Vincenzo Vinciguerra
terrorista e scrittore italiano
Vincenzo Vinciguerra (1949 – vivente), ex terrorista italiano.
Da La notte della Repubblica
Intervista televisiva di Sergio Zavoli, Rai 2, 31 gennaio 1990
- Ci sono due punti, due punti importanti da chiarire: non c'è stata nessuna confessione. C'è stata un'assunzione di responsabilità, preannunciata in un interrogatorio ai magistrati di Bologna il 20 giugno 1984. Quindi assunzione di responsabilità che può essere intesa e deve essere intesa come rivendicazione, eventualmente, dell'attentato; non come atto di costrizione, come potrebbe fare intendere, e come fa intendere, il termine confessione. L'altro punto riguarda [l'espressione] "l'unica strage". Giuridicamente è strage qualsiasi fatto provochi la morte di più di due persone, o comunque che ponga in pericolo l'incolumità di diverse persone. La strage, su un piano etico, su un piano morale, è quella che colpisce indiscriminatamente obiettivi civili, falcia la popolazione civile, nelle banche, nelle stazioni ferroviarie, sui treni. Un obiettivo militare colpito nell'ottica di un attacco allo Stato non può essere definito strage, giuridicamente, ma non su altri piani, non può essere messo sullo stesso livello dell'attentato di piazza Fontana, di Brescia, dell'Italicus, della stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
- Da parte mia [c'è stata] guerra contro lo Stato, da parte dello Stato guerra contro questa Nazione.
- Lo Stato strumentalizza oppositori, crea una situazione di scontro, destabilizza l'ordine pubblico al fine di stabilizzare l'ordine politico.
- Noi eravamo impegnati in un'attività politica contro un sistema di partiti che non poteva trovare il nostro favore. Io non sono democratico, non ero democratico e rimango antidemocratico perché non credo alla democrazia, non credo che esista un regime democratico.
- L'attentato di Peteano non è che matura in un giorno. Nasce da un'analisi, un'analisi che inizia sul finire del 1969. Un'analisi che coinvolge quella che è l'esperienza mia personale in quello che è la valutazione del mondo neofascista, e quindi della nostra azione. E nell'analisi si arriva praticamente alla conclusione di uno scontro frontale con lo Stato. Peteano è stata un segnale.
- [Uccidendo dei carabinieri] Contavo di lanciare un segnale perché venisse meno questa strumentalizzazione che veniva fatta nel mondo neofascista da parte dei suoi dirigenti, che non potevano continuare a frequentare gli stati maggiori e i servizi di sicurezza e contemporaneamente proclamare la guerra al sistema e l'eredità della Germania nazionalsocialista.
- [Alla domanda "Perché sceglieste proprio quel luogo?"] Lo scegliemmo perché era un posto isolato. Un posto nel quale non potevano essere coinvolti i civili. Anche la dinamica dell'attentato, anche la telefonata venne fatta in quest'ottica, perché quando mi accorsi che questa trappola, questo agguato, perché sempre agguato rimane, non era scattato, lì restava una macchina che chiunque poteva far detonare. Bastava un curioso, bastava anche un bambino; e di conseguenza, feci telefonare e la telefonata provocò l'accorrere dei carabinieri e quindi l'attentato ebbe l'esito che si prefiggeva.
- Io non sono stato arrestato. Io mi sono costituito il 12 settembre 1979. Anche questo si è prestato, poi, all'interpretazione di un atto di resa allo Stato. Invece così non era. Ebbi modo di riflettere, riflettevo già da tempo a dire la verità. C'era già una certa predisposizione. E così decisi che era venuto il momento di contribuire al chiarimento, alla ricerca della verità su quella che strategia della tensione, la strategia delle stragi e del terrorismo, e mi assunsi la responsabilità di ciò che io avevo fatto. Non, quindi, in un'ottica di confessione.
- Questi servizi "deviati" fra virgolette, conoscono perfettamente il mondo neofascista. Su Peteano erano informati, sono stati informati nei mesi seguenti l'attentato; non prima, prima non lo potevano né immaginare né prevedere. Quindi non potevano nemmeno intervenire. Sono stati informati per via confidenziale nei mesi seguenti l'attentato con indicazioni generiche e poi, nell'ottobre del'72, hanno avuto in mano degli elementi concreti per poter provare la mia responsabilità nell'attentato di Peteano. Non lo hanno voluto fare. Non lo hanno voluto fare, non perché io ero un uomo da proteggere da parte di questi servizi, e tanto meno da parte dell'Arma dei carabinieri, ma perché contrastava con la strategia politica che stavano portando avanti.
- Io ho un futuro che assomiglia molto al passato. Io affermo che questa guerra c'è stata, questo eccidio, come lei lo chiama, non mi pesa sulla coscienza perché è un atto di guerra, rimane un atto di guerra, e quindi non mi può pesare sulla coscienza. Il senso che posso dare al mio futuro è quello di continuare sulla strada che ho intrapreso quando avevo tredici anni, sulla quale ho camminato fino ad oggi e sulla quale continuerò a camminare, in un ergastolo voluto. Non rifiutato, non imposto dallo Stato, ma voluto, cercato, e vissuto con la stessa coerenza che ho sempre mantenuto.
- [Alla domanda "C'è qualcosa in cui crede oggi di più umano?"] Bisognerebbe intendersi su che cosa è umano. Un tipo di guerra, una scelta come questa esclude, almeno in parte, ciò che è umano. Io, per questo, non ho figli, non ho moglie e non ho affetti. Li ho, ma non verranno mai al primo posto. Se fossero venuti non avrei fatto la scelta, non avrei percorso la strada che ho percorso, perché di ciò che faccio io mi assumo le conseguenze. E come sono stato capace d'uccidere, non ho mai avuto timore di essere ucciso o di finire in quella che voi chiamate la morte civile. E su questo ve l'ho dimostrato ampiamente. Anche questo non corrisponde esattamente all'immagine dell'umano. Quindi io sono stato indubbiamente inumano; ma lo sono anche nei miei confronti... e lo sono più nei miei confronti che nei confronti degli altri, e continuerò ad esserlo.
- ["Non fosse altro che per espiare"] No, nessuna espiazione. Ho rivendicato un gesto che, per rispetto a quei morti, avevo utilizzato il termine di "assunzione di responsabilità" e oggi mi vedo obbligato ad usare il termine di "rivendicazione" proprio per porre termine a una campagna di disinformazione che mi vuole contrito, pentito, se non altro su un piano morale, in ginocchio di fronte allo Stato-papà. No. Sono in piedi, rivendico l'attentato di Peteano, e continuerò con altri mezzi, con i mezzi che mi sono consentiti dalla situazione nella quale mi trovo, quella guerra che ho iniziato 27 anni fa e che non finirà prima che finisca io. Finirà allo stesso momento.
- [Alla domanda "Lei è consapevole del fatto che questa guerra continuerà a farla da solo?"] Non è una buona ragione per smetterla.
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