Daniel Passarella

dirigente sportivo, allenatore di calcio e calciatore argentino (1953-)

Daniel Alberto Passarella (1953 – vivente), dirigente sportivo, allenatore di calcio ed ex calciatore argentino.

Daniel Passarella (1978)

C'è il Caudillo, hai chiuso!

Intervista di Elio Corno, Guerin Sportivo nº 9 (683), 2-8 marzo 1988, pp. 28-31.

  • Penso che sia giusto che un calciatore, a un certo momento, lasci, soprattutto quando sta giocando bene e sta raccogliendo ancora delle soddisfazioni. [...] ritengo che sia anche una questione di immagine.
  • [«Ritiene di aver dato più di quanto ha ricevuto?»] Non sono io che devo dirlo. Comunque sono stato richiesto e in quegli anni, dal '75 all'82, in Argentina io stavo bene. I giocatori argentini erano quelli meglio pagati al mondo. Sembra strano, ma era così. L'inflazione non era elevata e la nostra moneta valeva. Io ero il re del mio paese, avevo tutto. Non ho accettato di venire nell'81 perché non volevo rinunciare alla Nazionale [...]. Quando poi sono arrivato a Firenze, credo di essere stato il primo a garantire serietà e professionalità. [...] quando sono arrivato gli stessi soldi avrei potuto guadagnarli sia in Francia che in Inghilterra o in Spagna. Ma ho accettato il vostro paese perché ci sono molte affinità con il mio. [...] e poi avevo lanciato una sfida a me stesso, perché qui si gioca il calcio più difficile.
  • [«Com'è veramente l'uomo Passarella: un killer dagli occhi di ghiaccio, un duro o semplicemente un atleta con dentro tanta rabbia agonistica?»] Sono dei "gemelli" per cui ho una doppia personalità: una riguarda il calciatore, l'altra l'uomo. La gente che non me non ha mai parlato, quando poi mi conosce mi dice: "ah, però, di te avevamo un'altra immagine". Io quando sono in campo voglio vincere, mi trasformo, non guardo in faccia a nessuno.
  • [«Leader si nasce o si diventa?»] Io ho avuto la fortuna, a quindici anni, di giocare con una squadra di dilettanti. Erano tutti molto più anziani di me: gente grintosa e responsabile; tutti rispettosi degli ordini dell'allenatore. È stata una grande esperienza perché mi ha sempre accompagnato nella vita, e dove sono stato mi hanno sempre chiesto di fare il capitano. Sì, forse leader si nasce, non si diventa.
  • [«Il difetto peggiore del calcio italiano»] [...] Se vogliamo definirlo difetto direi che il calcio è difficile, impegnativo. Non è assolutamente il campionato più bello del mondo. Molti stranieri, in Italia, e mi riferisco a quelli considerati bravi nel loro paese, falliscono o hanno fallito non perché in difficoltà con la lingua o con l'ambientamento, ma per una ragione molto più banale e cioè che a casa loro erano considerati dei re e potevano permettersi di fare ciò che volevano. Qui, invece, la musica è diversa. Qui sono sullo stesso piano di altri campioni anche italiani e, forse, questo finisce con l'indebolire quelle qualità agonistiche necessarie per emergere. Perché non si tratta nemmeno di abituarsi a maggiori sacrifici. No: gli allenamenti sono uguali in tutto il mondo. È proprio una questione di privilegi.
  • [Su Aldo Agroppi] È un tecnico che non guarda in faccia a nessuno e a me piacciono questi uomini perché per lui tutti sono uguali: dal grande campione al ragazzo che comincia. Non fa discriminazioni. [...] E con i giocatori ha un rapporto importante perché si sforza di entrare in ciascuno per conoscerne i problemi, le ambizioni.

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