Arianna Caruso

calciatrice italiana (1999)

Arianna Caruso (1999 – vivente), calciatrice italiana.

Citazioni di Arianna Caruso modifica

  Citazioni in ordine temporale.

  • Non ricordo chi mi ha regalato il primo pallone, immagino la mia famiglia, mamma o papà. Ma so che in quasi ogni foto di me bambina ne ho in mano uno.[1]
  • Papà Roberto faceva l'arbitro fra i dilettanti, la mamma evitava di portarmi a vederlo ma ricordo che una volta siamo andate e gli urlavano "sappiamo dove abiti... ti bruciamo casa...". [«Quindi niente proteste con gli arbitri?»] No, no. Io protesto. Ci devo parlare. So' amica degli arbitri.[1]
  • [...] alla Juventus un pari è visto come una sconfitta. [...] ho imparato che questa società ti porta a vincere. La vittoria è l'unica soluzione. Giocare con questa pressione a volte fa bene, ma allo stesso tempo, a volte, è un grande peso, perchè poi se va male una volta poi tutta la settimana la vivi in maniera difficile, perchè non hai ottenuto quello che la società ti ha chiesto. Qua l'unica cosa che conta è vincere e lo dicono tutti benissimo. Cresci con questo ideale e se non lo raggiungi poi te la vivi male. Penso sia una grande pressione, però per stare qui devi essere in grado di vincere questa pressione.[2]

Caruso: «Alla Juve grazie ai miei, ora sogno la Champions femminile»

Intervista di Alessandro Lunari, cronachedispogliatoio.it, 30 marzo 2023.

  • Era strano perché a scuola non ho mai ricevuto commenti fastidiosi o offese. Anzi, quando c'era la possibilità durante l'intervallo o nelle assemblee giocavo a calcio anche a scuola. Perfino in partita, fin quando sono scesa in campo con squadre maschili, non ho mai ricevuto mezza parola negativa dagli avversari. Anzi, loro erano anche contenti di vedermi. Magari pensavano di avere un vantaggio vedendo una ragazzina in campo, e invece... [...] Una volta, quand'ero veramente piccola, ho giocato una partita contro la Roma. Tecnico e staff avversario rimasero stupiti: "Ah, è bravino quel ragazzino", dicevano. Ricordo ancora la loro faccia quando scoprirono che ero una femmina. Colpa dei capelli, li portavo corti. Però per me quel momento fu molto bello. Mi dicevo: "Vedi? Se non avessero saputo che ero una femmina, magari mi avrebbero già presa..."
  • Oggi è un mondo totalmente diverso rispetto a quando ho iniziato. Ho 24 anni, sono giovane, ma forse per questo ho vissuto appieno il passaggio completo. Mi ricordo ancora le trasferte nei primi anni in cui giocavo con le ragazze a Roma. Partivamo col pullman verso Udine, Torino o Milano. Magari, capitava di farlo in giornata perché il budget a disposizione non era abbastanza alto per far dormire 25 persone in hotel. [...] Magari mangiavi per strada un pezzo di pizza prima della partita perché non avevi i soldi per fermarti al ristorante. Ora è tutto diverso, è un altro sport. Probabilmente abbiamo iniziato a viverlo come i maschi. E la differenza maggiore sta nel come veniamo trattate, anche al di fuori: siamo professioniste a tutti gli effetti.
  • Quando ero alla Res Roma, arrivarono alcune offerte. Poi, ecco la Juventus. Per venire qui a Torino il club aveva organizzato tutto il viaggio per me e la mia famiglia. Mi hanno fatto fare il giro dello stadio e del museo, spiegandomi tutto il progetto. Io andavo ancora a scuola e loro lo sapevano: "Non devi preoccuparti di nulla. Noi abbiamo una scuola a disposizione. Se non fai il nostro indirizzo scientifico, puoi andare in un'altra scuola pubblica e intanto stai in convitto da noi". Avrebbero pensato a tutto loro: cibo, vestiti da lavare, passaggi col pulmino. E a 17 anni, se ti dicono una cosa del genere, non puoi rifiutare. Penso che anche per i miei fosse un sollievo: vedere la propria figlia andar via di casa a 17 anni, senza finire neanche la scuola, poteva essere una preoccupazione. In realtà, ringrazio i miei genitori perché se non li avessi ascoltati, non sarei arrivata alla Juventus. [«Ma in che senso? [...]»] Una settimana prima della chiamata della Juventus, incontrammo un'altra squadra. Sarei dovuta andare a vivere con un'altra persona, avrei dovuto cercare io una scuola e provvedere autonomamente agli spostamenti. Non avevo neanche la patente. Era difficile, ma io sono molto istintiva. Dopo il colloquio, dissi già: "Va bene lo stesso, voglio firmare". I miei invece temporeggiavano: "Arianna, calmati. Aspetta un attimo". Neanche a farlo apposta, arriva la Juventus. Loro sono entrati con un altro passo nel mondo del calcio femminile. E i risultati sono la miglior prova possibile.
  • Ho sempre avuto il pallone sotto al braccio. Mi ricordo che quando mia sorella faceva le gare di nuoto, io uscivo dalla palestra e andavo fuori a giocare a calcio con gli altri bimbi. Tanto, dovevo sempre aspettare che gareggiasse e si ripreparasse. Almeno mi divertivo anch'io. Ho iniziato a giocare a calcio grazie al padre di una sua compagna di nuoto. Faceva l'allenatore e un giorno mi disse: "Perché non provi un allenamento? Vieni, se ti va". Guardai mio padre, ero super emozionata. Ci capimmo con uno sguardo. Per me era un sogno. Mia madre, invece, era un po' più frenata. Vedeva il calcio come uno sport da maschi. Forse adesso, se sentisse queste parole, si pentirebbe un po'. Però oggi è la mia prima tifosa.

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