Giannotto Bastianelli

musicologo e critico musicale italiano

Giannotto Bastianelli (1883 – 1927), musicologo e critico musicale italiano.

Saggi di critica musicale modifica

  • Frescobaldi, pur essendo fedele seguace d'un sistema di regole rigidamente tradizionali; al modo stesso che Dante nella sua poesia era ossequiente a una sapienza filosofica e poetica, dogmatica e scolastica, sentesi però che adopra, il ferrarese, tali regole di polifonia con una specie di spontaneità virginea che, come nei pittori e nei poeti primitivi, palpita tutta di un libero spirito di rinnovamento inventivo. Il contrappunto è per lui scopo a sé stesso; è una potenza formale che gli permette di avvolgere in veli trasparenti e enormemente suggestivi la sublime purezza della sua intimità. Vi sono, del Frescobaldi, alcune toccate per elevazione in cui crediamo di sentirci alitare dinanzi, pur sul principio del gesuitico 600, l'anima estatica d'un pittore del tre e quattrocento. Il contrappunto per lui si rompe, si frange in una quantità di trovate imprevedute di libertà tutte spillanti di sorpresa giovanile, che fanno quasi pensare a certe libertà e a certe trovate sublimi d'ingenuità dell'ultimo Beethoven. (Parte seconda, p. 146)
  • Il D'Indy invece appartiene a quella categoria di semicritici, la cui sensibilità o gusto estetico o esperienza artistica che dir si voglia, se proprio non entra in contradizione col loro pensiero, è però, di questo, infinitamente più ricca e più sviluppata. Grande musicista infatti, profondo conoscitore delle più sottili astuzie contrappuntistiche ed armonistiche della elaborazione musicale, come lo dimostrano anche i suoi corsi di composizione, il D'Indy ha nella sua monografia scoperto e frugato, quasi direi per identità di possibilità, la grandiosa facoltà di costruzione che mette il Beethoven, nonostante la sua foga sentimentale e romantica, tra i massimi architetti musicali esistiti. (Parte seconda, p. 177)
  • Il D'Indy ha dato all'arte moderna stupendi e quasi isolati esempi di quella che nella sua teoria contrappuntistica chiama: composizione ciclica; antichissimo modo di far nascere un'infinità di forme e decorazioni musicali da un germe quasi astratto [...], modo rimesso in uso dal grande maestro del D'Indy, Cesare Franck. (Parte seconda, p. 178)
  • [...] nessuno finora, a me pare abbia compreso quanto il D'Indy, il vero valore del romanticismo in generale e dell'opera rinnovatrice del Beethoven in particolare. Romanticismo non è rivoluzione iconoclastica, sibbene reazione ai continuatori dei troppo prossimi – reazione compiuta in nome d'una veramente sublime idea di quella, che il D'Indy stesso chiama «tradition élargie», ossia tradizione fondata sopra una più esatta e vasta comprensione della storia ancor da noi più lontana. (Parte seconda, pp. 180-181)

Incipit di Pietro Mascagni modifica

Ogni paese ha la sua lingua musicale, le cui peculiarità di concezione e di costruzione si formarono a poco a poco e furon tramandate più o meno fedelmente dai musicisti. Così, più o meno interrottamente ebbe ed ha tuttora una lingua musicale originale la Francia, così l'ebbe l'Italia e l'ha tuttora sebbene un poco modificata da veri e propri barbarismi, di cui la sorgente è o la musica francese o, se non sempre direttamente, la musica tedesca e, meglio, la musica wagneriana. E per linguaggio musicale moderno dell'Italia intendo di necessità il linguaggio del melodramma, poiché da quando comparvero i grandi compositori di musica strumentale in Germania, questo genere di musica in Italia divenne fatica di retori plagiari e pesanti. Abbiamo infatti noi dei quartettisti da mettere a paro con Haydn Mozart Beethoven? Può un sol quartetto del nostro accademico Bazzini sostenere il confronto d'un qualunque quartetto dei classici tedeschi? E di tutti gli scrittori di musica per pianoforte e di musica sinfonica non teatrale, chi è riuscito ancora a dire agli Italiani una parola sua, a farci scordare l'instante tirannia di Beethoven di Schumann di Liszt di Wagner? Non è, anzi, senza una ragione profonda il contegno indifferentissimo del pubblico italiano verso i così detti scrittori di musica seria. Infatti il buon pubblico innocente e ignorante sente istintivamente che sotto quelle dotte polifonie ben imitate da chi ne seppe più ed ebbe cuore più nuovo e più sensibile, c'è un silenzio inutile, c'è il triste vuoto di colui che non ha forza fantastica tale da plasmare spontaneamente una nuova forma sinfonica veramente latina.

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