Ana Luísa Amaral (1956 – 2022), poetessa, traduttrice e accademica portoghese.

Ana Luísa Amaral nel 2013

Intervista di Anna Belozorovitch, versanteripido.it, 1 dicembre 2015.

  • Ho cominciato a scrivere nel momento in cui ho imparato a scrivere. Anzi, ancora non sapevo scrivere e ho sentito la parola outrora [già, un tempo]. Credo di aver cominciato in quel momento. Avevo circa quattro anni e dissi a mia madre: "Sta arrivando, sta arrivando" e non sapevo cosa stessi arrivando. Poi dissi: Outono, chegou o outono, as folhas que outrora foram verdes e belas, hoje sao amarelas [L’autunno, è arrivato l’autunno. Le foglie che già furono verdi e belle, oggi sono gialle]. Questo non è nulla, avevo cinque anni. Ma credo che la musicalità sia stata sempre molto importante per la mia poesia. Poi, ho fatto una scuola di suore e ho passato una fase molto mistica, attorno ai quindici anni. Scrivevo poesie mistiche. Le suore mi chiedevano poesie, dicevano "Scrivici una poesia alla Madonna" – non l’ho mai detto in un’intervista! – e gliele componevo.
  • Conosco moltissima poesia a memoria, e conosco quasi tutte le mie poesie a memoria. Quando ero bambina, non era obbligatorio mettere la cintura di sicurezza in macchina. E io, quando andavo con i miei genitori, mi sedevo dietro e mi giravo verso la strada per vedere le macchine e salutare le persone. Mi piaceva guardare le targhe, le memorizzavo ascoltando la loro musicalità.
  • A scuola avevo imparato a memoria una poesia che si chiama O passeio de Santo Antonio di Augusto Gil, che allora andava molto di moda perché era un poeta legato al regime, e credo che proprio la cadenza di quella poesia mi abbia incantato. Poi, a nove anni circa, ho letto un libro che è stato per me una rivelazione: O cavaleiro da Dinamarca di Sophia de Mello Breyner. È un racconto per ragazzi, ma è tra i testi più belli che io conosca. Ho letto il libro e mi è venuta la febbre a quaranta. L’ho sentito davvero nel mio corpo. Emily Dickinson diceva: "Se leggo un libro e mi sento gelare in tutto il corpo così che nessun fuoco mi può scaldare, allora so che quella è poesia". Ecco, nel mio caso non lo ha reso freddo... anzi sì, perché con quaranta gradi si hanno i brividi! Quella lettura è stata per me un'esperienza sconvolgente.
  • La poesia è sempre un tentativo di dare un ordine diverso alle cose. È la quintessenza della resistenza. Persino quando è lirica. Proprio perché è lirica. Perché possiamo dire: "Non serve a niente", e non serve: con una poesia non costruisci un tavolo. Ma può muovere, in due direzioni: nel senso di commuovere e nel senso di far agire.
  • Nella mia tesi di dottorato chiamavo Emily Dickinson "la donna poeta". Ora non mi importa niente. La grande questione è che il portoghese, come l'italiano, a differenza dell'inglese, è una lingua più marcata e per questa ragione più aperta. Poetisa [poetessa] non è una parola formata a partire da "poeta", no, viene da più lontano. Mentre poetess, in inglese, è davvero "poet" più "ess". A nessuno verrebbe in mente di dire "poetess" in inglese, mentre in italiano si può dire "la poetessa", "poetisa" in portoghese. La questione è di tipo culturale, storico, sociale. È una parola che ha sminuito le donne. 

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