Giorgio Cosmacini

medico e saggista italiano (1931-)

Giorgio Cosmacini (1931 – vivente), medico e saggista italiano.

Citazioni di Giorgio Cosmacini modifica

  • L'Aids ha provocato la paura di una malattia sessualmente contagiosa e altrettanto peccaminosa, dalla quale bisognava chiamarsi "fuori" mettendo "dentro", nel sacco delle streghe o del diavolo, tutti quanti i "diversi", minacciosi come alieni.[1]
  • Lebbra, paura della "morte civile". La diagnosi di lebbra comportava l'emarginazione dal mondo dei sani, una irreversibile segregazione. Il lebbroso anticipava in vita la decomposizione propria della morte; però non induceva paura di morte, ma ribrezzo. Il corpo corrotto del lebbroso induceva ribrezzo verso chi, seminando il contagio, era detto meritare, come talora accadeva, di essere arso vivo quasi si trattasse di incenerire un cadavere.[1]
  • Peste, paura della "morte fisica". Per la peste vigeva la legge del "tutto o nulla": se non la si evitava, si moriva. Ma si poteva morire anche di angoscia o di paura, come certificava nel 1348 un anonimo cronista spettatore della "peste nera", annoverando tra le cause di morte lo «sbigottimento delle genti».[1]
  • Sifilide, paura della "malattia vergognosa". Trasmessa per contagio genitale, per contatto sessuale con "femmine da coito impuro", era considerata morbosa per il corpo e peccaminosa per l'anima. Era non solo una infermità, ma anche una colpa, cui corrispondeva la paura di perdere la vita terrena e anche la vera vita nell'oltretomba.[1]
  • Un medico che dovesse cercare ormeggio in una religione lo troverebbe o sceglierebbe nella religione di quel che si deve, avente sede elettiva nella voce udita da Immanuel Kant e da lui chiamata coscienza morale. Di tale religione del dovere ci parlano molte storie esemplari. Sono storie di una religiosità antropologica appartenente alla sfera dell'umano sentire e dell'essere medico, pur senza preclusione di ogni possibile altra sfera. (da La religiosità della medicina. Dall'antichità a oggi, Laterza, Roma-Bari, 2007, p. IX; citato in Cosmacini 2010, p. 96)

La qualità del tuo medico modifica

  • Proprio in queste malattie, disabilitanti o inguaribili, il rapporto medico-paziente ha una rilevanza centrale. Paradossalmente, più la tecnologia medica si raffina, più l'obiettivo della guarigione completa si allontana, più il medico deve potenziare l'efficacia del rapporto antropologico fra sé stesso e il malato... (cap. 3; p. 44)
  • Così, mentre da una lato prevale l'organotropismo terapeutico, cioè la terapia diretta su questo o quell'organo o meccanismo (quasi che il malato non sia tanto il cardiopatico quanto il suo cuore), dall'altro prevale la terapia applicata a tutti gli individui ammalati in luogo della prevenzione applicata al corpo sociale tutt'intero. (cap. 5, p. 71)

Testamento biologico modifica

  • La realtà domestica è come la monade leibniziana, senza porte e senza finestre, chiusa in sé stessa e impenetrabile, impermeabile alla solidarietà del vicinato. In essa sovente non c'è spazio, né tempo, né cultura, né cura per malattie che non siano di breve durata e per malati che non siano autosufficienti, autocoscienti, o che siano morenti. Emarginato e inesaudito in ospedale, chi muore non è meno solo e incompreso in famiglia, nella realtà spesso ostile di oggi. (cap. 3.2, p. 44)
  • Il rispetto del paziente è il fondamento di un'etica medica intesa come nuova pietas finalizzata al bene altrui. (cap. 5.1, p. 82)
  • Quando la vita biografica sia impedita da una malattia tormentosa, inguaribile e ingravescente (come nel caso di Welby) o da un'irreversibile perdita di coscienza (come nel caso di Eluana), la vita biologica può essere interrotta da una pietas che è il rispetto dell'altrui identità ed è l'unica manifestazione autentica della «proprietà riflessiva» dell'amore che lega chi vive a chi muore. (cap. 5.4, p. 92)
  • Quanto ai medici, tengano ben presente che, nelle supreme indecisioni, le giuste decisioni maturano sempre al di dentro delle buone relazioni di cura. [...] Le terapie sono diverse dalle cure: aver cura di un malato in fin di vita, per un medico che sia dotato della religiosità che è propria del suo mestiere, comporta la pietà del rispetto, fino in fondo, per la persona curata. Non si tratta di un gesto terapeutico, tecnico, ma di un atto curativo umano. (pp. 120 sgg.)

Note modifica

  1. a b c d Da Dalla peste alla suina, le grandi epidemie, la Repubblica, 23 settembre 2009.

Bibliografia modifica

  • Giorgio Cosmacini, Testamento biologico. Idee ed esperienze per una morte giusta, il Mulino, Bologna, 2010. ISBN 9788815134059
  • Giorgio Cosmacini, La qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Laterza, Roma-Bari, 1995. ISBN 9788842046486

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