largo amore per tutta la natura, cozzante nella fatalità bruta della natura stessa.
  • Quanto all'individuo, il Cena pensa che il progresso di lui si accompagni all'evoluzione della società. Ottenere la più perfetta esplicazione propria e armonizzarla con quella degli altri: ecco semplicemente creata la morale.
  • Del poeta il Cena à innegabilmente le caratteristiche essenziali: l'intuizione personale della natura e della vita, il sentimento profondo, l'immaginazione vivace: la musicalità, se non m'inganno, nonostante talune poesie dal ritmo o dalle rime suggestive che mi si potrebbero opporre, (ad es. Ranz de vaches e La Ninna Nanna) egli generalmente non la possiede ancora in grado eminente.
  • La personalità poetica del Cena non si è ancora completamente purificata da influssi di scuola, di scuole più meno moderne. Ora è un rozzo naturalismo Stecchettiano che ci offende, come in Bruti o in Cenci; ora un cattivo ricordo Leopardiano:
    Così colei che fu matrigna sempre | anco per invecchiar non cangia tempre, | feconda ognora d'infelici vite;
    ora il ricorso di abusate forme classiche accanto alle più spontanee e vive; ora il richiamo involontario al Prati, al Pascoli (Il cuore), al Carducci ed al Pascoli (in Lembi d'azzurro), al D'Annunzio ed ai simbolisti francesi (in A mia sorella e specialmente in Apparizione).
  • Molte volte, quasi sempre, nella sua lirica troviamo il germe veramente poetico: raramente questo è condotto alla sua più matura espressione d'arte, sicché in tutto il volume [In Umbra] poche sono le poesie che soddisfacciano completamente, assolutamente, nell'insieme come nei particolari. Il poeta spesso non riesce ancora ad elaborare, a trasformare poeticamente che una parte – grande o piccola – della materia a cui vuol dare la seconda vita; e ciò dipende da un grave difetto generale: la mancanza di concentrazione, di sintesi poetica, e della conseguente eliminazione di particolari impoetici – almeno nell'espressione loro. La prolissità, se é difetto grave pur nella prosa che consente l'analisi, é addirittura esiziale nella poesia. Il Cena non à saputo abbastanza guardarsene, e in molte poesie dice spesso in due tre strofe ciò che, addensato in una, avrebbe significato la stessa cosa con maggiore potenza espressiva.
  1. Citato in Salvator Gotta, La più bella favola del mondo: Giovanni Cena, poeta e filantropo, SEI, Torino, 1962.
  2. Citato in Olga Visentini, Primo Vere, Mondadori Editore, Milano, 1961.
  3. Citato in Salvator Gotta, La più bella favola del mondo: Giovanni Cena, poeta e filantropo, SEI, Torino, 1962.

Bibliografia

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  • Giovanni Cena, Artisti moderni. Augusto Rodin, in Nuova Antologia di lettere, scienze ed arti, quarta serie, volume XCII della raccolta CLXXVI, Marzo-Aprile 1901, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1901.
  • Giovanni Cena, Gli ammonitori, Edizioni "L'Impronta", Torino, 1928.
  • Giovanni Cena, Homo, Nuova Antologia.
  • Giovanni Cena, In Umbra, Renzo Streglio editore, Torino, 1899.
  • Giovanni Cena, Madre, Casa Editrice "L'Impronta", Torino.
  • Giovanni Cena, Scritti critici, Edizioni "L'Impronta", Torino, 1929.

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