Christopher Bollas

psicoanalista e scrittore britannico

Christopher Bollas (1943 – vivente), psicoanalista e scrittore britannico.

Tre caratteri

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  • Forse, la caratteristica più significativa del narcisista è la richiesta di attenzione che, tuttavia, può operare a un livello molto sottile. Benché egli implicitamente idealizzi se stesso, può proiettare questa fantasia di appagamento del desiderio negli altri o nelle attività della propria vita attraverso l'idealizzazione. Questo dà luogo a una sorta di contraccambio. Tu idealizzi me; io idealizzo te. Egli vuole introdurre gli altri in una società che egli stesso ha creato e che è tacitamente idealizzante. Questo è il "contratto narcisistico": ti incoraggio a esaltare te stesso; tu fa' la stessa cosa con me; insieme offriamo questo servizio ad altri. Si costruisce così una base rassicurante per un sentimento del valore di sé altrimenti fragile. Vivere in un mondo di idealizzazione significa crogiolarsi nella luce radiosa dell'oggetto idealizzato. (cap. 1, Il narcisista)
  • Il narcisista scinde il Sé e i suoi oggetti in oggetti idealizzati e oggetti che non lo sono. Gli oggetti non idealizzati rivestono un modesto interesse. Essi sono l'abietto. Ma l'idealizzazione, proprio come consente un certo tipo di vita amorosa, trae anche energia dall'odio. Il narcisista deve reperire oggetti da odiare, che sono gemelli di quelli che idealizza. Possiamo pensarli come oggetti denigrati. L'oggetto denigrato è la pattumiera che contiene il materiale di scarto degli elementi umani che non fanno parte del mondo del narcisista. In questo modo, tramite l'odio egli mantiene un collegamento con ciò che ha scartato. (cap. 1, Il narcisista)
  • Il narcisista positivo costruisce con attenzione un mondo disponibile a un funzionamento armonioso. [...] Non vuole relazioni profonde con altri, poiché questo implica sempre la possibilità di imbattersi nel negativo: quindi, coltiva quelle che possono essere ritenute conoscenze amichevoli, piuttosto che amicizie intime. A differenza del narcisista negativo, il narcisista positivo può dedicarsi agli altri. Può trattarsi di una strategia di successo che dura per tutta la vita e gli amici possono non intuire mai che questa apparente inclusività è fasulla; lo scopo di questa generosità è soddisfare l'immagine che egli ha del Sé. (cap. 1, Il narcisista)
  • Un'amicizia profonda implica una forma di reciprocità che il narcisista positivo non può soddisfare, mentre gli va bene avere un conoscente che vede di tanto in tanto. Infatti, se si ha di lui una minore conoscenza, è maggiormente possibile l'idealizzazione. Egli conosce troppo bene la frase "la familiarità genera il disprezzo" e l'ha presa sul serio. (cap. 1, Il narcisista)
  • Tutti i disturbi del carattere operano mediante l'impiego di diverse forme di autorizzazione psichica. [...] l'isterico cerca di essere autorizzato a rimanere un bambino e poter quindi parcheggiare nelle aree della vita destinate ai disabili, con un distintivo sul bavero che indica: "Non puoi aspettarti che mi comporti come un adulto". Il borderline ha un'autorizzazione che dichiara: "Disabile: fuori controllo". Ogni autorizzazione funziona come una sorta di documento che rende lecita una qualche forma di malfunzionamento. Ha molti scopi, ma uno di essi è quello di aiutare il Sé a spiegare all'altro che cosa è successo. [...] L'autorizzazione narcisistica si basa sull'inclinazione a concordare prontamente con l'altro. Il narcisista autorizza l'altro a non essere d'accordo con il Sé. Questa manovra può portare gli altri ad ammirarlo per la sua capacità di sopportare il logorio implicito nelle questioni relazionali. In segreto, è come se dicesse: "Non c'è niente che non possa tollerare". (cap. 1, Il narcisista)
  • [...] il narcisista negativo non vuole davvero mettere in discussione il proprio crimine. Può tenere una conferenza su di esso, ma non vuole che venga indagato nella conversazione con l'analista. Si rende evidente la presenza di una rigidità, che l'analista percepirà nel controtransfert come un'area nella quale è proibito entrare. (cap. 1, Il narcisista)
  • [...] mentre la vita va avanti, il narcisista si rende conto che non ha importanza la quantità degli oggetti che consuma, perché non è in grado di liberare se stesso dal sentimento interno di vuoto. (cap. 1, Il narcisista)
  • [...] una delle caratteristiche comuni della personalità narcisistica – specialmente del narcisista negativo – [...] è la malafede. [...] Una persona è in malafede quando inganna consapevolmente se stessa e gli altri. Nella situazione analitica, questo significa che il fatto di parlare in malafede è consciamente inteso a mandare fuori strada l’analista. Un paziente in malafede può inventare sogni, oppure vicende della vita quotidiana, o anche tralasciare di dire ciò che consapevolmente considera un dettaglio importante, allo scopo di indicare all’analista una direzione sbagliata. Egli non noterà gli sforzi di quest’ultimo per comprenderlo e, invece di cooperare con questi tentativi, li eviterà e li combatterà. (cap. 1, Il narcisista)
  • Quali sono gli assiomi psicodinamici e tipici della relazione oggettuale che costituiscono la logica di questa personalità? [...]
  • Trovo che l’altro che desidera una relazione di intimità e che mira a conoscermi sia invasivo, inaffidabile e predatorio.
  • Annullo gli effetti di questo altro non vedendolo.
  • Anch’io sono invisibile. Quando non sono presente, non sono responsabile della relazione.
  • Invece di un altro con cui avere una relazione di intimità, scelgo dei Sé non invasivi che mi rispecchieranno così come io rispecchierò loro. Con gli altri che stanno a distanza ha successo una relazione a distanza.
  • Se sono un narcisista positivo, posso cavarmela nella vita dedicandomi apparentemente a un grande numero di amici che forniranno esperienze di rispecchiamento positivo in modo che non vi sia necessità di un coinvolgimento intimo.
  • Mi piacciono gli eventi, le feste e le intimità occasionali, e quindi trovo ogni modo per prendervi parte.
  • Quando i miei limitati bisogni di nutrimento non vengono soddisfatti, posso facilmente “scaricare” la persona e trovare altri di facile impiego, che mi daranno ciò che chiedo.
  • Sono solito utilizzare come forma di sostentamento il seno che ho rubato a un altro, senza curarmi del modo in cui l’ho ottenuto.
  • Non posso farlo durare perché non è autogenerato. È stato creato da un altro che posso odiare e invidiare.
  • Quando le cose cominciano a essere insoddisfacenti, “scarico” le persone e vado oltre.
  • Sono inseguito da un alone di colpa che mi perseguita, ma rimando il giorno del giudizio.
  • Devo, infine, sperimentare l’ineluttabile scomparsa delle mie illusioni e affrontare il Creatore: con me stesso come assassino. Ho perso tutto ciò che ho e sprofondo in un odio per me stesso che mi consente di dirigere la mia rabbia contro l’oggetto finale.
  • Un’ultima scelta disperata consiste nell’affrettare la mia morte o uccidere altri, in modo che tutti insieme sprofondiamo sotto l’incantesimo della pulsione di morte.
  • Ma se le cose sono meno disastrose – per esempio, faccio parte di una confortevole comunità di pensionati – allora posso guardarmi allo specchio e dichiarare amore eterno per me stesso.
  • Stare con gli altri non è mai stato un vero impegno. Posso impegnarmi soltanto con il mio unico vero amore: me stesso. (cap. 1, Il narcisista)
  • [Sul Disturbo borderline di personalità] Si tratta di una persona con un dolore mentale incessante. Diversamente dall'isterico, la sofferenza non consente di ottenere alcun vantaggio secondario e, diversamente dal narcisista, il borderline non desidera liberarsi di essa. In realtà, egli sembra ricercarla. Poiché il borderline richiede un altro al quale possa essere attribuito questo dolore, si trova spesso a vivere relazioni di lunga durata estremamente conflittuali e tese. Ogni giorno vi è un dolore ancora maggiore. L'altro, che è ripetutamente accusato di esserne la causa, dopo un certo lasso di tempo sembra, all'analista, indistinguibile dall'oggetto interno che suscita il dolore. (cap. 2, Il borderline)
  • Il borderline non è crudele con il partner per ragioni sadiche, né vi è alcun piacere masochistico nel sottomettersi a questo contratto. Tuttavia, esso gli consente di ottenere una relazione oggettuale laddove altrimenti non ve ne sarebbe alcuna. Il suo maggior timore è di non trovare mai l'oggetto del desiderio e potersi fondere con esso. (cap. 2, Il borderline)
 
Vampire (1894), di Edvard Munch
  • Per il borderline, l'esperienza vissuta è una forma di corporeità adatta a una sorta di vampirizzazione, perché la vita è trasformata in qualcosa di astratto con forme indefinite che infestano il Sé e l'altro in un universo metafisico maligno. Se l'analista ricerca i dettagli diventerà oggetto di un attacco furioso [...]. I dettagli non sono rilevanti perché non possono essere reperiti. In realtà, essi non sono mai stati conosciuti o conoscibili. Il borderline, quindi, vive in un mondo privo di corporeità psichica. Non vi è sostanza nel suo discorso, perché egli desidera collegarsi con le forze astratte che erano presenti nei momenti iniziali della propria vita. Ogni continuità evoluta che si traduce in qualcosa di sostanziale è un tradimento delle origini. I terapeuti possono avere la sensazione di sprofondare: il borderline continuerà a ripetere senza fine la stessa vecchia storia. E ciò accade perché il paziente ha il bisogno di rimanere in un ambito specifico. (cap. 2, Il borderline)
  • I borderline tendono a mettersi in una situazione del tipo "comma-22": la loro vita sociale è fatta dalla frequentazione di compagni borderline, che crea un miscuglio di relazioni oggettuali del tipo "ok, sto soltanto reagendo a quello che fai tu". Per uscire da questo mondo, i borderline possono dover abbandonare i partner e altre persone con le quali hanno condiviso la propria vita. (cap. 2, Il borderline)
  • Nell'universo borderline, la maggior parte degli oggetti sono oggetti cattivi: spesso detriti dei conflitti reali dei quali è stata fatta esperienza con gli oggetti primari. Ciò che resta di questo conflitto deve essere contenuto da qualche parte e se la memoria induce un'angoscia mentale eccessiva, sarà spostata su un altro oggetto cattivo.(cap. 2, Il borderline)
  • Assiomi della logica del carattere borderline:
    • Non possiedo un senso originario di chi sono, ma posso sentire un "me" che si instaura in reazione a un altro che arreca disturbo.
    • Perché persista questo senso di me devo reperire continuamente altri che arrechino disturbo.
    • Quando non è disponibile un altro reale, devo evocare pensieri, sentimenti e memorie disturbanti per creare una sorta di raffigurazione dell'altro disturbante.
    • All'inizio, l'oggetto disturbante sembra essere "qualcosa di esterno", del quale non ho alcuna idea. Tuttavia, se posso reagire a esso le mie reazioni si mescolano con l'oggetto e diventano una cosa sola con esso.
    • Non sono un "Io" ma un "me", creato come veglia funebre della distruzione dell'altro. Sono la turbolenza dell'altro, e come suo effetto a posteriori stabilisco con lui un legame di attaccamento.
    • Per costruire una relazione con qualcuno (in quanto non sono un "Io" ma un "me-come-conseguenza-di-te"), devo disturbare gli altri per trovare il mio posto e diventare ciò che è possibile che diventi.
    • Se tenti di aiutarmi a ottenere qualcosa di meglio, a pensare chiaramente e a diventare una persona indipendente, in realtà stai cercando di uccidermi e dovrò sconfiggerti.
    • Trasformerò i tuoi sforzi benevoli in persecutori, che ti restituisco come azioni dannose che ti confondono. Allora siamo insieme e, in questo modo, ti permetto di stare con me.
    • Scelgo la turbolenza. Si tratta del solo oggetto con il quale posso avere una relazione di attaccamento e che riflette un senso di me. (cap. 2, Il borderline)
  • Il maniaco-depressivo, tuttavia, è tanto lungi dai normali alti e bassi della vita quanto la musica di Bruckner lo è da quella di Corelli. (cap. 3, Il maniaco-depressivo)
  • Nello stato maniacale, la memoria sembra una banalità se viene messa a confronto con le osservazioni e le declamazioni magniloquenti del Sé. Nello stato depressivo, è quasi impossibile prendere contatto con la storia del Sé, perché esso si sente vuoto di significato. In ambedue le fasi, il maniaco-depressivo è catturato in un circolo vizioso, perché un Sé senza memoria non è soltanto privo di radici e senza guida: è inconsciamente abbandonato come oggetto d'amore. (cap. 3, Il maniaco-depressivo)
  • Quando "andiamo a ritroso con la memoria" ciò è accompagnato spesso da un certo tipo di amore o di affezione per ciò che recuperiamo: persone, luoghi, i nostri Sé precedenti. Ma, in un'altra prospettiva, la memoria è anche una parte di noi che ama il nostro Sé. Noi siamo commemorati dal nostro inconscio. [...] Sentiamo che il nostro inconscio si prende cura di noi; è la madre del nostro Sé. Quindi, avere una memoria significa essere amati da questa madre interna. Le personalità maniaco-depressive lottano per recuperare memorie specifiche e questa assenza mantiene la convinzione interna di non essere amati. Al posto di questo nutrimento interno, vi sono momenti di autoadorazione: un tentativo di riparare alla perdita di amore attraverso rivendicazioni megalomaniche. (cap. 3, Il maniaco-depressivo)
  • Una delle grandi sfide cliniche nel lavoro con il giovane maniaco-depressivo è rappresentata dal fatto che egli, nella mania, ha trovato una sorta di libertà da una vita scarsamente stimolante. È un medicamento psichico che fornisce al Sé una condizione di eccitamento che riguarda più aspetti della vita: egli ha un tono dell’umore elevato – e questo è certo – ma vive anche a un livello più alto rispetto ai suoi pari, dai quali finisce per separarsi. Si tratta di qualcosa che è collegato a un’ambizione nascosta del maniaco-depressivo che, diversamente da tutte le varie personalità psicotiche, è ciò che con maggiore probabilità identifica la sua diagnosi. Egli indossa un metaforico cartello che dice: “Maniaco-depressivo: non avvicinarsi troppo”. Fintanto che il mondo lo lascia da solo, all’aspetto schizoide di questa personalità è assicurato un varco relativamente sicuro. Tuttavia, questa fase di esaltazione non dura. Ciò che attende la persona maniacale è l’inevitabile condanna dello stato depressivo. (cap. 3, Il maniaco-depressivo)
  • Vi è un’angoscia apocalittica, nel maniaco-depressivo, che costituisce una sfida sul piano clinico. A questo punto, tuttavia, egli risolve un problema che lo schizofrenico non è in grado di affrontare. Per lo schizofrenico, nel momento dell’apocalisse, sta cadendo il cielo ed egli deve trovare qualcosa che lo protegga, spesso nascondendosi letteralmente [...]. Naturalmente, il disastro è l’improvvisa caduta in depressione. Il panico è un avvertimento che proviene dall’Io, relativo al fatto che l’universo del maniaco-depressivo sta per essere annichilito. È proprio come se fosse la fine del mondo. A differenza dello schizofrenico, che non è in grado di immaginare alcun futuro dopo l’annichilimento, il maniaco-depressivo sa che finirà in un mondo infernale, freddo, privo di voce, privo di vista, dove non vi è alcuno stimolo al pensiero. Il Sé deperirà. Il mondo non potrà essere salvato. È la fine di tutto. Fino alla resurrezione. Perché è una caratteristica comune di questa depressione il fatto che la persona, in qualche modo, si aggrappi alla “luce” della mania. (cap. 3, Il maniaco-depressivo)
  • [...] è utile mettere in prima persona la sequenza di questo disturbo (disorder), che è in realtà una forma di ordine (order).
  • Le ore, i giorni e le settimane della mia infanzia sono avvolti nel velo di un’inerzia invisibile.
  • So che questo velo è la mia famiglia, che amo.
  • Noi tutti viviamo seguendo il medesimo ritmo e troviamo conforto nella sofferenza comune.
  • Talvolta, la madre o il padre ci stupiscono con qualche idea sbalorditiva. È come se un dio ci facesse un regalo. Può trattarsi di un oggetto, come di un cucciolo, o di un momento significativo, come quando il padre ha ottenuto una promozione al lavoro e ci porta fuori a cena.
  • Questi sorprendenti momenti di trasformazione rimangono impressi nella mia mente. Non sono memorie, bensì punti di raccolta di parti sconosciute di me stesso.
  • Arriva il momento della scuola e non sono in grado di trovare la mia strada. Altri bambini sembrano sapere in quale modo giocare insieme, come godersi la vita. Io desidero soltanto tornare a casa, nel mondo conosciuto della famiglia. Tutto questo mi difende da qualcosa, ma non so esattamente da cosa.
  • Talvolta, altri bambini mi trovano divertente. Il fatto di essere accettato mi avvicina a loro e a ciò che ho da offrire, di cui però so molto poco. Faccio esperienza dei fremiti della gioia.
  • Comincio a trovare abbastanza eccitanti i miei pensieri, che sembrano uscire direttamente dalla mia mente.
  • La mia mente sembra abbastanza separata da me. Io sono inerte, ibernato, senza alcuna idea cosciente intrisa di luce.
  • Di tanto in tanto la mia mente mi invia un fantastico sogno a occhi aperti, un’idea eccezionale. Sembra che essa sia al di fuori di me e mi solleciti ad accostarmi e unirmi a lei. Condivido alcune di queste cose con il mio nuovo gruppo di amici.
  • La mamma e il papà non hanno alcuna idea di che cosa fare con queste ispirazioni. Talvolta essi sono tristi e ritirati; talvolta si arrabbiano e mi dicono di stare quieto. Il mio Sé quotidiano accetta questi rimproveri perché, in quei precisi momenti, condivido il loro punto di vista. Anch’io sono scioccato; mi sento depresso e inerte.
  • Quando divento adolescente e scopro la musica, i libri, i film, la mia mente trova i suoi altri. È nata una collaborazione fra la mia mente e le menti che hanno creato queste cose. Flussi di pensiero da autori, compositori, figure storiche, tutti connessi gli uni agli altri con vividi dettagli. Il mio Sé quotidiano è scosso da questi segni di speranza. Queste visioni salvifiche potranno liberarmi dall’inerzia?
  • Sono insicuro. Queste ispirazioni possono cessare improvvisamente e lasciarmi triste e miserevole. Non so in quale modo andare d’accordo con i miei coetanei. La mente che mi stimola con pensieri sorprendenti non sono davvero io. Il mio Sé banale è sempre lì, in attesa, come la mamma e il papà a casa.
  • Con il passare del tempo, mi sembra di trovare una qualche strada maestra. I fili di collegamento sembrano più solidi e affidabili. Se lascio andare la mia mente… se le do libero sfogo… se mi consento di parlare o di scrivere, mi sembra di lastricare di speranza quella strada. Questo mi aiuta a uscire dal pantano dello sconforto. Io appartengo alle grandi menti; sto seguendo un cammino differente. Non devo andare a casa.
  • Poi, improvvisamente, le luci si spengono. Era solo un sogno. Vedo gli altri che costruiscono vite amorose, carriere e che conseguono i propri obiettivi. Essi possono collegare i loro sogni alla realtà. Ma io vivo in un tempo preso a prestito. Le mie visioni, che mi sembravano un dono, ora allontanano le persone da me.
  • La mia speranza fa ritorno quando Dio mi viene a trovare. Poi ritorno al gregge umano come in una Seconda Venuta.4 La mia mente è la dimostrazione di tutto questo perché essa mi salva ogni volta, testimoniando che io sono il Messia.
  • Mamma e papà ora sono morti, ma essi mi amavano. Si sono sacrificati e io ho rinunciato alla mia infanzia per questo. Tutto ciò sta cominciando ad acquistare significato.
  • Ma quando sono abbandonato dalle mani di Dio, ritorno tra i morti viventi. Ho bisogno che mamma e papà ritornino per occuparsi di me. Sento un’indescrivibile tristezza. La mia mente mi ha abbandonato ancora una volta. (cap. 3, Il maniaco-depressivo)

Bibliografia

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  • Christopher Bollas, Tre caratteri. Narcisista, borderline, maniaco-depressivo, traduzione Franco Del Corno, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022. ISBN 97888328540

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