Carlos Santana

chitarrista e compositore messicano naturalizzato statunitense

Carlos Humberto Santana Barragán, conosciuto come Carlos Santana o anche solo come Santana (1947 – vivente), chitarrista e compositore messicano naturalizzato statunitense. 

Carlos Santana

Intervista di Kory Grow, rollingstone.it, 23 febbraio 2020.

  • [Cosa ricordi di quella serata ai Grammy?] Ricordo che mi guardavano tutti – persone che suppongo sapessero cosa stava succedendo. Io non sapevo nulla, ma qualcuno sapeva tutto prima di me, e mi guardavano con una certa attenzione. Sorridevano, come se volessero dirmi: "Ora ci sei dentro anche tu". Io pensavo: "Ma che succede?".
  • [A chi ti riferisci?] Bob Dylan continuava a indicarmi. Ancora prima di aprire la busta con il nome del vincitore, era come se sapesse tutto. Mi guardava e mi indicava, come a dire: "Lo vincerai tu". Avevamo fatto un paio di tour insieme, uno nell'83 e l'altro nel '95, ma non l'avevo mai visto così. Aveva un divino sguardo da mascalzone, pieno d'empatia, come se fossimo uniti.
  • [Hai vinto otto premi quella sera. Non è stato difficile inventare ogni volta un discorso diverso?] Ricordo che gli altri dicevano roba come "Vorrei ringraziare il mio gatto e il canarino", e qualcuno mi ha chiesto di essere breve: "Fai in fretta, così possiamo andare avanti". Dopo un po' mi sono limitato a dire "Grazie", prendere il premio e tornare indietro. Sono stato piuttosto obbediente, ma nell'ultima mezz'ora, quando ho vinto gli ultimi tre – Record of the Year e Song of the Year, ho iniziato a pensare che avrei potuto dire qualcosa in più.
  • [Hai raggiunto il record di Michael Jackson quella sera. Ti ha telefonato per congratularsi?] Sì, mi ha chiamato Quincy Jones e ha detto: "Ehi, come va? C'è qualcuno, qui, che vorrebbe parlarti". Abbiamo chiacchierato, mi ha invitato a suonare sul suo nuovo album. C'è un bambino in me che perde ancora la testa per Jimi Hendrix e Michael Jackson, per Marvin Gaye e Miles Davis, anche se in un certo senso ora sono uno di loro. C'è un bambino in me che è ancora meravigliato da Michael. E sarà sempre così. Sono loro le persone più grandi della vita stessa.
  • [È incredibile. Come ti sei sentito dopo la cerimonia?] Mi sentivo strafatto. Come se camminassi a tre metri da terra. Non sono riuscito a dormire. È stato intenso, perché facevo interviste per ringraziare i Grammy, e tutti mi chiedevano: "Beh, come ti senti?". Jeff Beck continuava a fissarmi. Gli ho chiesto: "Jeff, che succede?". E lui: "Dev’essere bello per te, stasera". Ho risposto: "Amico, non so cosa si prova a essere me, stasera". Ero sopraffatto. Mi vedo ancora come il lavapiatti di Tijuana, determinato a ottenere la possibilità di condividere il palco con Jerry Garcia, i Grateful Dead e Michael Bloomfield. Mi vedo ancora così... insomma, quel lavapiatti messicano sta vivendo un lunghissimo sogno.

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