Aristide Gabelli

pedagogista italiano

Aristide Gabelli (1830 – 1891), pedagogista italiano.

Citazioni di Aristide Gabelli

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  • Lo Stato è un ente che può avere tutto, eccetto il cuore. (da Discussioni della Camera dei deputati, sess. 1869-70, vol. IV, pag. 3754, col. I)
  • [Su Giacomo Marchini] Temperante in tutto fino all'astinenza, fidissimo nelle amicizie, facile alla stima e all'affetto, entusiasta del bene, coraggioso, virilmente fermo nelle cose importanti, remissivo e a volte anche un po' trasandato nelle altre, tal era Giacomo Marchini, uomo di virtù antiche, sceso perciò nel sepocro né ricco, né celebre.[1]

Pensieri

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  • I popoli, al pari degli individui, tanto possono quanto sanno.
  • Il modo più sicuro di distruggere consiste nell'edificare.
  • Il mondo giudica gli uomini non dalle prove, ché non ha il tempo di ricercarle, ma dalle apparenze, onde poco basta a passare per una perla e pochissimo per un briccone.
  • L'usanza comune a molti letterati di disprezzare il mondo moderno, è una maniera dissimulata di presumersi degni di un altro migliore.
  • Non c'è che un solo modo di serbarsi sempre fedeli alle stesse opinioni, rimanere tutta la vita fanciulli.
  • Non c'è istituzione, per quanto cattiva, che non sia resa tollerabile dai buoni costumi, e non ce n'è una tanto buona, che non rimanga guasta dai cattivi.
  • Poiché la lingua è lo specchio del pensiero, indagare il preciso significato delle parole è mettere chiarezza nelle proprie idee.
  • Un bel viso ci fa credere a tutti i pregi e a tutte le virtù, lasciandoci maravigliati di vederle sparire con lui e qualche volta prima di lui.
  • Una giornata nella vita dei popoli è una battuta di polso in quella degli individui.

Roma e i romani

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  • A Roma i forastieri e gli artisti propensi alle novità erano pochi. i più erano beati di trovar qui un mondo tutto diverso da quello di casa loro. Questo pezzettino di medio evo ospitale e pacifico, discretamente ben conservato dava loro un diletto simile a quello che proviamo nel contemplare un castello feudale, che colle sue torri merlate, colle sue scale segrete e co' suoi trabocchetti, ci permette di vivere con l'immaginazione in tempi lontani, pittoreschi e differenti dal nostro. Le stesse cose ch'essi avrebbero biasimato a casa propria come un disordine intollerabile, qui parevano necessità d'armonia, un fondo indispensabile al quadro

Citazioni su Aristide Gabelli

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  • Al Gabelli pareva che formare le teste fosse, dopo rifatta la patria, la grande necessità italiana, a cui urgeva di provvedere.
  • Fu uno dei maggiori uomini che l'Italia abbia avuto in questi ultimi tempi, che i suoi scritti furono sempre profondamente meditati, i suoi argomenti sviscerarono sotto tutti gli aspetti le questioni da esso trattate e risolute, che mai fu esso superficiale o unilaterale. Ragionatore più logico, più serrato, più limpido di lui, difficilmente può trovarsi fra gli scrittori italiani dei nostri tempi. La sua scuoia è quella di Gioia e di Romagnosi, le sue dottrine informansi alle scienze naturali, a quel positivismo moderato che era tutta la sua fede filosofica.[2]
  • La singolarità grande di Aristide Gabelli come pensatore e scrittore italiano gli viene soprattutto dall'intima e profonda connessione che era in lui, fra l'uomo, il pensatore e lo scrittore, pregio raro in Italia e a svolgere il quale poco o nulla miravano le vecchie scuole, e pochissimo mirano le nuove.
  • Tutta l'opera del Gabelli pedagogista consistette nel mettere pace fra tante dannose contraddizioni, nello svecchiare cioè il nostro insegnamento con temperanza e nel rinnovarlo con discrezione e saviezza, e ogni qual volta il Gabelli slargò ad ufficio di moralista e sociologo [...], propose sempre, si può dire, gli stessi rimedi, mirò sempre al medesimo fine, rinnovare conservando e conservare rinnovando quello che non solo non conduce più al fine, che si vuol conseguire, ma lo contrasta e lo allontana o conduce inconsapevolmente ad un fine opposto.
  1. Citato in Emilio De Marchi, Le quattro stagioni, Lampi di stampa [1892], 2004, pp. 83-84, ISBN 9788848803014
  2. Citato da Alberto Cavalletto nella Tornata del 25 novembre 1891 della Camera dei Deputati (Regno d'Italia).

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